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«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Teoria idraulica delle famiglie – Elisa Casseri

teoria idraulica famiglie

TEORIA IDRAULICA DELLE FAMIGLIE
Elisa Casseri
Elliot 2014

Proseguo con gli esordienti italiani, a questo mondo non c’è più da stupirsi di niente ormai. È la volta di Elisa Casseri che arriva dopo gli ottimi Irene Chias, Francesco D’Isa e Simona Rondolini.
Elisa Casseri ha scritto un bel libro che induce in ogni modo il lettore a credere che la storia sia in larga parte autobiografica: calore umido dell’alito della confessione e assenza di immaginazione da esordiente è la ricetta di base. Se ora vi sembra che io voglia stroncare (santiddio che termine, “stroncare”, “stroncatura”, fa schifo a dirlo, provate a dirlo: s-t-r-o-n-c-a-r-e… fa schifo, è un rospo in gola che rutta!) comunque se pensate che voglia strapazzare è perché siete prevenuti nei miei confronti. Elisa Casseri gioca con le parole in modo ironico e con abilità un po’ circense. Questa è la sua forza. Diventa fantasiosa nella composizione architettonica del racconto, immaginando di collegare i passaggi e i ruoli della scena, o della memoria, come fossero segmenti di una rete idraulica che bagna la periferia estrema e a ogni scena o giorno o ricordo porta l’acqua della storia.
Scrive cose come questa:

Se l’amore non rendesse sordi, lei si sarebbe accorta che lui non era nemmeno questo gran batterista e che, alla fine della fiera, la fatica di quel rapporto l’avrebbe danneggiata.
La fatica è un fenomeno meccanico per cui un oggetto sottoposto a una successione di carichi di intensità variabile (anche se tale intensità è di molto inferiore al carico di rottura) provoca, dopo un determinato tempo, la distruzione totale dell’oggetto.

È brava Elena Casseri a giocare col sarcasmo senza darlo troppo a intendere, lasciando un sorriso apparentemente divertito sulla pagina. È una bella storia personale e famigliare. Non mi dilungo oltre. Se volete sapere fatti e opinioni, Flanerì l’ha intervistata, e lei, come giusto che sia, tiene a distanza da sé il proprio personaggio. Chi voleva solo il commentino può fermarsi qui. Ora però a me interessa parlare d’altro.

Leggo la definizione della voce “romanzo” data dalla Treccani per cercare di capire come si inserisca questo Teoria idraulica delle famiglie, il cui titolo è appunto sottotitolato con la qualifica di “romanzo”, nella categoria letteraria del romanzo propriamente detto. Leggo la ponderosamente didascalica voce della Treccani e alla fine non capisco niente… che diavolo è un romanzo, ma soprattutto che diavolo non è un romanzo?

narrazione di vicende familiari o di un singolo individuo, su uno sfondo storico o di fantasia. Per lo più di media estensione, può assumere talvolta le dimensioni e i caratteri di un racconto più o meno lungo (r. breve); o essere invece assai ampio e dare la narrazione continua delle vicende di un ambiente, di una famiglia, o addirittura di più generazioni (r. fiume; r. ciclico). I tipi di r. sono distinti e denominati in rapporto ai temi dominanti, allo stile, alla struttura ecc.

Questo è il brandello di definizione che mi pare appena utilizzabile, o strumentalizzabile dalla tesi facinorosa che voglio sostenere, cioè dice che un romanzo è la “narrazione di vicende familiari o di un singolo individuo” su uno sfondo che può essere reale, realistico, appena realistico o completamente fittizio. Quindi in pratica, tolto lo sfondo che può essere quello che vi pare, rimane solo la “narrazione di vicende familiari o di un singolo individuo” a caratterizzare un romanzo come romanzo. Mi pare una condizione classificatoria piuttosto vaga, che può in ogni caso includere benissimo anche Teoria idraulica delle famiglie, nonostante i miei dubbi irrisolti sulla natura di questo scritto casseriano.

Certo, la definizione non dice chi sarebbe questa famiglia o individuo. Può essere la famiglia dell’autore o l’individuo essere l’autore stesso? Questa sarebbe allora un’autobiografia, credo, un’autobiografia è anche un romanzo? Romanzo autobiografico, forse, ma certo, si può qualificare con qualunque aggettivo il sostantivo “romanzo”… romanzo felino (come il salame), romanzo tempestoso, romanzo patriarcale, romanzo ferruginoso, romanzo ramato, romanzo pressofuso, romanzo vegetariano, e anche romanzo idraulico. Forse Teoria idraulica delle famiglie è un romanzo idraulico perché fatto di vasi comunicanti fittissimi tra il personaggio e l’autrice, la storia della prima e le memorie della seconda, o magari ci sono ancora più canaline e condotte intricate nascoste per far sembrare che Iris ed Elisa siano una il riflesso dell’altra, il che è sempre una prospettiva che ingaggia i lettori in rimuginamenti protopsicologici.

Mi domando tutto questo perché in realtà mi chiedo un’altra cosa (si dice “porsi una domanda” non “chiedersi una cosa”): perché è così tipico di molti esordienti (quelli bravi, come Elisa Casseri, intendo) l’aver appreso uno stile narrativo gradevole, essersi a lungo, forse da sempre, è tutta la vita che lo fanno, esercitati con l’uso delle parole, afferrandole scuotendole, rigirandole, cambiandole verso, incastrandole prima in un modo poi in un altro; essere, voglio dire, essere diventati abili con la scrittura e aver affinato questa abilità con molte letture, molte scritture private (non in senso giuridico, badate bene), molta preparazione, essere diventati dei professionisti della scrittura (in senso cognitivo, non economico, sospetto), non più solo dei volenterosi dilettanti allo sbaraglio,  aver fatto tutto questo per un unico motivo: veder pubblicato un libro, vederlo sugli scaffali, sul web, vedere che sconosciuti lo leggono, leggere i commenti di sconosciuti, leggere le sbavate degli odiosi re-cen-so-ri; un libro, un libro che non è altro che la confessione del proprio crollo emotivo, la descrizione del fallimento di una parte della propria vita e quindi il romanzo, ovvero la “narrazione di vicende familiari o di un singolo individuo” che ha come protagonista se stessi e la propria frantumazione?

Perché Elisa Casseri, ad esempio, l’ha fatto?
Perché uno dei generi di romanzo più diffusi e anche più amati, pure da me, non voglio tirarmi fuori, è il romanzo della propria (fu) disperazione? A volte con il finale felice, a volte no, più spesso la prima, direi a occhio, per questioni commerciali oppure perché viceversa uno non ha molta voglia di scriverci un libro oppure proprio non può farlo, sospetto.

È una cosa odiosa, lo so, e l’ho sempre detto, quella di identificare l’autore con la storia, è una cosa che solo i lettori ingenui o in malafede fanno e io forse sono entrambe le cose, ma ogni regola ha la sua eccezione e soprattutto per gli esordienti, la tentazione di diluire, ma non troppo, la propria storia nelle pagine è fortissima, magari spezzettandola un po’ in un personaggio un po’ in un altro, mescolando le carte e cambiando qualche fondale. Non troppo però da far venir meno l’obiettivo del libro: scrivere la propria storia. Rendersi un romanzo. Elisa Casseri si è resa un romanzo. Giusto? Sbagliato? L’interpretazione intendo. Chi se ne importa. That’s it.

Forse andrebbe aggiornata la definizione di romanzo della Treccani: non solo “narrazione di vicende familiari o di un singolo individuo”, ma anche “narrazione delle proprie vicende familiari o di se stesso al fine di rendersi un romanzo”, il che avrebbe la sempre affascinante proprietà di essere una definizione circolare.

Non vi sembra meritevole di riflessione questo anelito umano a fare di se stessi un romanzo? Quale storia ha più fascino, forza e memoria della propria storia, e soprattutto della storia del proprio crollo personale? Raccontare il proprio crollo ha in sé un’epica cavalleresca da non trascurare: s’innalza la polvere di fango al rango di polvere d’oro, parole sconnesse a frasi febbricitanti, si dà valore a ciò che per sua natura ha sbiadito ogni valore. Non è un po’ così?

Ma in realtà la storia del proprio crollo è anche già una rinascita, no? È la storia della propria rinascita, in realtà, quella che viene narrata e, per un esordiente soprattutto, il cui esordio segna simbolicamente la propria (ri)nascita dopo molte veglie funebri di se stesso, ci può essere qualcosa di più totalizzante e coinvolgente? No, non c’è.

Gli esordienti che non cercano di fare di se stessi il proprio romanzo d’esordio hanno qualcosa da guardare con occhio sbirresco: o sono macchine letterarie uscite da una qualche catena di montaggio oppure sono dei grandi scrittori che hanno finalmente deciso di rivelarsi oppure qualche altra razza di furfanti che striscia nell’ombra. Elisa Casseri ha scritto un bel libro e merita un sorriso, non sguardi sbirreschi.

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Questa voce è stata pubblicata il 7 marzo 2015 da in Autori, Casseri, Elisa, Editori, Elliot con tag , , , .

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