«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
PURITY
Jonathan Franzen
Farrar, Straus and Giroux 2015
Sì, questo è il nuovo libro di Jonathan Franzen appena uscito negli USA, del quale, per motivi a me difficilmente comprensibili ma che cercherò ora di comprendere, tutti parlano. “Tutti chi?” è la domanda d’obbligo ogniqualvolta uno dice “tutti”. Tutti ovviamente non sono tutti, ma parecchi sì, soprattutto giornalisti, commentatori e opinionisti vari; ne parla il New York Times, ne parla La Stampa con Riotta, ad esempio. Ogni nuovo libro di Jonathan Franzen pare essere un avvenimento. In fondo nelle Note ho messo qualche riferimento a recensioni.
E così l’ho letto anche io. Per curiosità. Non avevo mai letto Franzen. Ho un mio personale discorso aperto con la letteratura americana odierna, quindi l’ho letto.
O meglio, per essere preciso, ne ho letto esattamente la metà, che nella versione digitale corrisponde a circa 350 pagine di circa 700. Pagine, non schermate dell’ereader, ovvero circa tre schermate per fare una pagina. Amazon dice che sono 576 le pagine dell’edizione cartacea. Tutta questa inutile precisione riguardo il conto delle pagine ve l’ho proposta perché mi aspetto una domanda: “È sufficiente aver letto il 50% di circa 700 pagine (o 576 in altro formato) per esprimere un’opinione netta, perentoria, definitiva sul libro Purity di Franzen e pure qualcosa di più?”
Mi aspetto che qualcuno dica sì e qualcuno dica no; magari dopo aver appreso il contenuto dell’opinione perentoria. Va bene, accetto qualunque giudizio senza particolare voglia di discuterlo. Perché per me, nel caso specifico, ovvero riferito al 50% delle pagine di Purity di Jonathan Franzen, sono convinto che siano più che sufficienti, perfino eccessive, mi verrebbe da dire, per esprimere un’opinione perentoria.
Anche perché quel 50% non è una soglia di convenienza, un certo numero di pagine grossomodo sufficiente a deviare le critiche di giudizio affrettato (io sospetto che diversi recensori abbiano letto non più di 50 pagine, ma non ci giurerei, forse meno, forse nemmeno una). Tutt’altro: quella è la mia soglia alla quale scatta l’istinto di autodifesa, il sistema immunitario che si aziona e, intellettualmente, il senso di amor proprio che si rifiuta di proseguire in uno stato di avvilente noia e fastidio.
Già perché Purity di Jonathan Franzen, lo dico in modo molto pacato, avendoci riflettuto con calma, essendomi confrontato con persone ragionevoli e quindi con estrema serenità, è una schifezza totale, uno dei peggiori libri che abbia letto negli ultimi cinque anni, una buffonata commerciale e, considerate le recensioni che ho letto, una delle più patetiche dimostrazioni di prostituzione intellettuale di questa manica di pseudocritici.
Lo ridico in modo didascalico:
Il libro: Purity è un libro di qualità infima, sotto qualunque punto di vista: trama, personaggi, stile, scrittura… qualunque.
L’autore: È scritto da un tizio che tempo dieci anni, forse meno, potrà essere tranquillamente e giustamente sostituito da un algoritmo nella scrittura dei futuri romanzi (sempre che non siano scomparsi, i romanzi).
Gli editori: Libri come questo, presunte opere letterarie in realtà prodotti da supermercato americano per gente obesa intellettualmente, sono il frutto della perversione aziendalista dell’industria editoriale americana, la principale responsabile dell’impoverimento culturale mondiale, della scomparsa dei lettori e del livello patetico dei romanzi odierni.
I recensori: L’assenza scandalosa di critici americani ed europei che, senza giri di parole, pantomime o altri servilismi, si rifiutino di chiamare letteratura prodotti industriali di bassissima qualità come questo e si rifiutino di giustificare questa presa in giro mediatica in nome di un presunto “andare incontro al pubblico di oggi” è la dimostrazione della totale disonestà intellettuale che vige sul mercato letterario. Disonestà intellettuale peraltro indispensabile alla professione, così dicono.
Aggiungo inoltre che definire Jonathan Franzen “the best living novelist” o “The Great American Novelist” (vedi Note), decantare presunti meriti stilistici di una schifezza totale come Purity che sembra scritta immaginando il proprio pubblico costituito da una schiatta di minorati mentali appena in grado di leggere una rivista di gossip, addirittura apprezzare la presunta abilità di Franzen nel “far parlare i personaggi come si parla nella vita reale”, quando in realtà i dialoghi di Purity sono talmente artificiosi e piatti che a un esordiente che li avesse proposti sarebbe stato suggerito di darsi all’agricoltura; e infine, aggiungo, non rimanere impietriti d’orrore davanti alla dimostrazione di ottusità di un autore che infarcisce una trama di una banalità tragica con autocitazioni prese da sterili polemicucce a mezzo stampa travisate per acute analisi tecno-socio-politiche, riferimenti alle proprie sbandierate prese di posizione su temi di attualità connotate da infantilismo e improvvisazione e, come un qualunque gradasso retrogrado che cerca di darsi un tono di modernità, infilando nella vicenda fittizia frammenti di realtà come Assange, Wikileaks, vaghe citazioni a ProPublica e altri elementi giornalisticamente attraenti, (se il periodo è sgrammaticato fa lo stesso, aumenta la genuinità) ecco di fronte a tutto questo, la reazione di scagliarsi semplicemente contro il libro e il suo autore è futile, ingenua e denota una certa tendenza all’autocommiserazione.
Il problema reale non è Purity e nemmeno Franzen. Il problema siete voi. Sono io, il problema. Il problema è che se si deridono i nostrani Moccia e Volo come emblemi della miseria editoriale e culturale, poi bisognerebbe essere onesti e giudicare con lo stesso metro e gli stessi occhi anche i Moccia e i Volo stranieri, si chiamino essi Jonathan Franzen, ad esempio.
Oppure si accetta di buon grado che la letteratura intesa in senso classico sia diventata, tornata a essere, forse sarebbe il caso di dire, un fenomeno di nicchia, com’è successo per l’equitazione o la scultura, e quello che ne sta fuori, l’editoria da supermercato indirizzata ai lettori da centro commerciale, il prodotto pseudoculturale della potente ed efficacissima industria americana o americanizzata, condivide con la letteratura e l’arte del romanzo solo il supporto, pagine di carta o elettroniche riempite di frasi.
Questo è il problema a mio avviso che diventa di un’evidenza cristallina leggendo il 50% di quella schifezza totale che è Purity. È ora di decidersi: se volete i lettori, molti lettori, smettete di parlare di letteratura, di romanzi, di stile e di altre questioni che tradizionalmente si associano a un processo creativo artistico; non c’è più nulla di artistico e di creativo, niente più che in un nuovo modello di automobile, niente di meno ottuso di un generico articolo giornalistico. È finita quell’epoca, rendetevene conto. L’epoca della letteratura alta per molti lettori. Ha vinto l’industria americana, hanno perso per primi i veri grandi scrittori americani recenti, quelli che alla fine si sono fatti fuori o che hanno vissuto nascosti per tutta la vita. Hanno vinto i manager culturali e i direttori di catene commerciali. Hanno vinto la televisione e la rete con i social, le due grandi forze che hanno compresso verso il basso la media culturale, i grandi omologatori, gli strumenti più efficaci di schiacciamento sociale verso il livello infimo della qualità da supermercato, l’unica economicamente sostenibile per produzioni massificate. Hanno perso tutti quelli che credono all’arte del romanzo, quelli che quando leggono e provano un tedio insopprimibile dicono che quel libro è una schifezza totale, quelli che credono che dovrebbero esistere spazi non invasi dall’ipocrisia commerciale dei professionisti pseudoculturali. Hanno vinto quelli che dell’arte se non serve a fatturare allora è inutile, quelli che hanno capito che la disonestà intellettuale è l’unica professione culturale possibile e quelli che sanno benissimo che la gente non diventa migliore ma semplicemente oscilla casualmente attorno alla mediocrità e che un libro, tanto quanto un paio di scarpe o un palo della luce possono cambiare la vita di una persona. La trasformazione è irreversibile, nessuno di noi se ne è accorto mentre succedeva e ancora oggi ci si incaponisce a non ammetterlo, ma ormai i giochi sono fatti, al tacchino hanno tirato il collo ed è già cotto e servito. Indietro non si torna. Un giorno, forse, ma un giorno lontano, ci ritorneranno per i misteriosi cicli della storia, ma non riguarda noi, né i vostri figli o nipoti.
La letteratura, per come la si intendeva fino a tutto il Novecento, esiste e può esistere ormai solo come fenomeno elitario, per pochi appassionati, pochi cultori di una forma d’arte antica. Ancora pochi decenni e scompariranno gli ultimi ad essere vissuti quando ancora si pensava alla letteratura come una forma di cultura popolare, nell’illusione che una forma artistica alta potesse essere apprezzata da larghi strati sociali. Noi moriremo, e con noi il ricordo diretto di quel tempo. Non si torna indietro. Gli scrittori verranno sostituiti da algoritmi, quelli che rimarranno diventeranno progettisti di romanzi popolari, disegnatori di opere letterarie, da far realizzare poi a truppe cinesi o algoritmi cinesi. Gli scrittori tradizionali, quelli che pensano al processo creativo artistico e alla narrazione, non scompariranno del tutto, ne rimarranno pochi, nelle pieghe della modernità, in enclave culturali frequentate da appassionati, isolati rispetto alla società nel suo complesso. Hobbisti bizzarri e nostalgici.
Ma noi saremo già tutti morti a quel tempo. Spero. Per ora rimane il fatto che Purity, la cui edizione italiana credo sia prevista per febbraio 2016, se ascoltate me, cioè se come me avete accettato di ritirarvi in una enclave isolata e di vivere come una specie di gallinaceo in via di estinzione perché inadatto a cavarsela tra gattopardi e gabbiani e incapacitato a respirare questo lezzo, allora Purity è una schifezza totale alta rappresentante di una pseudocultura artistico-letteraria che è a sua volta una schifezza totale. Se ascoltate i recensori ufficiali, quelli vi dicono un’altra cosa. Fate come vi pare, a me non cambia nulla.
Vi lascio con un dialogo tratto da una scena intima tra i due personaggi principali, Pip e Andreas. L’erotismo che sprigiona un accoppiamento tra pinguini è ordini di grandezza superiore.
“Well,” she said, squirming a little, “isn’t it kind of customary to kiss a person before you stick your finger in her?”
“That’s what you want? A kiss?”
“Well, I guess, between the two things, right at this moment, yes.”
He brought his hands up to her face and cupped her cheeks. She could smell her own private scent as well as his male body smell, a European smell, not unpleasant. She closed her eyes to receive his kiss. But when it came, she didn’t respond to it. Somehow it wasn’t what she wanted. Her eyes opened and found his looking into them.
“You have to believe this wasn’t why I brought you here,” he said.
“Are you sure it’s what you want even now?”
“In strict honesty? Not as much as I want to kiss a different part of you.”
“Whoa.”“Bè” disse lei contorcendosi un po’, “di solito non si bacia una donna prima di infilarle un dito dentro?”
“È questo quello che vuoi? Un bacio?”
“Bè, direi che, dovendo scegliere, in questo preciso momento, sì.”
Le poggiò le mani sulla faccia premendole le guance. Lei poteva sentire il proprio odore intimo così come l’odore del corpo maschile, un odore europeo, non sgradevole. Chiuse gli occhi per ricevere il suo bacio. Ma quando giunse, lei non ricambiò. In qualche modo, non era quello che voleva. Aprì gli occhi e vide quelli di lui che la osservavano.
“Devi credere che non è per questo che ti ho portata qui”, disse lui.
“Sei sicuro che questo sia ciò che vuoi ora?”
“Detto onestamente? Non tanto quanto vorrei baciare un’altra zona del tuo corpo.”
“Wow.”
(traduzione mia)
E con l’immane idiozia dell’odore maschile europeo non sgradevole vi saluto dicendovi a presto, e saluto anche Mr. Franzen dicendogli a mai più, ridicolo scrittore, che tu possa essere quanto prima sostituito da un algoritmo.
Note:
– Gianni Riotta su La Stampa (“L’autore, considerato il maggior scrittore americano vivente”).
– Recensione perfino di Michiko Kakutani per il New York Times. (“helped cement his reputation as one of his generation’s most gifted writers”)
– Recensione di The Guardian (“he’s an exceptional writer”) .
– Recensione del Washington Post (““Purity” pivots to another even more contemporary issue: the relationship between secrecy and power in the Internet age”) .
– Recensione delirante su New Republic (“But in telling this story, Franzen looks continually backward, to literature itself, especially Dickens and Shakespeare (in places combining the two), but also to Joseph Conrad and Saul Bellow.”)
– Recensione orgasmica di The Atlantic (“Franzen’s prose is alive with intelligence, and on the first page of his new novel, Purity, a reader can see his mind at work on a task at which he excels: showing the way people think.”)
– Recensione interessante e finalmente critica di Claudia Durastanti. Sono d’accordo con lei su Ben Lerner (non molto su Offill o men che meno per Egan), è uno dei rari ad essere uscito dal canone.
meno male che ogni tanto stronchi qualche autore, anche se, ti devo dire che Le correzioni del Franzen prima maniera mi ha fatto sbellicare dalle risate.
dubito che lo leggerai, però , chissà , potresti dare un’ altra chance al poveretto.