«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
GUARIGIONE
Cristiano De Majo
Ponte alle Grazie 2014
Il mio modo di pensare a un libro, già mentre lo leggo, ma anche una volta terminato, passa necessariamente per la ricerca di un tratto dominante o un’espressione o una caratteristica primaria dell’opera o, se preferite il pragmatismo invece delle infiorettature, io cerco un criterio per giudicare, in modo semplice, come parla quel libro.
Già sento quelli che con fare bauscio dicono: Cerchi la voce… La Voce… il mondo editorialeletterario è l’unico luogo nel quale perdura questa convinzione stralunata che si debbano sentire le voci; in qualunque altro posto civile, sentire le voci vuol dire essere degli strampalati. Che le convinzioni degli uomini fossero un po’ ridicole lo aveva già capito pure Diogene il Cane molto tempo fa.
No, La Voce, l’ectoplasmatico oggetto del desiderio editoriale non c’entra niente con quello che sto cercando di dire.
Tolti di mezzo quelli che sentono le voci, rimangono quelli che appena sentono, anzi intuiscono, perché non sia mai che togliamo loro qualche merito tra i tanti che già hanno, quindi intuiscono che sei uno che giudica iniziano a strillare come ossessi scappati dalla tela di Münch. Quelli del Tu giudichi! detto come se l’incriminato fosse sospettato di stuprare bambini e vecchiette sono i fanatici dell’integralismo morale che ha come unico fondamento l’ingiudicabilità, ma se provate a dirlo tentano di sgozzarvi. Non giudico quindi sono, ma soprattutto tu giudichi quindi sei peggio di me. O altre stramberie psicoqualcosa del genere. Io invece giudico allegramente e me ne impipo dei fanatici dell’ingiudicabilità morale.
Togliamo di mezzo anche questi e finalmente possiamo parlare di questo libro tra persone ragionevoli.
Per parlare di Guarigione ho bisogno di segnare una croce in un certo punto e dire Qui! Si scava qui. Cioè non voglio girarci intorno, snodare, riannodare, biascicare, mugugnare, mettere una parola di qua e una di là, senza capo né coda. Voglio un metro di giudizio chiaro e seguire quello fino alla fine. Altrimenti ci si perde. Io mi perdo. Perché Guarigione è un libro che può diventare scivoloso, sgusciare di mano, ribaltarsi. La presa non è salda. Per questo mi serve segnare la croce in un punto preciso e Qui! Si scava. Chi sa tenere in mano cose scivolose non ne avrà bisogno, ma io sì.
Allora la croce la metto su Cristiano De Majo, cioè faccio la cosa più sbagliata tra tutte quelle che si possono fare per parlare di un libro: giudico l’autore, anzi l’uomo. Sbagliatissimo. Pessima scelta. Roba da confusionari. Il peggio del peggio. Questo la dice lunga sulla mia serietà.
Io penso che Cristiano De Majo sia una brava persona. Una persona onesta, nel senso di sincera, per quanto possa essere sincera una persona che non è che si debba confessare con voi, che preti non siete (se per caso lo siete non importa, non è che perché siete preti allora chiunque si deve confessare con voi, io ad esempio manco per sogno lo faccio).
Quindi segno la croce e parto dicendo De Majo è una brava persona. Giudico, sulla base di niente, ma io penso sia un buon punto di partenza. Da qui segue quello che posso dire del libro, che però ora diventa quasi superfluo.
È un bel libro. Intimo, personale, una confessione, così sembra, autobiografico, non so in che misura, non cerco mai informazioni sulla vita di un autore, però sembra molto autobiografico, quando lo si legge viene spontaneo dire Cacchio quanto è autobiografico! Sembra quasi un diario privato, ma solo in certi tratti. Ecco appunto, come dicevo, queste sono le banalità superflue.
In realtà la scrittura di De Majo è molto controllata, spesso impostata, come una voce diaframmatica o un’inflessione da recitativo. Rallentata apposta. Al ralentì, si diceva una volta. De Majo a tratti scrive al ralentì; soggetto-verbo-complemento e l’inciso con la coppia di aggettivi che sembrano i carabinieri delle barzellette, lemme lemme, quasi senza fiato. Stancamente. De Majo oltre che una brava persona mi sembra anche stanco. Stanco di far finta di emozionarsi o di riempirsi di entusiasmi artificiali, stanco di fare attenzione a quello che fanno gli altri e copiarli o fare a gara, stanco anche di discutere di tutto, su tutto e con tutti. Forse confondo De Majo con me, ma ormai ho iniziato così e vado avanti.
Scusate se mi dilungherò ma sto ascoltando musica klezmer alla radio e mi viene da seguire quel ritmo ripetitivo e dolciastro da feste balcaniche. Proseguo, klezmereggiando, ma De Majo non se ne avrà a male, ne sono sicuro.
Dicevo della scrittura al ralentì. A tratti la usa e l’effetto è di smorzare il pathos. Già perché la storia avrebbe molto pathos: un’autobiografia, storia di una vita adulta, Napoli sullo sfondo e a volte in primo piano, la letteratura, l’Italia contemporanea delle esistenze precarie, famiglie che si formano, nascono figli, due, in un colpo solo, i bambini che crescono sotto lo sguardo del genitore, un bambino è malato, non grave ma nemmeno una cosa da niente, straziante no? non esageriamo, un po’ di sentimento comunque viene su gorgogliando, come sempre quando ci sono bambini o gattini o cagnolini nella storia, ma anche la voce narrante, che poi è lo stesso autore, quindi uno di carne e ossa, mica un’invenzione, racconta che è stato malato, lo è stato gravemente, ma ora è guarito, sembra guarito, non si sa mai con certe malattie, ti rimangono dentro, ti rimane un’ombra che t’annebbia la vista e un nodo che ti stringe il respiro, ti rimane la paura, e poi c’è anche la compagna, la madre dei bambini, Laura si chiama – anche nella realtà si chiama Laura? C’è una Laura reale? – ricominciamo da capo che il klezmer fa così, gira e rigira, è musica per danze popolari: c’è la soggettività dell’artista napoletano precario, c’è il padre di due gemelli di cui uno malato ma che forse guarisce, c’è l’uomo scampato a un male che mette terrore solo a sentirlo pronunciare e non ha importanza che sia curabile con alta probabilità, un tumore alla palle fa ghiacciare il sangue, altroché buone probabilità di guarigione, col cazzo che sto tranquillo, vorrei vedere te, cazzo, con una roba che ti mangia un marone dire Bè dai, sono tranquillo – qui sono molto klezmer, non c’è dubbio – e infine c’è la coppia che si avvicina, si allontana, vive di incomprensioni e di tenerezze, di parole dette ma mai si sa come recepite, sono sempre molte di più le parole pensate di quelle dette, vive anche di sfuriate e di pentimenti, di timori e di incertezze, di affetto e di routine; è una coppia reale, come succede a molti, a molti succede di peggio, in realtà, e a quelli viene da invidiare un po’ De Majo, nonostante il suo tumore alle palle, ma infine – il clarinetto klezmer ora sta piangendo, madonna che tristezza di pezzo – a leggere Guarigione succede quello che mi succede a me a scrivere ascoltando il concerto klezmer: mi accordo con la musica, scrivo per seguire quella, non per dire o non dire, ora ad esempio è tornato brioso il clarinetto klezmer e disegna ghirigori e così con Guarigione, se si parte giudicando De Majo una brava persona e quindi tutto sommato onesto e sincero, allora lo si segue, quando va al ralentì si rallenta fin quasi a non leggere più, quando cambia tono improvvisamente ci si rianima come clarinetti klezmer, quando si vedono crescere i gemelli si vedono crescere i propri figli, reali o immaginari che siano, quando litiga con Laura si rivedono le incomprensioni e le sfuriate con le tante Laure, quando non riconosce un futuro si constata l’incertezza su quel che sarà del luogo dove si vive, del paese, dei progetti, e infine, quando parla di malattie dalle quali si può guarire ma senza mai perderne i segni, visibili o invisibili, le tracce del passaggio di quel pezzo di vita, allora pure chi legge, forse, un po’ riconosce su di sé i segni delle malattie, del tempo, dell’esistenza. È una storia normale, insomma, tutto sommato. Capita a tutti.
Per questo io penso che Guarigioni sia un bel libro, scritto da uno che sa scrivere bene, ma anche uno che ha cercato di essere onesto sapendo che sarebbe stato giudicato. E con questo siamo arrivati agli applausi alla fine del concerto di musica klezmer.
P.S. Unica nota stonata: la copertina, senza senso pare a me. Nel libro i bambini sono due, maschi, gemelli e vivono a Napoli. In copertina c’è una bambina bionda ritratta in una tipica strada americana. Robe da relativismo hardcore, come al solito.
meno male che non porto l’orologio……buon fine settimana 2000, stammi bene.
una brutta copertina di un libro è come un graffio sul vetro dell’orologio, non si può sopportare.
bé dai, basta non guardarla in continuazione