«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
LE VARIAZIONI REINACH
Filippo Tuena
Rizzoli 2005
Di Filippo Tuena dicevo, dopo aver letto Ultimo parallelo, che l’artificio letterario della voce in più, la voce d’ombra, la voce onniscente che si fa presenza e assenza era stata una trovata strepitosa.
Le variazioni Reinach – ora ripubblicato per BEAT – precede Ultimo parallelo e gli apre il varco nel quale passerà alcuni anni dopo. In questo non c’è una vera voce d’ombra come nell’altro, anche se ombre riflesse negli specchi del tempo e della storia ricorrono spesso, di variazione in variazione si potrebbe dire. Non c’è una voce d’ombra, ma già c’è una voce in più e un uomo in più, la presenza che si aggiunge alla spedizione, quasta volta non artica ma nella storia tragica del Novecento. La presenza in più che si affianca ai protagonisti, ne segue i passi e talvolta entra in scena ricacciandoli in secondo piano, quella stessa presenza che in Ultimo parallelo avrebbe compiuto la metamorfosi diventando non più solo un’accompagnatrice ma una creatrice di storie e della storia. Quella presenza così fisica e palpabile, della quale sentiamo spesso il respiro pesante e l’odore della pelle, è Filippo Tuena.
L’autore ha la capacità speciale di farsi parte della storia, interpretarsi e invadere il campo visivo. Qui come là. Qui come lo scrittore che faticosamente attraversa Parigi per recuperare le tracce di una storia che è una traccia nel tempo, una linea disegnata nella carne d’Europa, la memoria che svanisce di una famiglia ebrea divorata dal destino. Ma è anche un romanzo, di nuovo, come in Ultimo parallelo: è una storia ed è un romanzo. Non un romanzo storico. Una storia e un romanzo. Entrambi. Bifronte.
La famiglia Reinach appartiene all’aristocrazia ebrea della Parigi degli inizi del Novecento, famiglia di banchieri. Attraversa indenne la Grande Guerra e si affaccia sulla voragine che si apre senza accorgersi che sta per inghiottirli. È la storia di come gli uomini attendono, soprattutto quelli che hanno da perdere di più, ed è la storia di come a guardare la cose girandosi indietro non si vedrà mai quello che vedevano quelli che le cose cercavano di scorgerle all’orizzonte o anche solo nell’alba del giorno dopo.
Ed è anche la storia di una traccia che si perde e che lo scrittore tenta di recuperare, annoda dove può, salta dove deve e immagina dove è l’unica risorsa che gli rimane.
C’è un sistema per scegliere chi deportare e chi trattenere al campo, ma è un sistema poco comprensibile salvo per la principale differenziazione tra i francesi non deportabili e gli stranieri deportabili, tuttavia vi sono singolari sottospecie, per esempio le donne incinte di più di otto mesi non sono deportabili, il che significa che quelle con meno di otto mesi di gestazione sono invece deportabili, così come sono deportabili le donne che allattano o che hanno figli minori di due anni mentre gli ebrei stranieri che hanno i genitori in libertà non sono deportabili forse perché vengono usati come specchietto delle allodole, per attirare i genitori; mentre curiosamente i minori di sedici anni con un genitore libero e l’altro deportato vengono considerati deportabili, chissà in base a quale criterio; ma forse la categoria più singolare è quella dei ciechi che se non accompagnati devono essere considerati non deportabili e restarsene al campo e se accompagnati allora possono andare tranquillamente alla deportazione con l’accompagnatore che gli farà strada, gli terrà compagnia, gli spianerà il sentiero per il forno crematorio.
Bellissimo libro: storia di una storia, sulle tracce di come si racconta una storia. Lo dico di nuovo: gran scrittore Filippo Tuena.
letto e per me rientra fra gli ” imperdibili”.
Eh… Tuena è bravo molto
Interessante, lo leggerò. Un saluto
ho bisogno di un romanzo triste, lo leggerò