«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
L’ARTE DI COLLEZIONARE MOSCHE
Fredrik Sjöberg
Traduzione di Fulvio Ferrari
Iperborea 2015
È da un po’ di settimane che continuo a ripensare a questo libro perché ogni volta che ci penso, l’associazione immediata che mi viene in mente è con l’aggettivo intelligente. Libro intelligente, prima di ogni altra qualità come divertente, interessante, appassionante o semplicemente bello, libro bello o libro molto bello.
Mi dà da pensare.
Di quale genere di libro si può dire essere intelligente prima di ogni altra qualità? Lo dico perché c’è un aspetto curioso legato a questo L’arte di collezionare mosche che ho sentito citato dallo stesso Sjöberg in un’intervista radiofonica: un libro che parla di classificazioni che sembra essere inclassificabile; in qualche paese è stato messo nella Narrativa (da noi lo trovate in quella sezione), in altri nella Saggistica, qualcuno lo ha messo nella Zoologia, altri tra le Biografie, altri ancora lo hanno preso per un’Autobiografia e probabilmente c’è chi lo inserisce nella Storia Naturale.
Divertente questo disorientamento di fronte a un libro intelligente. È una metalettura ed è divertente. Come lo sono Sjöberg e L’arte di collezionare mosche. Ovviamente si tratta di ironia scandinava, per di più ironia scandinava di uno che vive su un’isola dell’arcipelago di Stoccolma e ha come passione quella di collezionare sirfidi, cioè mosche o similmosche, mosche di moltissime fogge differenti, non solo le classiche mosche e mosconi (ma non i moscerini che sono un’altra cosa) che vi entrano in casa e ronzano fastidiose sfiorandovi e poi sbattendo contro i vetri; esistono centinaia di altri tipi di mosche, molto spesso con doti di camuffamento straordinarie. Sembrano vespe, api, bombi o calabroni, tutte bestiacce da trattare con cautela, e invece sono innocue mosche, cioè senza pungiglioni e veleni e con solo un paio d’ali (invece di due paia come molte bestiacce).
Ma restiamo sull’ironia che è tradizionalmente un ingrediente indispensabile dell’intelligenza. Nessuno privo di ironia è intelligente, lo sapevate vero? Al massimo può essere astuto o erudito o rigoroso, ma intelligente non lo è. Per essere definiti intelligenti è indispensabile avere un senso dell’ironia ben sviluppato. E se un test per l’ironia non lo trovate tra le domande per verificare il Quoziente Intellettivo, questo è la prova provata che QI e intelligenza hanno poco a che vedere e chi ha inventato il test del QI probabilmente era un tipo non particolarmente intelligente. Non trovate che ci sia un’ironia meravigliosa in questo imbroglio?
Ma che vuol dire ironia scandinava? Bè, andando per esclusione vuol dire di non aspettarsi napoletanate e sbellicamenti, ma al più un largo sorriso, più spesso sorrisetti ripetuti. L’ironia scandinava produce sorrisetti ripetuti che non distraggono troppo dal testo e non interferiscono con un senso generale di equilibrio statico del testo. Tutto si tiene secondo un discorso predefinito: da un certo inizio si sa che chi parla sta andando verso una certa fine, e lo fa senza riffe e raffe o saltimbanchi seminati lungo la via. Insomma è un’ironia da climi freddi e da grandi silenzi, non da mercato rionale del pesce.
Dopo l’ironia ben distribuita nel testo, aggiungo un altro ingrediente indispensabile per l’intelligenza: l’immaginazione. L’arte di collezionare mosche racconta molte storie diverse, non parla solo di mosche. Notate che il titolo riporta il termine arte; non lo fa a caso, per cui il modo col quale Sjöberg racconta le storie non è quello didascalico e rigoroso dello scienziato, il quale deve essere chiaro ma non necessariamente intelligente e neppure immaginativo né ironico. Sjöberg racconta in modo creativo. Crea assonanze tra storie, ricordi e immagini. Non inventa granché come contenuti, come farebbe un romanziere puro, ma inventa modi insoliti di mettere insieme contenuti insoliti, dai sirfidi ad alcune vite notevoli di uomini poco noti, a considerazioni personali. Sjöberg è immaginifico nel comporre le storie e miscelarle, nelle giuste quantità.
Infine manca l’ultimo degli ingredienti fondamentali per un libro intelligente, ma forse pure per una persona intelligente: non farsi influenzare troppo dagli altri (non prendersi eccessivamente sul serio è una conseguenza dell’ironia visto che chi si prende troppo sul serio è inevitabilmente ridicolo). Che L’arte di collezionare mosche sarebbe risultato inclassificabile, finendo per navigare senza timone tra scaffalature non comunicanti di librerie in affanno da catalogazione era facilmente immaginabile. Che invece di diventarne una zavorra mortale questa sua natura caleidoscopica ne sia l’aspetto più interessante e credo architettato apposta da Sjöberg fa bene al libro, al lettore e alla lettura. C’è bisogno di meno classificazioni tra generi letterari, quasi sempre strumenti grossolani di meccanismi di vendita arrugginiti, serve fantasia, serena sfacciataggine e disinteresse per le manfrine editoriali. Servono libri intelligenti per soddisfare l’intelligenza dei lettori.
Avete mai preso in considerazione l’ipotesi che si legga di meno perché l’offerta è troppo sotto al livello di intelligenza del lettore? L’assioma che il lettore sia una specie di ottuso incapace viene supportata da prove indiziarie, non da dimostrazioni. Ora vanno di moda le statistiche sugli analfabeti funzionali, che è un modo per dire che sono tutti cretini esclusi quelli che hanno fatto la statistica e quelli che la leggono. E se fosse invece che sono la furia classificatoria dell’industria delle scatolette editoriali e la scarsa immaginazione e autonomia di qualche scrittore ad aver prodotto un livello di banalità catatonico? Sono ipotesi, ironie.
Come dice Strindberg, citato da Sjöberg:
Siccome per gli sfaccendati era difficile non fare proprio niente, si inventarono svariati lavoretti, più o meno insensati. Uno si mise a collezionare bottoni, un altro pigne di abete, pino e ginepro, un terzo si procurò una borsa di studio per viaggiare all’estero.
Quello che collezionava bottoni aveva messo insieme una raccolta mostruosa. Siccome non sapeva come avrebbe fatto, alla fine, a conservarli tutti, ricevette dallo Stato una somma per costruire un edificio che avrebbe dovuto ospitare la collezione. Si dispose quindi a ordinare i bottoni. C’erano molti diversi modi per suddividerli: li si poteva classificare come bottoni da mutande, bottoni da pantaloni, bottoni da giacche, ecc. Il nostro uomo però escogitò un sistema più artificiale, e di conseguenza più difficile. Aveva però bisogno di aiuto. Come prima cosa scrisse una dissertazione sulla Necessità dello Studio dei Bottoni da un Punto di Vista Scientifico. Poi si rivolse alla Tesoreria dello Stato con la richiesta di una cattedra di Bottonologia e di due posti da assistente. La richiesta venne accolta, più per procurare qualcosa da fare a dei disoccupati che non per la materia in sé, la cui importanza non si era ancora in grado di giudicare.
Non vi fa venire un sorriso?