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«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Hacker, hoaxer, whistleblower, spy – Gabriella Coleman

hacker

HACKER, HOAXER, WHISTLEBLOWER, SPY – The many faces of Anonymous
Gabriella Coleman
Verso 2014

Questo saggio non è stato tradotto per il pubblico italiano, ma di certo interessa i molti attenti alle vicende del cybermondo internettiano. In rete ha attirato molta attenzione ed è stato commentato spesso, per lo più con superficiale apprezzamento, sulla scia della notorietà guadagnata da Anonymous e, in seguito, da WikiLeaks. L’autrice, Gabriella Coleman, è un’antropologa statunitense specializzata in comunità online e particolarmente attiva in rete soprattutto sui temi della libertà di espressione, privacy e attivismo digitale (o hacktivism, per fare i moderni).
L’argomento è interessante, di attualità, ha innegabilmente un certo grado di rilevanza, interseca l’espansione dei social network e delle comunità digitali, ha forti intrecci con problemi di privacy e sicurezza online, è uno dei favoriti della sezione Internet & Tecnologia dei quotidiani, e quindi sulla carta parrebbe essere un saggio che può informare in modo serio su argomenti che riguardano tecnologie, internet e società.

Mantiene le promesse?  Per una descrizione del fenomeno che è andato sotto il nome di Anonymous e una introduzione almeno un po’ organizzata e non iperbanalizzata a ciò che si muove in rete, il libro della Coleman non è malaccio. In mancanza di altro, o meglio, in presenza di sterminate discariche di vera e propria spazzatura prodotta dalla stampa sia generalista sia (presunta) specializzata quando si tratta di costruire ponti sul confine tra tecnologia e società, incluse le raffinatezze di certi accademici ed esperti generici, Hacker, hoaxer, whistleblower, spy –  The many faces of Anonymous è una lettura che se non altro offre una prospettiva non limitata come quella dei molti che si trovano a ragionare su aspetti sociali e politici e sembrano del tutto privi di strumenti d’analisi. Gabriella Coleman inquadra i fenomeni in un ambito sociale e in una evoluzione all’interno di un contesto che ha radici nei decenni precedenti, almeno a partire dagli anni ’90, sui quali però colpevolmente non approfondisce. Già il fatto di dare un minimo di prospettiva storica è da apprezzare. Quindi, piuttosto che il gossip della stampa, se ci si vuole informare, meglio il libro della Coleman.

Fine degli apprezzamenti. Inizio delle critiche. Molte e pesanti.

Altro paio di maniche se si considera il saggio non soltanto relativamente alla pochezza dell’informazione seria sul tema, ma su una scala di qualità più generale, raffrontandolo con la saggistica divulgativa tecnico-scientifica.

Giudicandolo come opera divulgativa di tipo tecnico-scientifico, l’analisi offerta dalla Coleman è tragicamente modesta, per non dire modestissima. Anzi, non sarebbe neppure da considerarsi un saggio, ma una commedia popolare che nasconde il pamphlet di un’attivista.

La Coleman si prodiga per convincere il lettore che lo studio è condotto secondo i crismi della ricerca antropologica. Anni trascorsi sul campo leggendo i messaggi scambiati in canali IRC, poi interviste ad Anons (come li chiama lei colloquialmente, ovvero, aderenti al collettivo Anonymous), poi altre interviste, bevute al pub e mangiate al Diners e così via. Effettivamente raccoglie molto materiale di prima mano, sia come osservazioni che come dichiarazioni. Anzi fa di più, diventa embedded, ovvero viene adottata quasi fosse la mascotte del gruppo o la zia saggia, a seconda dei casi, da un gruppo di Anonymous.

Quali sono i problemi? Sono parecchi.

Quale sia la rilevanza del materiale raccolto e come la sua partecipazione emotiva e idealistica sia compatibile con un’analisi critica, oggettiva e approfondita sono questioni purtroppo lasciate aperte e irrisolte.
La narrazione è molto confusa temporalmente, con salti non ben specificati e senza seguire una scansione evidente. Per questo spesso non si riesce a collocare temporalmente quanto descrive.
Poi ci sono problemi di organizzazione e definizione. La domanda banale a cui andava data risposta chiara e senza ambiguità era: Cos’è Anonymous? Un collettivo? Un collettivo di collettivi? Un gruppo? Un gruppo di gruppi? Un semplice nome che non rappresenta nessuno? Una maschera dietro la quale può nascondersi chiunque, per qualunque ragione e con qualunque obiettivo? Da quel che dice la Coleman, Anonymous è un po’ tutte queste cose e di volta in volta lei lo cita riferendosi, così pare, a entità differenti. Purtroppo spesso lo usa per riferirsi a un gruppo molto ristretto di persone, quelle con le quali lei è in contatto e delle quali narra le gesta (per lunghi tratti il libro non è altro che questo), ma ciò contraddice la definizione generale e contribuisce a generare ambiguità. Sì, Anonymous ha molte facce, come dice il titolo, ma nel presentare i contenuti, produrre una nuvola di ambiguità non è una scelta vincente.

Altro problema serio di questo libro dipende da chi occupa la scena. Chi occupa la scena? “Anonymous”, voi direte, “parla di questo il saggio, no?” Già, così dovrebbe e soprattutto dovrebbe emergere forte la non-personalizzazione dei protagonisti. E invece è tutto il contrario. Viene ripetuto fino allo sfinimento che Anonymous si basa sul rifiuto della personalizzazione e sulla preminenza dell’identità collettiva, ma la narrazione della Coleman è totalmente personalizzata e centrata su un gruppo ristretto di personaggi principali che si muovono, agiscono, parlano e interpretano la parte come le star di una qualunque commedia americana. O meglio, come supereroi della Marvel che salvano fanciulle insidiate e popolazioni di oppressi. Ecco qui il carattere di commedia popolare, la teatralizzazione spinta. Ma non basta. Queste star della commedia, dopo un po’ si nota che hanno i fili, sono burattini; c’è un personaggio non dichiarato nei titoli di testa che però decide le scene e pure vi entra, occupa il palco, spedisce tutti dietro le quinte e si prende lo spot su di sé. Chi è? È la stessa Coleman che, aumentando ancor più la teatralità della presentazione, si fa sempre più largo fino a diventare l’ingombrante, onnipresente, megalomaniaco deus ex machina della vicenda. La Coleman agisce da prima donna e diva della storia di Anonymous intrecciando la descrizione antropologica e storica con la propria presenza imprescindibile; alla faccia dell’antropologo che con la sua presenza inevitabilmente inquina la scena dei bravi selvaggi nel loro villaggetto di capanne di paglia; qui la brava antropologa è il ragno al centro della ragnatela sulla quale si agitano i poveri bimbetti con la mascheruccia da Anonymous. Insomma, di tutti i tremori, terrori, ardori, delusioni, gioie, alti e bassi, conversazioni, lol e lulz, incluse faccende famigliari, professionali e domestiche della Coleman se ne sarebbe fatto volentieri a meno di leggerle. I turbamenti dell’antropologa turbata sono definitivamente di una noia e inutilità mortale.

Ultimi aspetti critici del saggio, tra i più gravi, sono: l’assenza di analisi critica e la incerta rilevanza dell’oggetto. La Coleman non presenta alcuna analisi critica di quanto racconta e nemmeno mostra di averci provato a produrla. Lei è a tutti gli effetti un’attivista, parte in causa e portatrice della bandiera. Non è un’osservatrice ma una fan, un’iscritta o una simpatizzante. Lei sostiene una tesi ideologica e politicizzata e quando scrive, a tutti gli effetti, si presenta come la tipica ideologia mascherata da scienza. Non ha una tesi da dimostrare secondo metodo scientifico e con argomentazioni logiche, ha un partito preso da sostenere. Ed è molto semplice: la polizia, lo stato, il governo sono Il Male; i ragazzini che compiono vandalismi, gli hacktivisti per cause delle quali a malapena hanno sentito parlare, gli hacker che violano sistemi e divulgano dati personali sono Il Bene. Tutto è molto semplice e senza ombra di dubbio: di qua il Bene, di là il Male. Lei sta con il Bene, ovviamente. Le multinazionali a volte sono il Male ma è meglio non cercare di capirci qualcosa, perché magari ci si rimette. Francamente deprimente il livello di semplificazione che propone.

Infine l’ultima domanda: quanto è effettivamente rilevante Anonymous? La risposta della Coleman è che Anonymous rappresenta una rivoluzione di portata storica, un movimento politico che cambierà le sorti del mondo e la grande speranza per il futuro. Il suo giudizio si vorrebbe porre all’interno di una tradizione movimentista della sinistra liberal ispirata dalle rivendicazioni per i diritti umani. L’aspetto più sconfortante è che mai sembra avere consapevolezza del fatto che storicamente i punti in comune della sua posizione con un’agenda reazionaria e conservatrice sono stati molti. Molte volte la superficialità di uno ha finito per coincidere con la doppiezza dell’altro. Su questo esiste una documentazione storica vasta. Ignorata, pare.

La Coleman non si pone mai il dubbio, non cerca di valutare con i piatti di una bilancia, non considera altre dimensioni, altri protagonisti, altre dinamiche sociali. Banalmente, nonostante le prove, le citazioni, i facili riferimenti storici, non viene mai posta e analizzata seriamente la possibilità che gran parte di quello che lei riporta sia pilotato da infiltrati delle forze dell’ordine, agenti provocatori si diceva alla fine dell’Ottocento a proposito delle manifestazioni operaie e anarchiche. Il dubbio aleggia, l’organizzazione del collettivo sembra essere quanto di più adatto a infiltrazioni e a guardarci bene la Coleman non sembra aver avuto accesso al reale livello decisionale, quello nel quale le strategie e gli obiettivi delle azioni venivano decisi. Per questo, la ricostruzione che lei ne fa, va presa con molta cautela. Se fossero poco affidabile non ci sarebbe da stupirsene troppo.

Leggendo il testo e cercando di analizzare i fatti che vengono presentati, quello che sembra emergere è un movimento e un insieme di eventi con due caratteristiche: una estrema sovraesposizione mediatica, ovvero Anonymous sembra appositamente progettato per diventare oggetto di articoli esaltati prodotti dalla superficialità dei quotidiani popolari, e d’altra parte una estrema pochezza di contenuti tecnici, sociali, politici, nelle azioni compiute e nei messaggi diffusi, accompagnata a nessun reale impatto culturale o economico e, per dirla tutta, l’impressione che la spersonalizzazione del nome e dei volti non sia altro che una trovata pubblicitaria più utile a chi ne parla e ne scrive che non funzionale a chi come Anonymous si identifica.

Quindi, come si dice, piuttosto che niente è meglio piuttosto, ma se vogliamo fare discorsi seri e cerchiamo di capire veramente quali agglomerati sociali si formano online e cosa ribolle sul confine tra attivismo politico, vandalismo digitale e cybercultura, c’è bisogno di ben altra analisi che non questo libro pretenzioso ma modesto e interpreti di ben altro spessore culturale, certamente meno attratti dalla smania di apparire.

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Questa voce è stata pubblicata il 5 settembre 2015 da in Autori, Coleman, Gabriella, Editori, Verso con tag , , , , .

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