«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
LA CITTÀ DELL’OBLIO
René Frégni
Traduzione di Alberto Pezzotta
Meridiano Zero 1999
Di René Frégni avevo sentito parlare non molto tempo fa su Radio3, non ricordo chi ne parlasse, forse uno dei conduttori di Pagina3. Non ricordo. Quello che invece ricordo bene è che il discorso ruotava attorno a Jean-Claude Izzo, si stava parlando di Izzo, per un anniversario, forse.
E quando si parla di Izzo io sono attentissimo, perché io amo le opere di Izzo. La Trilogia di Fabio Montale, in particolare. Qualcuno dice che è un genere letterario che si chiama Noir Mediterraneo, ma a me di questa definizione non importa un tubo. Per me è la rappresentazione più meravigliosa che potesse darsi di Marsiglia, un capolavoro di sensi, colori e profumi, sapori, musica, mare, donne, amori, sesso, giustizia, ingiustizia, criminali e poliziotti, tutto quanto pulsante di vita e tenuto insieme dalla luce rosa del sole che, riflessa dal mare, si scioglie su Marsiglia. Izzo è stato a modo suo un mago e uno che ha riempito di gioia i molti che lo hanno letto.
Quindi, quando sento parlare di Marsiglia e di Izzo io sono attentissimo. Pure un po’ nostalgico. E malinconico, ma allo stesso tempo sorridente.
Ricordo che qualcuno, forse era Lagioia o Giacopini o Camurri, o magari non era Pagina3 e quindi era qualcun altro che ne parlava, ma in ogni caso, ricordo bene che mentre ascoltavo attentissimamente, qualcuno ha citato René Frégni dicendo che è probabilmente lo scrittore che più di tutti richiama Izzo. Capirete bene come abbia preso immediatamente nota del nome.
Ed eccoci qua per il primo incontro con René Frégni e La città dell’oblio. Il titolo originale era Où se perdent les hommes, che era bello, forse più bello de La città dell’oblio, che non è brutto ma gli manca qualcosa: il perdersi al posto dell’obliare. Non sono la stessa cosa. Chi vive in una città dell’oblio, qualunque cosa voglia rappresentare, è un uomo perduto, certamente. Perduto rispetto a tutti quelli che vivono all’esterno di quella città e perduto anche per se stesso. Da quell’oblio pare che non ci sia ritorno. Ma, perdersi ha un significato in più. Meglio: ha un sapore diverso, più intenso, più ricco di gusto, che riempie il palato. Perdersi è un verbo marsigliese, un verbo izziano, è una vita che è bruciata troppo rapidamente sotto quella luce, quei profumi, quelle sensazioni forti e totali. Obliare non è un verbo marsigliese né un verbo izziano. Nel perdersi c’è un impulso, forse un volere, una consapevolezza. Nel’obliarsi no, si subisce l’oblio, si viene spinti là dove l’oblio è ciò che resta. Ecco perché il titolo originale è migliore: è più sincero, più carnale, più mediterraneo.
Ma allora è vero che René Frégni ricorda Izzo? O detto in modo migliore: È vero che leggendo Frégni è quasi come se si tornasse a leggere Izzo? Sì e No, rispettivamente.
Frégni ricorda Izzo perché anche Frégni scrive di Marsiglia in quel modo che sembra descrivere un rapporto carnale con la città che era lo stesso modo che aveva Izzo. Anche Frégni sembra essere un frutto maturo di Marsiglia: è nato da quella città indescrivibile, da quella luce riflessa sul mare, è un uomo che vive i sapori di quella terra affacciata sul Mediterraneo. In questo Frégni è come Izzo e per questo lo ricorda. Metteteci anche che entrambi scrivono (cosiddetti) noir che non sono dei noir (se state a sentire gli epigoni italiani sono dei supernoir, ma sono tutte balle, non è vero niente, lo dicono solo per cercare di vendere i loro noiretti) e il parallelo tra i due ci sta, con Izzo il maestro e Frégni il discepolo. Ci sta, non è un parlare a vanvera.
Però, sapete come vanno queste cose di cuori spezzati e ricordi di uomo che invecchia e si fa malinconico: lunghi sospiri, memorie che non affondano mai, rimpianti: l’amore perduto è sempre il migliore e niente e nessuno potrà mai fare pari o fare pure meglio (almeno fintanto che non arriva un nuovo amore a fare pari o pure meglio). L’uomo ricorda e si strugge: ingiusto nel paragonare il vivo al ricordo, crudele nel preferire il passato al futuro, incapace di percepire il presente.
Io sono un amante che si strugge quando ricorda Izzo e per questo Frégni che pur scrive una piccola ma intensa e affascinante storia con La città dell’oblio non può colmare la mancanza di Izzo quando Marsiglia appare di nuovo, ancora una volta, immemore, sulla pagina, avvolta della luce rosata che il Mediterraneo le soffia lieve addosso.
La città dell’oblio è un bel libro di passione e vite di uomini che si perdono nelle loro ossessioni; uomini che si sono perduti molto tempo fa ma che, in qualche caso, dall’oblio ritrovano la strada del ritorno e nonostante tutto, nonostante se stessi e le circostanze della vita, ritrovano il sorriso. È anche, credo, un libro e un autore semi-dimenticato. Ed è un peccato perché René Frégni mi pare invece uno scrittore che sulla pagina riversa vita e passione e, soprattutto, la riempie di riflessi di Marsiglia e quelli sono sempre, comunque, stupendi.
Mi sono avvicinato alla finestrella e ho appoggiato la fronte contro le sbarre. Lacrime di felicità mi inondavano il volto. Aveva detto “il nostro bambino”.
Da qualche parte, per le vie di Marsiglia, Laura era sola assieme a me. Camminava sulla grande diga lungo i dock, in ricordo dei primi anni del nostro amore?
Guardava il sole inabissarsi nel mare, come una barca di fuoco che affonda lentamente vicino alle isole?
Il tramonto schiacciava manciate di ribes contro la maiolica del cielo. Dietro le mura, c’erano uomini che invocavano Dio. Sotto i miei occhi c’era l’antica prigione dei condannati a morte, e vivevo forse la sera più bella della mia vita.