2000battute

«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Estate – René Frégni

estate

ESTATE
René Frégni
Traduzione di Claudia Zonghetti
Meridiano Zero 2010

Ancora Frégni dopo La città dell’oblio e di nuovo non comprendo perché sia classificato come noir. Inizio a sospettare di non aver capito cosa si intenda con noir visto che io questo Estate lo classificherei come romanzo d’amore e di distruzione e mai come noir. Ma tant’è, basta non interessarsi alle questioni di genere e il problema scompare da sé.

Di nuovo Frégni e quindi di nuovo il ricordo di Jean-Claude Izzo, anche se inizia un poco a scostarsi per far posto al solo René Frégni, di nuovo Marsiglia e il sole, la luce, il cibo e i colori e la sensualità femminile che si mescolano. E la galera. Questo è tipico di Frégni, mi pare di capire. Non so se perché egli stesso in gioventù è stato in carcere e da quello è evaso, ma certo che la presenza del carcere nella storia è palpabile, palese come ne La città dell’oblio che proprio in carcere è ambientato o implicita nell’alone di delitto imminente come in Estate. Carcere come luogo fisico di perdita di se stessi e carcere come luogo dell’anima che la vita ha condannato.

Le storie di Frégni, così pare a me dopo solo due letture, si aggirano tra queste ombre onnipresenti e negli interstizi lasciati da quelle, come stretti vicoli di una kasbah mediterranea, fiorisce un tripudio di vita palpitante, consumata con brama, bevuta fino a scoppiare e sudata di sesso, profumata di essenze. Se in Izzo Marsiglia era la culla nella quale vita, amore, dolore e morte si intrecciavano danzando, in Frégni Marsiglia è questo tappeto di sensi che ricopre i passaggi sopravvissuti da un agglomerato di mura invalicabili che si stringono progressivamente, inesorabilmente.
Izzo è il respiro profondo che riempie i polmoni di brezza marina all’uomo che contempla la bellezza. Frégni è il respiro oppresso ma vitale del sopravvissuto a quella carneficina che è il mondo. Entrambi sono poeti di Marsiglia.

Aprile non è crudele solo con i pesci, ma anche per i miei piedi. Ai tavoli fuori ho servito centinaia di cozze ripiene, salmoni marinati, filetti al roquefort o al pepe verde. E non era ancora niente; l’estate passata i miei piedi avevano fatto esplodere due paia di scarpe, raddoppiando di volume. Non c’è scarpa che resista a duecento coperti al giorno. Le ho provate tutte, persino quelle ortopediche.
Facevo tintinnare la cassa dalle nove del mattino a mezzanotte. Chiudevo giusto un paio d’ore nel pomeriggio. Andavo a stendermi sull’erba con i piccioni, gli innamorati e i gatti, con gli occhi pieni dell’azzurro del cielo. La sera, inebetito, guardavo i seno di Cécile che si alzavano e si abbassavano. A quell’ora della notte Tony non pareva più intelligente di me.
Verso l’una risalivo sotto i tetti. Mi facevo la doccia e mi accasciavo sul divano davanti a un film giallo, o a un thriller. Quando uno è a terra, ci vogliono sesso, grandi spazi e paura, possibilmente insieme. Se non c’è un qualche sentimento primario che mi stringe le budella, non arrivo nemmeno a metà film. Le palpebre mi pesavano quanto i piedi. Le mie pile di libri avrebbero atteso l’inverno ingiallendo contro le pareti.

Così vive Paul, il protagonista, prima dell’incontro con Sylvia. Da lì la storia decolla per poi precipitare a spirale nel finale. Non voglio rivelare nulla perché il finale è sorprendente e inquietante, Frégni lo cucina a fuoco lento fino a renderlo inevitabile. Inevitabile la tragedia. Questo sempre. Inevitabile anche dover sprofondare nelle voragini dell’animo della persona che si ha avuto vicino – ecco di nuovo gli interstizi bui – per comprendere il proprio destino. Le persone come kasbah labirintiche, mai rivelate fino in fondo, mai illuminate interamente, sempre parte di mistero, di angoscia e di solitudine. I protagonisti infine persi in quei meandri.

Paul e Sylvia si amano. O forse no. Forse è altro. Lei non è sola, una storia che si trascina sfilacciata, ormai all’epilogo. O forse no. Nessuno è mai sincero. Questo non solo nei libri. Non solo nelle storie di Frégni.

I suoi passi risuonarono rapidi per tutti i quattro piani. Mi buttai sul letto. Avevo ancora forze a sufficienza per fare l’amore come una bestia. Non ero innamorato, io, ero malato. Malato di passione. Ed ero sicuro che non sarebbe più tornata.

Le sicurezze, ah già, tutti lo sanno, sono come i volti della Luna. Lo sa anche Paul. Ma non le passioni. Loro non lo sanno. Le passioni non sono lunari.

Amore, passione, rancore, disperazione, avvicinarsi e allontanarsi, Sylvia è tutto ma tutto può scomparire ogni istante. Il terzo, “l’altro” non scompare, si fa aggressivo, è uomo squilibrato e pericoloso. Non è un thriller. È una rappresentazione, come a teatro. Si avvicina il delitto, le ombre del carcere di Frégni si ispessiscono. Amore, follia, delitto, Paul, Sylvia, il pittore… STOP!

Niente è così. Vi sto raccontando un’altra storia. Una storia che esiste solo riflessa nei miei occhi. Non è questa la storia di Estate. Non ve la posso raccontare, ve l’avevo detto subito.

In tutti i porti del mondo era l’ora di chiedere un caffè seduti davanti a un tavolino di marmo o in piedi al bancone con gli uccelli notturni e quelli marini. L’ora di guardare le barche che sparivano nell’oro e nella bruma. L’ora di aprire un giornale, di rincasare per coricarsi. L’ora della fiducia. L’ora di aver voglia di un paio di tette o di una brioche calda. L’ora di salire su un camion. L’ora di nascondersi. Quella di nascere o di mollare. L’ora di sedersi in un giardino pubblico tra il frastuono degli usignoli e il profumo dei limoni. L’ora di capire o di dimenticare. Di capire cosa avevo fatto. Avevo appena ucciso una parte della mia vita.
Spostai un tavolinetto di legno davanti alla finestra e tirai fuori dalla borsa il quaderno e le foto di Sylvia. Mi sedetti di fronte al mare e cominciai a scrivere mentre la guardavo che dormiva, nuda.
Volevo capire oltre il sonno chi era davvero quella donna. Volevo toccare dietro le sue palpebre tutta quella luce, tutta quella crudeltà.

Molto bello. È un libro triste e profumato.

Un commento su “Estate – René Frégni

  1. Enza
    12 luglio 2017

    Libro triste e profumato. Anima e sensi. Me ne giunge la migrazione.
    Autore a me completamente sconosciuto. Grazie.

Commenta, se vuoi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Informazione

Questa voce è stata pubblicata il 30 Maggio 2015 da in Autori, Editori, Frégni, René, Meridiano Zero con tag , , , , , .

Copyleft

Licenza Creative Commons
2000battute è distribuito con licenza Creative Commons 2.5 Italia.

Autori/Editori

Archivi

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: