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«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Gli ultimi giorni della vittima – José Pablo Feinmann

Ultimi giorni vittima - Feinmann

GLI ULTIMI GIORNI DELLA VITTIMA
José Pablo Feinmann
Traduzione di Olivo Bin
Feltrinelli 1993

[Libro disperso]

Concludo la lettura di Feinmann in un modo che più feinmaniano non si può: col suo romanzo più malinconico, un romanzo quasi laconico, pure periferico e come se non bastasse fuori catalogo, [Libro disperso].

Dopo dico due cose vaghe su questa storia malinconica, ma ora voglio ancora restare sulla sensazione di malinconicità di un finale noto, o temuto forse, e anche sul senso della lettura de Gli ultimi giorni della vittima e più in generale della lettura di tutta l’opera di José Pablo Feinmann e ancor più in generale sul senso della lettura di questi favolosi scrittori argentini. E poi basta con la maniacale ricerca di senso che inevitabilmente porta al nonsenso e alla psicanalisi.

È l’ultimo libro disponibile in italiano di Feinmann e il più malinconico. Consideriamo questa affermazione. Primo: che sia l’ultimo dipende solo dall’ordine piuttosto casuale che ho seguito, avrebbe potuto essere il primo o il terzo o uno qualsiasi. Eppure questa consapevolezza di casualità non cambia l’unico fatto certo: per me è stato l’ultimo. Siete per caso di quei deterministi convinti che tutta la vita sia una successione predestinata di eventi concatenati da relazioni causa-effetto come una lunga, interminabile fila di condannati ai lavori forzati incatenati uno all’altro? Siete dei razionalisti fino a questo punto o magari credete nel karma, la metempsicosi o le fate frulline che tutto decidono per voi? Io no. Io sono uno convinto che la caratteristica fondamentale della vita umana sia la casualità e l’incertezza, un po’ come constatare che la chimica fondamentale per la vita sulla Terra viene da una qualche combinazione casuale di elementi della tavola periodica. La mia religione è la non conoscenza e l’imprevedibilità. E quindi, il fatto che, casualmente, proprio il libro più malinconico di Feinmann sia l’ultimo che leggo, assume per me una coloratura religiosa: è così e in questo modo posso ricostruirne un senso. Totalmente contraddittorio, naturalmente.

Secondo: che Gli ultimi giorni della vittima sia un testo malinconico è fuor di dubbio: lo è il personaggio di Mendizábal, killer cinquantenne che osserva il suo invecchiare malinconico come riflesso dell’osservazione della prossima vittima; malinconica lo è anche la scena, una periferia cittadina crepuscolare e muta, panchine di stazioni e parchi cittadini polverosi, la scena è uno sfondo scialbo; infine malinconica è la scrittura di Feinmann, camaleontico come sempre, che sembra accompagnare il passo strascicato del killer strascicando a sua volta la penna sul foglio.

È malinconico per essere l’ultimo, per essere fuori catalogo e per la storia. Ma d’altra parte, qual è il senso della malinconia, la natura della malinconia? Questa condizione che definiamo malinconia, perché ha questa natura così tanto letteraria? Il senso di solitudine che avvolge quando lo sguardo si posa sulla scena e produce un senso di estraneità. Il silenzio dell’osservatore che in penombra contempla la vita degli altri. Il ricorrente riflettere sulla morte, sulla finitezza, sullo scorrere del tempo. Il ricordo dei giorni quando non ci si pensava alla luce crepuscolare. Il raccogliere le proprie poche cose alle quali si tiene in modo particolare, contarle, scoprire che sono davvero poche e sono per lo più non condivise, segrete, certamente sopravvalutate. Potremmo andare avanti ore a descrivere la malinconia. Ecco perché è tanto letteraria: è illimitata la descrizione della consapevolezza della limitazione.

Due parole sulla storia le ho già dette. Se volete le ripeto: è la storia di un killer che osserva la sua vittima; è la storia di questa osservazione che si riflette all’infinito in una galleria di specchi. Borgesianamente, qualcuno ha detto e probabilmente è vero.

Camaleontico e imprendibile, dico io di Feinmann, come i suoi libri che nessun editore italiano ha saputo capire fino in fondo e non molti lettori hanno voluto ascoltare. Va bene anche così.

Era un uomo importante, altezzoso, con un giro d’affari loschi e non pochi nemici. Mendizábal, tuttavia, non ebbe bisogno di autorizzazione per sedersi sulla sedia di velluto che stava davanti alla sua scrivania. Valeva anche lui la sua parte – s’era detto – e nessuno poteva fare a meno di prenderne atto, neppure l’uomo importante. Sicché si sedette e accavallò persino le gambe.

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Questa voce è stata pubblicata il 18 aprile 2015 da in Autori, Editori, Feinmann, José Pablo, Feltrinelli con tag , , , , .

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