«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
BRUGES LA MORTA
Georges Rodenbach
Traduzione di Catherine Mc Gilvray
Fazi 1995
In questo studio delle passioni abbiamo voluto comunque e soprattutto evocare una Città, la Città come personaggio necessario, che partecipa agli stati d’animo, consiglia, dissuade, spinge all’azione. Così – come nella realtà – questa Bruges che abbiamo scelta appare quasi umana. Il suo influsso si trasmette a tutti quelli che vi soggiornano. Li modella a immagine dei suoi paesaggi e delle sue campane. Questo volevamo suggerire: è la Città stessa che orienta l’azione; i paesaggi urbani non sono più soltanto fondali dipinti, motivi scelti un po’ arbitrariamente, ma prendono parte anch’essi alla storia.
Così inizia l’enigmatico Bruges-la-Morte che Georges Rodenbach, belga, pubblicò nel 1892. Prima di lui e soprattutto dopo di lui sono stati molti gli scrittori che hanno dato corpo a una città facendone un personaggio cruciale della storia, liberandola dal ruolo di fondale e dandole corpo, pulsioni, spesso colori e brume che plasmano gli uomini. Boris Vian ha perfino reso plastica la città facendone un’estensione dell’anima. Pietroburgo, Parigi, Praga, sono alcune delle grandi città fatte protagoniste di opere memorabili. E anche Bruges.
Attenzione però a non interpretare male. Bruges la Morta non è una storia di Bruges, ma uno “studio delle passioni”, passioni umane naturalmente, passioni d’amore o di qualcosa che sembra amore senza esserlo, e passioni che non nascono semplicemente nel petto di un uomo ma respirano insieme al luogo. E quel luogo qui è Bruges, che Rodenbach descrive così:
quais, strade deserte, vecchie case, canali, Beghinaggio, chiese, ori del culto, campanile – così che il lettore possa a sua volta subire la presenza e l’influsso della Città, provare il contagio delle acque così vicine, sentire l’ombra che dalle alte torri si distende sul testo.
Molto ottocentesca questa descrizione, imbevuta di eroismi decadenti e di passioni che si respirano con l’aria stessa.
Il protagonista della storia è un recente vedovo, Hugues Viane, spezzato dal dolore per l’improvvisa morte della giovane moglie e perso nell’inconsistenza del presente.
Hugues ricominciava ogni sera lo stesso percorso, costeggiando i canali con un passo esitante, già un po’ curvo, malgrado avesse solo quarant’anni.
Ecco che si sente “l’ombra che dalle alte torri si distende sul testo”. Bruges immersa nella bruma, notturna, con le sue pietre antiche e l’acqua scura accompagna Hugues nel suo cammino ripetitivo, di muta sofferenza, senza scopo.
La città, anch’essa bella e amata un tempo, incarnava così i suoi rimpianti. Bruges era la sua morta, e la sua morta era Bruges. Tutto era unito da un identico destino: era Bruges-la-Morta […]
Questa è la scena che prepara magistralmente Rodenbach: un uomo, una morta, una città tutti uniti da un destino comune, tutti vittime di un tempo che inesorabile compie i suoi delitti, commina le pene e tutto annerisce. È un grande, maestoso scenario di cupa tragedia.
Poi avviene l’impossibile. Mentre cammina lungo i quai tenebrosi, Hugues incrocia una donna. Ne rimane turbato. La segue, “Come assomigliava alla morta!”. La cerca ancora nei giorni successivi, impaziente torna sulla stessa via alla stessa ora, sembra disperare di incontrarla ancora finché non avviene di nuovo. La donna riappare lungo quella strada.
Ah, quel suo sguardo ritrovato, riemerso dal nulla! Aveva creduto di non rivederlo mai più, lo immaginava dissolto nella terra, e invece ora si posava su di lui, calmo e dolce, rifiorito e di nuovo carezzevole… Quello sguardo tornato da così lontano, che risorgeva dalla tomba… Così doveva essere lo sguardo che Lazzaro ebbe per Gesù.
La donna si chiama Jane, è una ballerina di spettacoli teatrali. E la storia di Hugues e la sua morta riemersa dalla terra comincia.
Non dimenticate, è uno “studio di passioni”, non una storia romantica. È lo studio delle passioni che cercano le somiglianze, l’anelare a replicare quanto già avvenuto, il desiderio così comune e così feroce di imporre alla storia di ripetersi.
Se era certo un amore profondo quello di Hugues per la moglie, lo è altrettanto quello per Jane? È amore quello per la donna risorta dalla tomba? O è un sentimento al quale non è mai stato dato un nome, un riflesso di se stessi, uno specchiarsi nel proprio passato, un imporre un senso solo attraverso lo strumento rugginoso della somiglianza.
E ancora, è davvero tanto somigliante Jane alla morta? È proprio quella goccia d’acqua che a Hugues appare? Se lo è perché solo lui in tutta la storia se ne accorge? Nessun altro rimane esterrefatto per la somiglianza prodigiosa tra le due donne. Ma allora, che cos’è la somiglianza?
Perché ha un potere tanto magnetico? Sembra impossibile sfuggirle, sembra l’unica certezza in un mondo di canali cupi, alti muri in rovina e luce asmatica che a fatica si fa strada nell’ombra densa. Eppure in un attimo scompare, come un’immagine improvvisamente distorta da uno specchio che inizi a contorcersi, la somiglianza perfetta si deforma, diventa mostruosa, cola come plastica fusa. Ma che cos’è la somiglianza?
Hugues rifletteva sul potere indefinibile della somiglianza. Essa corrisponde alle due necessità contrastanti della natura umana: l’abitudine e la novità. L’abitudine è la legge, il ritmo stesso dell’esistenza. Hugues l’aveva sperimentata con un’intensità tale da incidere irrimediabilmente sul suo destino. Avendo vissuto dieci anni accanto a una donna sempre cara, non poteva disabituarsene, continuava a pensare all’assente e a cercare il suo volto in quello di altre.
D’altra parte il gusto della novità non è meno istintivo. L’uomo si stanca di possedere lo stesso bene. Non si apprezza la felicità, così come la salute, se non attraverso la sua negazione. E l’amore stesso consiste nella sua intermittenza.
Ora, la somiglianza è precisamente ciò che armonizza in noi queste due esigenze, dando voce a entrambe e congiungendole in un punto imprecisato. La somiglianza è la linea d’orizzonte fra l’abitudine e la novità.
Una gemma ritrovata. Bravo Tommaso Pincio a metterlo in tasca al suo personaggio di Panorama.
Pingback: Bruges la morta – Il verbo leggere