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«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

«Pietroburgo»: un poema d’ombre – Angelo Maria Ripellino

verso

«PIETROBURGO»: UN POEMA D’OMBRE
Angelo Maria Ripellino
Saggio introduttivo a Pietroburgo di Andrej Belyj
Adelphi 2014

Di che diavolo stai parlando?… vi sento, ah eccome se vi sento, vi sento… «uuuu-uuuu-uuuu» lo spazio ulula

Se vi sentite confusi, prima leggete il commento a Pietroburgo, è proprio qui di fianco, tornate indietro e girate appena lo sguardo sulla sinistra… Pietroburgo di Andrej Belyj; poi se non vi siete stufati tornate qui per Ripellino, perché se lo merita, anche se è una stramberia, lo capisco, ma solo da un certo punto di vista, quello del Re-censore che dice di scrivere re-censioni… si è mai vista una re-censione su un saggio introduttivo a un’opera? no, mai, ovviamente… molto bene e quindi considerato che io non faccio il Re-censore, qui ora si parla del saggio introduttivo a Pietroburgo di Andrej Belyj, saggio scritto da Angelo Maria Ripellino che di Pietroburgo fu anche il traduttore; un saggio vero di 40 pagine, mica una semplice prefazione, un pezzo di bravura pazzesco, per questo ne voglio parlare, perché mi fa piacere parlarne così lo rileggo pure e ripenso ancora Diosanto che pezzo pazzesco che ha scritto Ripellino!; un saggio che si potrebbe chiamare antisaggio se pensiamo ai saggi come delle cose barbose pompose salmodianti sversamenti di erudizione frigida, qui tutto l’inverso; Ripellino è stato un eccentrico: poeta siciliano, slavista e viaggiatore; un letterato fantasioso e inventivo e così è nella traduzione di Pietroburgo, strepitosamente scoppiettante – nonostante non tutti i traduttori apprezzino queste versioni dove certo l’impronta della mano o anche dei piedi con scarponi chiodati del traduttore è ben visibile – e altrettanto in questo saggio introduttivo che, quindi, più che “saggio” io definirei “sproloquio immaginifico e fantasmagorico che ti fionda dentro alla Pietroburgo di Belyj da dove non esci più”, ma capisco che “saggio” occupa meno spazio e spreca meno inchiostro della mia definizione.

Leggo l’inizio:

Prodigio architettonico issato su vacillanti paludi, Pietroburgo si profila dalle pagine degli scrittori russi come assurda città di incantesimi. Dietro fastose apparenze, palazzi austeri, merletti di cancellate, la «Palmira del Nord», scaturita come un miraggio dal fango degli acquitrini per il caparbio volere di un despota, nasconde misere spoglie sofferenti, un querulo mondo di pena.

Questo si chiama scrivere l’attacco di un saggio, altroché quelle manine tremanti e mollicce che entrano strisciando come se sperassero di non essere notate da nessuno, diamine!
Attacchi così e li hai presi tutti come una retata di acciughe appallottolate.
E andiamo!

Simulacri di suoni, rigonfie bambole di caucciù, sembianze sprizzate dall’Erebo (d’altronde anche in Mandel’stam Petropoli confina con l’Ade), siluette da «Zaubertheater» annaspano in una sorta di «cake-walk» infernale per le sue umide strade: e le strade di Pietroburgo «posseggono un’indubbia qualità: trasformano in ombre i passanti».

Ripellino ingrana la quarta e sgomma: scrive come in uno stato di esaltazione: lirico, ispirato, visionario, gotico; travolge le resistenze residue infilando Puškin, Gogol, Dostoevskij e Blok per planare in picchiata su Belyj… trasformano in ombre i passanti, non vorreste attraversarle quelle strade, eh?

Pietroburgo fece scalpore nel 1913, anche in quel mondo di avanguardisti e rivoluzionari, o forse proprio perché eccitati ed eccitabili, nietzcheani e antinichilisti. Il romanzo Belyj lo riprese più e più volte, ritoccandolo, rivedendolo, correggendolo, anche se l’incongruenza e l’assurdità sono inestirpabili da quelle pagine e insieme alla forma sospesa in una incompletezza irresolubile sono ingredienti dell’unicità di Pietroburgo.

Ripellino svolge rapidamente il compito che probabilmente gli era stato richiesto: quello di scrivere una prefazione all’opera; elenca in fretta e furia i personaggi principali e per sommi capi la vicenda. Poi torna con decisione al suo scopo: monologare sproloquiando come inebriato dalla gialla nebbia malarica che traccia la strada per Pietroburgo.

Belyj cancella i confini tra la realtà e il mondo delle larve. Il lettore non saprà mai se una data figura sia un essere reale oppure il prodotto illusorio di abbagli e allucinazioni.

Incantesimi di Pietroburgo! Ciò che nasce dalle aberrazioni e dall’estro di un personaggio, non solo diventa realtà, ma si insinua nel pensiero degli altri. Accade così che Pepp Peppovič Pepp, sembianza di gomma scaturita dagli incubi di Nikolaj Apollonovič, sia ricordato come figura effettuale da Morkovin e Lippančenko.

e poi ancora, esaltato, quasi in una trance visionaria:

Quando non si appiattiscono in siluette a due dimensioni, questi spauracchi tendono a dilatarsi come turgide sfere, a spandersi nello spazio in una sorta di levitazione ectoplasmica o di glutinoso rammollimento che li rende simili a certe forme spiaccicate e sgocciolanti dei surrealisti. Il loro corpo perde a tratti la sensazione centripeta dei propri organi, enfiandosi e traboccando come una massa colloidale o disgregandosi in parti staccate l’una dall’altra; la coscienza si scinde dal corpo e vi gira intorno come un satellite; le percezioni fuggono dall’intelletto, per materializzarsi all’esterno come un cangiante brulichio luminoso; i pensieri diventano autonomi dal personaggio. In breve ciascun personaggio si effonde in una raggiera di prolungamenti umanoidi.

Non so proprio dove Ripellino abbia visto nel testo prolungamenti umanoidi o glutinosi rammollimenti, ma il pezzo è meravigliosamente psichedelico.

Nella sezione VII del saggio Ripellino si produce in un altro attacco-capolavoro:

Due princìpi diversi si scontrano nell’ordito di Pietroburgo: la massa formicolante dell’informe striscia minaccevole contro gli schemi meccanici della ragione. È una mischia terrificante come una lotta di iguanodonti e di brontosauri in un paesaggio antidiluviano.
Da un lato il caos, farraggine amorfa di fiamme d’inferno, di melma, di nebuli, di incandescenti spirali, baratro in cui si affastellano assurde visioni, smottano orride frane ed equivoche sfere si gonfiano sino a scoppiare. Un caos che è insieme geenna e mollume, dimora di ceffi palustri, di rettili, che compiono azioni dissennate e nauseanti.
Dall’altro il gelido e circoscritto microcosmo del raziocinio, che soppesa, connette e commisura i fenomeni. La metodologie e la dialettica sono per Belyj l’unica salvezza dal magma dilagante del caos.

Infine, un ultimo brano dal pirotecnico saggio di Ripellino, quello con il quale descrive lo stile di Belyj, e anche qua è meraviglioso per come conduce la sua danza spiritata.

La scrittura-azione di Belyj, tutta squarci, fratture, sospensioni e riagganci, è assoggettata ai capricci di un esasperato rimescolio cerebrale. Belyj costruisce il periodo come un anellide, staccandolo in segmenti di varia lunghezza mediante una serie di implacabili punti e virgola; ed ogni segmento si muove su una diversa superficie semantica, sicché il periodo assume l’aspetto di un ibrido agglomerato di eterogenei frantumi sovrapposti, di «materie» concettuali dissimili. I frequenti puntini sospensivi e gli assidui segni di esclamazione ne accrescono l’indefinitezza.

Una perla nascosta nell’ostrica dell’edizione italiana di Pietroburgo.
Strepitoso Angelo Maria Ripellino.

6 commenti su “«Pietroburgo»: un poema d’ombre – Angelo Maria Ripellino

  1. antonio sagredo
    6 agosto 2021

    mi chiamo Antonio Sagredo allievo amatissimo di Ripellino

    • 2000battute
      15 settembre 2021

      Buongiorno. Ha avuto un grande maestro.

  2. Enza
    2 luglio 2017

    Ringraziando 2000battute, accosto Ripellino al ” dormiveglia mediterraneo” di un altro grande come Lucio Piccolo, traduttore da ben dodici lingue. Oserei dire uno stato di grazia, concesso solo ai siciliani per le sedimentazioni irripetibili dell’isola.
    “Vorrei che la mia poesia risonasse come un violino, comunque esso si chiami: violon, violìn, viool, hegedù, Geige, housle, skrzypce, skripka. Anche se storto, se guercio, e perciò chagalliano. Ma non dite di aver udito dalle mie labbra: «Ich bin ein russischer Jude». Perché, sebbene io sia imbrattato delle fuliggini del Mitteleuropa, nutrito di mille umori stranieri e come arrivato sin qui con un carrozzone dipinto di cal­derai, tuttavia nella barocca e ferale Sicilia nativa affondano le mie ra­dici. Penso talvolta che questo sradicamento sia la sorgente di tutti i miei mali, della mia vita in bilico.”. ( Angelo Maria ripellino )

    • 2000battute
      2 luglio 2017

      Ripellino è autore che vorrei leggere di più ma fatico a reperire

  3. GB CRIPPA
    10 febbraio 2015

    Ripellino Era un Genio, ma , a mio parere, pria di tutto un Poeta, un poeta prestato alla letteratura…. Grazie a un colpo di fortuna lo avevo letto nella edizione einaudi 5/6 anni fa … amore a prima vista ! Del resto anche Praga Città Magica….

    • 2000battute
      10 febbraio 2015

      Credo che si senta la mano del poeta, è una traduzione bellissima e davvero difficile

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