2000battute

«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

L’Oratorio di Natale – Göran Tunström

oratorio di natale

L’ORATORIO DI NATALE
Göran Tunström
Traduzione di Fulvio Ferrari
Iperborea 1996

Bè, facile non è dire qualcosa su questo libro. Almeno a me non sembra facile. Penso alle diverse linee che potrei tirare per partire da qui e arrivare a chiudere un discorsetto, e alle frasi che potrei mettere in fila sulle diverse linee, tutte quante che attraversano L’Oratorio di Natale di Tunström. Potrei fare tre o quattro teatrini diversi, per dire. Che poi, questi scandinavi, tetri, rigidi ed emotivamente costipati, si presterebbero pure bene a un po’ di sarcasmo. Ho anche accennato a passarlo a Cornelio Nepote, ma mi ha risposto appena muovendo il capo in segno di diniego, incomunicabile come è diventato dacché si è chiuso in un sarcofago di malinconia universale.

Sono indeciso. Che scrivo? E soprattutto perché? Troppe domande. E troppe linee. In realtà ce ne sono solo due di linee che potrei seguire. Come dire che questo libro si presta a essere preso per un verso o rivoltato per l’altro. Terzo non dato, quindi è un libro al più bidimensionale. E di certo qualcuno protesterà sulla bidimensionalità.

La questione si aggroviglia attorno al dolore. Il Dolore. È il punto. Il punto che pretende una scelta. O si china il capo e lo si accetta, il Dolore intendo, e allora la linea passa per forza solo dalle parole di Tunström. Oppure si sguscia via e ci si fa beffe del Dolore, quello delle parole, il Dolore di carta, l’immagine del Dolore, non e il Dolore vero, è la messinscena del Dolore, il teatro del Dolore, la finzione del Dolore. È irreale. In questo caso la linea si struscia le suole delle scarpe sulle parole di Tunstròm. Che faccio? Non so decidermi.

Perché il dolore impone un peso morale? Anche il dolore finto, quello messo in scena sulle pagine di un libro. È un libro, sono pagine, è una storia. È una storia dolorosa. Anzi di più: è la storia del dolore: sono tre generazioni di uomini e donne unite dal dolore. Perché devo sentire questo finto falso fasullo obbligo morale di dover assecondare la messinscena e sentirmi addolorato, parlarne in modo addolorato, as-se-con-da-re le parole? Perché invece non posso ridacchiare di questi vichinghi che, nei rigori delle loro lande infelici, immaginano storie disgraziate che non si limitano però alla semplice tragedia ma diventano disgrazie epocali, epiche del dolore, addirittura generazionali, praticamente genetiche, contro ogni teoria evoluzionistica e detto popolare?

Hanno un modo tutto loro gli uomini del Nord del mondo di esprimere il dramma letterario. Sembrano costipati emotivamente, lo dicevo pure prima. Di solito si sciolgono ubriacandosi. Qualcuno con talento per la scrittura – nel caso di Göran Tunström un enorme talento per la scrittura, un talento assoluto per la scrittura – si scioglie scrivendo testi come L’Oratorio di Natale – anche se io ho sempre nella testa l’eco di Stig Dagerman quando si parla di dolore scandinavo. Questo è un libro imbevuto di dolore, un dolore che è scritto nel destino, cupo, sordo, come una vena di sangue nero, amaro, che fa impazzire gli uomini. Soprattutto gli uomini. Le donne si consumano. Somiglia molto alla Natura delle loro terre, questo Dolore scandinavo.

Posso immaginarmi che razza di soldato fosse, il fratello di Tessa. Magari è diventato un eroe, chissà poi cosa vuol dire. Finalmente avrà avuto modo di pestare selvaggiamente chi gli capitava a tiro. Probabilmente è questo che sono gli eroi: gente che finalmente può ammazzare, come ha sempre sognato di fare per tutta la vita.

Con Tunström non si riesce tanto a ridacchiare. Bé, lo sapevo. Volevo solo un po’ alleggerire il discorso. Bé, insomma, L’Oratorio di Natale è un gran libro, niente da dire. Denso, lento, faticoso, non scorrevole. Forse perché si legge frenando continuamente, invece di lasciarsi andare e prendere l’abbrivo. È il tipico libro che sa assumere su di sé la responsabilità di Libro Nazionale, Libro Monumento, Libro Emblema e anche Libro Paradigma.

Una storia circolare del dolore: l’ultima generazione dà l’avvio e chiude. In mezzo i due veri protagonisti. Due uomini, Aron e Sidner, nonno e padre di Victor. Sono loro due che attraversano il mondo spinti dal dolore. In uno il dolore sgorga dalla morte della moglie Solveig, amatissima, fonte di luce e di vita. Ecco lo stile nordico: non c’è tragedia annunciata, non c’è sgomento o furore, non c’è strazio sanguinante: il dolore ridisegna l’immagine del mondo. Aron vive in un mondo ridefinito dal dolore della scomparsa di Solveig. Aron diventa l’uomo che attraversa l’irrealtà. Cambia generazione: il figlio di Aron, Sidner, giovanissimo, diventa padre, in modo, possiamo dire, casuale, per come uno può diventare padre casualmente. Diviene padre ma non amante o compagno o marito o soltanto presenza per il figlio.

Tunström usa un espediente che non è nuovo: inserisce un testo nel testo facendo scrivere un diario a uno dei protagonisti. Anche Ernesto Sabato lo fa in Sopra eroi e tombe. Il diario si intitola Sulle carezze, lo scrive Sidner per il figlio a cui non può fare da padre. È malinconico e disperato. Un diario di un uomo angosciato. Poi arriva la notizia: il padre Aron è morto. Era su una nave diretta verso il mondo irreale. Ha piegato gli indumenti, accostato le scarpe e si è gettato in mare. La consolazione di una realtà qualsiasi, Tunström non la concede.

È necessario, quando si è in grande Dolore, leggere Swedenborg, perché s’impara a credere che questa vita è apparenza e ha il suo corrispondente nello Spirituale. È una consolazione sapere che nello Spirituale saranno corretti gli errori commessi con le donne che offendo non per cattiveria ma per disperazione. Ed è una grande consolazione imparare che il Desiderio di sedurre delle giovani innocenti non è desiderio di sverginare e nemmeno di stuprare ma è un desiderio particolare, a sé.

Leggere Swedenborg quando si è in grande Dolore è pericoloso. Sidner non lo sa, impazzisce e il sesso diventa psicosi. Il diario Sulle carezze si trasforma nello scritto di un folle con la cronaca della reclusione in manicomio fino alla guarigione. Il senso di precarietà e la paura che stringono la mente che sbanda sono interpretate in modo stupendo da Tunström.

Infine la traccia circolare di dolore che attraversa la storia e i suoi personaggi si chiude. Il testimone generazionale passa al figlio di Sidner, nipote di Aron, Victor. Sarà lui a eseguire l’Oratorio di Natale di Bach, che Solveig, sua nonna, la cui morte è la sorgente del Dolore, preparò per dieci anni con i parrocchiani della chiesa di Sunne, il paese svedese dove si svolge la storia, ma non poté eseguire.

Ve l’avevo detto che sarebbe stato difficile dire qualcosa su questo libro.
Gran libro però, nonostante la fatica. Libro che solo un grande scrittore può scrivere.

16 commenti su “L’Oratorio di Natale – Göran Tunström

  1. Pingback: Chiarori – Göran Tunström #Iperborea #GoranTunstrom – 50 libri in un anno

  2. Maurizio Mancini
    6 ottobre 2015

    leggere questi nordici mi fa venire in mente Le onde del destino di Lars von Trier…

    • 2000battute
      6 ottobre 2015

      sì, anche a me, spesso

    • Maurizio Mancini
      6 ottobre 2015

      una qualche affinità….
      ho cominciato L’istituto per la regolazione degli orologi di Tanpinar , un turco e, mi sembra molto interessante poi mi aspetta Così ha inizio il male di Javier Marìas…
      ce ne son da leggere…
      buona serata 2000!

  3. Agata (e la tempesta)
    3 Maggio 2015

    Letto anni fa. Due cose mi sono rimaste in mente. Il nome della moglie morta, Solveig, e l’Oratorio di Natale, che mi sono ascoltata in sottofondo per tutta la durata del libro. Ah, era natale…

    • 2000battute
      3 Maggio 2015

      Leggere L’Oratorio di Natale a Natale ascoltando l’Oratorio di Natale mi sembra una cosa bellissima

    • Agata (e la tempesta)
      3 Maggio 2015

      Lo è. Spesso, quando trovo della musica nei libri, me la metto come colonna sonora. Prova, vedrai, è come essere un personaggio.

    • 2000battute
      3 Maggio 2015

      Hai letto Izzo? È pieno di musica

    • Agata (e la tempesta)
      3 Maggio 2015

      No, mai. Scrive gialli o sbaglio?

    • 2000battute
      4 Maggio 2015

      L’hanno etichettato come “noir mediterraneo”, ma solo per cercare di vendere i mediocri giallisti nostrani. No, non scrive gialli, e neppure noir. Scrive di Marsiglia, del mare, dei sapori, della musica, delle donne e della vita. Io lo amo. Ti consiglio la Trilogia di Fabio Montale (Casino totale-Chourmo-Solea)

    • Agata (e la tempesta)
      4 Maggio 2015

      Grazie! Temo sempre di non riuscire a leggere tutto ciò che vorrei, quindi apprezzo i consigli “vaisulsicuro” 😊

    • 2000battute
      4 Maggio 2015

      oddio, “vaisulsicuro” io non lo so mai, ognuno legge il proprio libro, ma una chance Izzo la merita, credo

    • Agata (e la tempesta)
      4 Maggio 2015

      e allora diamogliela ;)

    • 2000battute
      4 Maggio 2015

      :)

  4. karenina
    2 Maggio 2015

    Che coincidenza, l’ho finito ieri, bellissimo ancorché devastante, ora mi leggo la tua recensione.

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Questa voce è stata pubblicata il 2 Maggio 2015 da in Autori, Editori, Iperborea, Tunström, Göran con tag , , , , .

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