«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
A ROMA CON BUBÙ
Gian Carlo Fusco
Sellerio 2005
Quella sera in Via Veneto, non passammo davvero inosservati. Anzi, fummo osservati molto più del previsto. Soprattutto Bubù. Il mio atletico «bara-bara» (compagno indivisibile, secondo il gergo marsigliese) no fu soltanto notatissimo. Lasciò dietro di sé una scia di commenti e addirittura due partiti: bubisti e antibubisti.
Logica, quasi scontata, coda di Duri a Marsiglia, Fusco fa del cabaret in A Roma con Bubù inventando (come al solito fa credere che sia tutto vero, ma non se la beve nessuno) una folkloristica coppia formata da sé medesimo, giornalista/sceneggiatore per fame e tiratardi per passione, e Bubù, bellimbusto dai trascorsi legionari e marsigliesi, modi pachidermici e cuore tenero.
I due bordeggiano le strade milanesi della piccola malavita, un po’ balordi di periferia, un po’ delinquenti e un po’ signorini. Pestano i piedi a chi non dovrebbero e si spaventano. Quindi traslocano a Roma e su quel palcoscenico privilegiato Fusco imbastisce la trama della commedia con la coppia marsigliese-milanese in trasferta nella dolce vita romana della Via Veneto rutilante, scintillante e pecoreccia.
La storia è una sequenza di gag e scenette da quel caratterista che Fusco è stato. È puro divertimento, nulla di più e nulla di meno. Si legge come si può riguardare un film sulla dolce vita, Il sorpasso o film del genere. Fa sorridere, si apprezza e ci si accorge di come tutto sia cambiato, forse in peggio, forse no, di sicuro per sempre.
Non esisterà più un Fusco e un Bubù. È un peccato. Bisogna accontentarsi di rileggere le sue storielle.