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«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Il Giorno della Madre – José Pablo Feinmann

giorno della madre

IL GIORNO DELLA MADRE
José Pablo Feinmann
Traduzione di Claudio Fiorentino
Baldini Castoldi Dalai 2005

[Libro disperso]

Oggi 21 ottobre del 2002, Giorno della Madre, per festeggiarlo come si deve, per festeggiarlo come avrei dovuto da anni, per festeggiarlo come non avrei mai osato, per farla finita con questa relazione, non maledetta o demoniaca, bensì stupida, opprimente e stupida che ci lega da sempre, perché non vi sia mai più per te e per me un altro Giorno della Madre, per tutti questi motivi, oggi, ti ucciderò, mamma.

Inizia così. E si capisce che sta scherzando, il tono è da giullare, canzonatorio. Gioca con le iperboli. Si capisce. A meno che. Non potrebbe essere pazzo? Il piano farneticante e omicida di un pazzo. In tal caso non sarebbe uno scherzo. Sarebbe una tragedia. Non uno scherzo.
Che cos’è Feinmann? Un pazzo o un cinico? Un sadico o un burlone? Un teatrante o una vittima? O di tutto un po’. Di tutto un po’?

Certamente è un grande scrittore e lo dimostra ancora una volta con questo Il Giorno della Madre: un’altra piroetta, ancora più estrema, la ricerca della massima distanza dagli altri suoi libri, cercare di allontanarsi quanto più possibile senza rompere il legame, la logica, la narrazione che continua a recitare i suoi salmi, da uno all’altro libro, dalla balera di provincia al deserto metafisico, dallo studio del filosofo nazista alla Buenos Aires delle persone che scompaiono e dove Pablo (come José Pablo, il nome dell’autore stesso?) vive nell’angoscia di una madrepatria che lo potrebbe divorare da un momento all’altro, brutalmente, con la massima violenza ingiustificata e inutile e inspiegabile, perché tutti sono sospetti e tutti accusati.

Il Giorno della Madre è un libro a suo modo estremo perché non rispetta nessuna regola della buona educazione che uno scrittore dovrebbe mostrare verso i lettori: li imbroglia, promette una cosa per infilarne un’altra, colpisce con la storia della madre ospite in una banalmente squallida casa di riposo, che il figlio, Pablo, decide di uccidere, anzi, di sopprimere, semplicemente porre fine alla sua vita. Con questo proposito si apre il libro e di tanto in tanto Feinmann lo riprende, questa storia della madre e del figlio e dell’omicidio, la usa come un cartello stradale che indica la direzione obbligata di marcia, c’è una trama, è il monologo del figlio che precede il soffocamento della madre, ma quello che realmente conta non è la strada quanto il panorama che si vede dai finestrini.

Dico di più: la storia del figlio che vuole ammazzare la madre non è la trama del libro, in realtà; anzi, non conta quasi niente questa faccenda un po’ carnevalesca e un po’ ridicola. Se la vuole soffocare che lo faccia senza tante seccature per i lettori, no? Questo lo sa bene anche Feinmann, anzi, sembra proprio lui il primo a essere seccato.
La trama è un’altra. Anzi, il libro è un altro. Ha a che fare con un’altra Madre: la propria terra, l’Argentina, la madre intesa come luogo che dà i natali. Il Giorno della Madre è la storia di un incubo e di una malattia mentale, come si vive dentro una malattia mentale come fu l’Argentina degli anni ’70? Cosa voglia dire non è facile capirlo, salvo per chi ha vissuto quegli anni, figlio di quella terra, di quella Madre, di quella follia omicida che come un’onda distruttrice ha travolto tutto, rinchiudendo la vita nel recinto di una malattia mentale.

Qualcosa del genere accadeva con quelli che andavano via, che andavano in esilio. Ogni esiliato era un desaparecido in più. Qualcuno che diceva bisogna andare via, non si può stare qui. Perché è andato via A.? Cosa diavolo ha fatto A. che non ho fatto io? Se A. se ne va, perché io resto? Sono pazzo? Cosa aspetto, che mi facciano scomparire? A volte, A., con fare pietoso diceva: Guarda, vado via perché non trovo lavoro. Soprattutto per questo. Altrimenti, resterei. E chi restava, cercando di calmare la sua paura, si diceva: Va via perché ha fatto qualcosa che io non so. Ha fatto qualcosa che io non ho fatto. Altrimenti, resterebbe. Come faccio io. E quella notte, forse, riusciva a dormire. Un’ora in più, almeno.
Così andavano le cose.

Così andavano le cose, scrive Feinmann e la sua descrizione di come andavano le cose, soprattutto del terrore non più solo strisciante, della paura che fa perdere il senno, sfascia i rapporti famigliari, rende soli, emarginati, inermi, la paura della Madre che potrebbe ogni istante farti a pezzi è intensa e tremante e lucida.

Pablo il protagonista, per lunghi brani alter ego di Feinmann, vive il terrore del quotidiano nel tumulto che non riesce a controllare dei ricordi del passato, quando era uno studente di filosofia, idealista e ingenuo e pensava che fosse giusto scrivere, o almeno non ci fosse niente di male, senza molta originalità bisogna ammettere, le parole che raccontavano il futuro idealizzato di una generazione. Tutti loro, quelli come Pablo, i più innocui, in definitiva, dicevano le stesse cose. Lui le ha scritte, su una rivista di nessun conto. Il passato, nel presente della narrazione, torna come una colpa tanto inspiegabile quanto micidiale per la violenza che minaccia.

Siamo stati tanto stupidi? dice Pablo.
No, dice Lucio. Solo una cosa non sapevamo. Non sapevamo che questo paese fosse tanto crudele.
[…]
Nell’ottobre del ’77, a Mar del Plata, Pablo legge alcune scritte accuratamente tratteggiate in alcuni angoli delle strade, inevitabili. Mar del Plata è una roccaforte della Marina. Le scritte sono il frutto della mente dell’ammiraglio Massera e dei suoi illuminati consiglieri.
Una dice: Conquistare la pace.
Un’altra: L’amore vince.
Non sapevamo che questo Paese fosse tanto crudele. Non sapevamo nemmeno fino a quale grado di cinismo fosse capace di arrivare.
[…]
Ma no, qui c’erano i militari della sicurezza nazionale, i difensori dell’occidente cristiano, i crociati della terza guerra mondiale, loro avrebbero svolto il lavoro sporco che il signor Kissinger (un criminale di guerra benedetto con il Premio Nobel per la pace) suggeriva loro di fare.
Non sapevamo nulla di tutto questo. Non sapevamo che morivamo ed eravamo perseguitati per una mera modalità della Storia. Gli scontri avvennero nel Terzo Mondo. Questa necessità storica sacrificò la mia generazione, avrebbe pensato Pablo. La Storia, un’altra volta, sagacemente, sfruttò le passioni individuali per realizzarsi. Il nostro fervore, il nostro slancio, insomma, la nostra passione non fu un inganno della Storia. Era necessaria una generazione entusiasta per arrivare alla somma di trentamila cadaveri e, partendo da quell’orrore, garantire il trionfo della democrazia liberale nell’America del Sud.

La tragedia della disillusione affonda le unghie in profondità. È una riflessione sulla consapevolezza delle proprie azioni e sulla imponderabilità del futuro quella che offre Feinmann oltre alle molte altre riflessioni sulla storia di un paese moderno, occidentale ed europeo come era, o pensava di essere, l’Argentina degli anni ’70.

Il Giorno della Madre non è un romanzo, nonostante sia catalogato come tale. Non è un saggio e nemmeno un’autobiografia. Non è niente di facilmente inquadrabile. Come non lo è Feinmann. Sono piani di osservazioni rivolte a sé stesso e sovrapposti uno sull’altro, partendo dall’uomo solo, passando al figlio, poi al marito, il padre, l’intellettuale progressista, il cittadino, l’uomo occidentale e l’argentino, l’uomo moderno, l’uomo del futuro che ci aspetta. Ogni ruolo è un piano di osservazione della propria immagine riflessa nello specchio della società.
Per questo è un libro a tratti caotico, procede a ondate e per immagini simboliche, cambia tono in modo repentino, Pablo di volta in volta è prima e terza persona, riflette o si angoscia, si ammala di tumore e guarisce, apre lo sguardo alla politica e lo stringe sulla psicosi dell’uomo terrorizzato di poter essere la prossima vittima dei torturatori.

Il Giorno della Madre è anche un libro di malattie che si innestano una nell’altra, gusci di malattia che avvolgono la voce narrante… il cancro, l’ossessione psicotica per la propria salute, la vecchiaia della madre, l’obnubilamento dei concittadini, la violenza folle del potere militare.

È un libro doloroso, di ricordi e dediche, a Rodolfo Walsh e Héctor Germán Oesterheld, di accuse, anche a una certa figura di intellettuale esule divenuto una celebrità mondana in Europa o negli Stati Uniti in quanto esule e intellettuale; una litania di sofferenza con scene grottescamente epiche come la corsa in ospedale con l’amico Lucio colpito da aneurisma cercando di fendere la folla che accorreva alla stadio per la finale del Mondiale del 1978, quello vinto dall’Argentina e che fece da schermo ipocrita alla strage in corso.

Questo è un grande libro un po’ scombinato, un po’ messo insieme da mani forse tremanti per l’emozione o la rabbia o a causa dei ricordi o forse fatto apposta proprio così, a lamine instabili che scivolano da ogni parte affinché ognuno di coloro che lo prenderà in mano non si possa concedere il lusso di sentirsi a proprio agio, con la presa ferma e la presunzione dei propri ideali.

Veramente un peccato che questo libro non sia più disponibile. Una perdita grave per chi volesse conoscere José Pablo Feinmann, un meraviglioso scrittore e voce libera, l’Argentina e la sua sempre stupefacente letteratura.

3 commenti su “Il Giorno della Madre – José Pablo Feinmann

  1. Gina
    14 marzo 2015

    Feinmann purtroppo è uno di quegli autori che in Italia sono arrivati sempre in modo un po’ episodico, pubblicato un po’ da questo un po’ da quello, in un arco temporale molto lungo. Ed è sicuramente un autore da scoprire, o da riscoprire. Ora devi leggere Cinebrivido!

    • 2000battute
      14 marzo 2015

      Cinebrivido è pronto per la lettura :)

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