«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
GLI ANNI
Annie Ernaux
Traduzione di Lorenzo Flabbi
L’Orma 2015
Non sarà un lavoro di rievocazione nel senso più consueto, ossia volto alla stesura narrativa di una vita, a una spiegazione di sé. Si guarderà dentro solo per ritrovarci il mondo, la memoria e l’immaginario dei suoi giorni passati, per cogliere i cambiamenti di idee, credenze e sensibilità, la trasformazione delle persone e del soggetto, ciò che lei ha conosciuto, ciò che forse non rappresenterà nulla per quanti conosceranno sua nipote, per tutti i viventi del 2070.
[…] In quella che vede come una sorta di autobiografia impersonale non ci sarà nessun «io», ma un «si» e un «noi», come se anche lei, a sua volta, svolgesse il racconto dei tempi andati.
Così Annie Ernaux nel finale de Gli anni chiude il cerchio recitando la spiegazione di uno stile narrativo insolito. Laconico. Un laconico inventario della sequenza di memorie di pensieri, immagini e avvenimenti che con una scansione regolare, senza salti emotivi, senza cambiare mai tono di voce, senza lasciarsi prendere dall’eccitazione di pesare diversamente memorie di epoche differenti, un inventario laconico che riesce, nel suo insieme, nell’insieme cioè formato da tutti Gli anni, a dare una descrizione grossomodo fedele della vita della narratrice. E ciò è il massimo che si può sperare di ottenere, forse, quando ci si propone di fare un inventario della propria vita.
So che sembrerà ambiguo o misterioso, ma a ciò in parte contribuisce la forma narrativa originale e in parte c’è una effettiva componente di ambiguità e mistero nel libro di Annie Ernaux. Nel bellissimo libro di Annie Ernaux.
Il recitare il libro di se stessi con tono apparentemente privo di partecipazione emotiva, inquieta e affascina. Questo è un libro che si deposita sul fondo e scava continuando a far sentire quella cantilena, quel salmodiare ipnotico. È la magia dell’elencazione, la perdita di presa sul reale che esercita l’oggettività. Sì, questo libro si deposita e scava, me lo sento.
I giovani professori si servivano dello stesso manuale su cui avevano studiato da ragazzi, il Lagarde et Michard dei loro anni di liceo, davano buoni voti e facevano fare compiti in classe ogni tre mesi, si iscrivevano a sindacati che in tutti i bollettini annunciavano «Il potere indietreggia!». La religiosa di Rivette era vietata, i libri erotici si compravano per corrispondenza dalle edizioni Terrain Vague, Sartre e Beauvoir si rifiutavano di andare in televisione (ma non importava a nessuno). Ci si portavano dietro valori e linguaggi ormai esauriti. Più tardi, ripensando al vocione brontolone dell’orsacchiotto Nounours della trasmissione per bambini Bonne nuit les petits, avremmo avuto l’impressione che, a quell’epoca, fosse de Gaulle a rimboccarci le coperte ogni sera.
È notevole l’abilità di Annie Ernaux nell’inventariare fatti grandi e piccoli, ricordi famigliari e avvenimenti, opinioni personali e notizie, tutto insieme, senza preferenze, senza neppure la presunzione di pesare gli avvenimenti, tutto è omogeneizzato dalla lettura del passato inteso nella sua forma più scarna: ciò che a posteriori la memoria ritrova per dare una forma al tempo trascorso. Dare una forma al tempo trascorso. E il collante di tutto, ancora una volta, è il tono laconico. La recitazione che salta continuamente dalla prima persona plurale alla terza persona singolare, dal personale indefinito all’estraneo che si osserva. L’inventario del proprio passato, a voler essere onesti, è come tutti gli inventari: un lavoro meticoloso di ordinamento, noioso, polveroso e senza alcuna possibilità di modificare ciò che ha determinato lo stato dei fatti. La propria vita è un magazzino che per larga parte ci appartiene ormai solo nominalmente, sembra voler dire Annie Ernaux.
Tutte le immagini scompariranno.
la donna accovacciata che, in pieno giorno, urinava dietro la baracca di un bar al margine delle rovine di Yvetot, dopo la guerra, si risistemava le mutande con la gonna ancora sollevata e se ne tornava nel caffè
il volto pieno di lacrime di Alida Valli mentre ballava con George Wilson nel film L’inverno ti farà tornare
Così inizia Gli anni. Tutte le immagini scompariranno. Proprio come tutti gli oggetti accatastati in un magazzino, prima o poi, scompaiono. Annie Ernaux ha 75 anni, quindi il suo inventario comincia appena dopo la guerra e arriva al presente. Ne attraversa tutti gli eventi, dalla prima mestruazione alla scuola, dalla contestazione del ’68 al suo lavoro di insegnante, il matrimonio e il divorzio, la famiglia e la solitudine, la giovinezza e la vecchiaia, tutto tolto da uno scaffale ed etichettato in una lunga scansione temporale, perché la narrazione non è storica, non è una sequenza di eventi o epoche, ma una scansione temporale: è il tempo di Annie Ernaux che trascorre e che deve essere rappresentato, ma il tempo non ha forma fintanto che non lo si riempie di oggetti, eventi, pensieri, fatti. Ecco allora de Gaulle insieme al bambolotto, una fotografia delle vacanze e i figli, la memoria di un pensiero e il ricordo di una notizia del telegiornale.
A volte, verso il finale, negli anni recenti, sembra scivolare un poco, perdere la laconicità dell’inventarista per lasciar filtrare una passione o forse una preferenza per una memoria. Succede talvolta, così mi è parso, quando colloca eventi politici recenti nella scansione del tempo, alcuni probabilmente non sono già del tutto depositati nel magazzino ma ancora transitano nell’immaginario del presente o nell’immagine presente che Annie Ernaux ha di sé. Sono attimi, piccoli tremori nella voce, il tono che sale improvvisamente per poi adagiarsi.
Le sembra che dietro di lei ci sia un libro che si scrive da solo, semplicemente vivendo, ma non c’è niente.
La terza persona solita ma straniante, sembra cinica, non lo è. È laconica. L’illusione che una vita rappresenti una storia da raccontare solo per il fatto di essere stata vissuta. Ma così non è. Ecco il senso de Gli anni e la sua grande bellezza e il fascino ambiguo. Raccontare una vita comune, una storia che non possiede nulla che la renda meritevole di essere raccontata, raccontare una vita che non è un libro già scritto, ma un non-libro e una non-storia. Raccontare gli anni nei quali si è stati se stessi.
Giustamente acclamato dalla critica. Bellobellissimo. Grande scrittrice.
Note:
– un’ottimo commento è apparso su alfabeta2 a firma di Guido Mazzoni.
Flabbi mi correggo per la digitazione errata
Grazie a tutti per le impressioni registrate.
Questo libro che ho letto dopo Il posto è L’altra figlia e di cui voi parlate è talmente carico di significati che ho sentito per settimane una proibizione a parlarne, forse il pudore di profanarlo. Piano piano, leggendo le vostre impressioni qualcosa si è forse sciolto/risolto e vi ringrazio. Lo considero, pur essendo inserito nel contesto francese e non italiano una cerniera necessaria tra la mia generazione ( nata all’inizio degli anni ’60) e quella dei miei fratelli nati nei 15 anni precedenti. Ora le famiglie così numerose e le coppie così durature non son facilmente reperibili e il problema probabilmente non si pone.
Con lei, nella sua non narrazione, enumerazione, emerge un’inquadratura individuale che senza che tu ti accorga diventa chiave sociale, sociologica : un modo che era anche forse una moda che ci siam lasciati dietro. Le pareti della stanza di un io che è a stento dato per scontato, cadono senza suono e sei nella strada, nella piazza, nel tempo di tutti. Ho scritto molto, per ora. È un genere che mette insieme racconto, biografia, saggio sociologico e molto altro ancora che non ricade in alcun genere paradossalmente. Eppure son solo tre ‘libretti’ …
Prenderò presto il suo ultimo, Memorie di una ragazza per aver ulteriori conferme.
Flabbri è stato grande nel render tutto ciò, decretandone il dovuto successo. Ancora grazie anche per il suggerimento dell’articolo di Mazzoni.
Grazie a voi per il commento
Merita davvero, grandi emozioni che partono in sordina ma si infilano sotto pelle.
Tempo fa di questa autrice lessi Il posto, mi piacque, ora so con cosa approfondire, grazie.
Il posto è molto bello, appena riletto. Questo è il seguito logico. Molto simile come scrittura