2000battute

«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Aquarium – Marcelo Figueras

aquariumAQUARIUM
Marcelo Figueras
Traduzione di Gina Maneri
L’asino d’oro 2015

… ma porca vacca! Sì, proprio così, quando succede è una cosa veramente imbarazzante, infatti bisognerebbe fare in modo che non succedesse mai, ma come si fa?
{sbuffa, sospira, fa smorfie}
Va bè, insomma a me non è piaciuto. E c’ho provato, non è che non c’ho provato, ma ho iniziato a sospettarlo fin da principio. Ho iniziato a leggere e ho subito pensato Ahia, sento dei rumori strani.

Il problema è che se c’era un libro che non volevo che non mi piacesse era proprio questo!
(se non avete capito, potete cancellare i due “non” e rileggere la frase, colpa mia che sono inutilmente ridondante.)
Perché Gina Maneri, la traduttrice, è una cara amica e mi dispiace adesso dirle che non mi è piaciuto. In più il precedente di Figueras, Kamchatka, mi era invece piaciuto molto, perché era una storia bellissima, ed ero proprio contento di leggere questo secondo suo libro che finalmente era arrivato in traduzione.
E in più dell’in più, Marcelo Figueras non è che proprio lo conosco, ma l’ho incontrato due volte, c’ho parlato, ci siamo salutati e ogni volta mi ha dato l’impressione di una persona intelligente e gentile, una di quelle con le quali vorresti proprio essere amico perché è intelligente, simpatico e gentile e sa pure scrivere benissimo. E in più dell’in più dell’in più, questo è un libro che sono abbastanza convinto piacerà a parecchia gente, la quale troverà piuttosto bizzarro quanto sto per dire e magari penserà Ma guarda che cosa è andato a scrivere quello, ma ce n’era proprio bisogno?

Adesso capite quanto mi rode stare qui a rimuginare? È che mi sembra di fare una carognata. Cosa è andato storto, mannaggia? Ma perché proprio questo libro? Non poteva essere l’ennesimo americano che prendo a insulti e tanto ormai è una regola e non si sorprende più nessuno? Ma porca vacca! Che figura di schifo che ci faccio ora. Quando Marcelo Figueras tornerà per il prossimo libro, me ne starò nascosto in casa invece di andare ad ascoltare e salutare.

Te dirai: Potevi stare zitto, facevi finta di niente e passavi oltre, no? Mica ti obbliga qualcuno a scrivere, no? Eh sì, ti rispondo io, la fai facile tu, per te è tutto facile… fai finta di niente… non ti obbliga nessuno… e invece no, mi obbligo da solo a farlo, perché se non scrivo che non mi piace quando mi scoccia da morire scrivere che non mi piace allora posso anche smettere del tutto di scrivere che tanto è tutto inutile. E poi insomma, l’amaro calice va bevuto fino in fondo, virilmente. Ci vuole un po’ di epica anche nel farfugliare di libri, mica solo nel combattere i draghi.
{sbuffa, sospira, fa smorfie}
Ok. È ora. Cercherò di essere delicato, se mi riesce.

Aquarium è del 2009, segue quindi di alcuni anni Kamchatka.
È un esperimento non riuscito.
Un esperimento di quelli da appoggiare e approvare senza questioni. Uno di quei tentativi di andare controcorrente rifiutando di seguire asinamente le strade già calpestate mille volte. E, per uno scrittore come Figueras che vuole muoversi senza briglie, è anche un modo per allontanarsi dall’ombra ingombrante dei padri nobili della letteratura argentina. Quindi, una iniziativa che non si vede tentare da molti scrittori odierni.
Ma il risultato non è all’altezza dei propositi.
È come se si fosse sgretolato il terreno sotto i piedi di Figueras mentre cercava di salire la collina.
Sì è sfarinato il terreno sul quale sarebbe dovuto sorgere il romanzo, non ha retto il peso dell’esperimento e non ha preso la forma che avrebbe dovuto avere. Non ha preso una forma individuabile chiaramente, in realtà, è rimasto un abbozzo. Un abbozzo di qualcosa di diverso, materia scavata ma non ancora modellata.

La storia si ambienta in Israele, durante la seconda Intifada, quindi nel 2000. Ci sono due personaggi principali: Ulises e Irit. Ulises è argentino ed è in Israele alla ricerca dei figli, portati con sè dalla moglie dalla quale si è separato. Irit è israeliana, giovane vedova, artista. Caratteri solitari e chiusi a proteggere il nucleo di dolore che li riscalda. Si innamorano.
Altri personaggi sono un uomo già avanti con l’età, David Kaufman, vedovo. Frequenta quotidianamente l’acquario (Aquarium) perché era là dove la moglie Miriam andava negli ultimi tempi prima della morte. L’acquario ospita una creatura particolare: un narvalo, l’unicorno dei mari artici. È con il narvalo che David Kaufman riprende il monologo interrotto.
Infine, l’ultimo personaggio importante è un bambino di cinque anni, Danny. Viene trovato solo, sporco, con un biglietto scritto dal padre morto che chiede a chi lo trovi di prendersi cura di lui. È un bambino palestinese, ma nessuno sa da dove venga. Danny viene portato in un orfanotrofio.
Sono tre storie, di cui una, quella di Ulises e Irit la principale, che si sviluppano in parallelo, per intrecciarsi in modo lieve solo nel finale.

Qual è l’esperimento tentato da Figueras?
Quello di far parlare le emozioni e i sentimenti al posto delle parole. I personaggi sono muti, non comunicano parlando. Ulises e Irit non dispongono di una lingua comune, se non qualche parola in uno stentatissimo inglese. La moglie di David, Miriam, prima della morte si era chiusa in un mutismo assoluto. Dopo la morte, David trova nei pesci, e nel narvalo in particolare, il suo interlocutore. Pesci, creature mute.
Danny, il bambino, non parla. Si rifiuta di farlo. Forse per un trauma. Comunque non parla.

Figueras ha cercato di scrivere un romanzo di dialoghi di parole contro gesti, frasi contro espressioni corporee. I personaggi vivono in un ambiente duro, spesso ostile, nel quale anche il più semplice e fondamentale strumento di comunicazione tra le persone viene sradicato, silenziato, dalla paura o dall’odio, ancor prima che dalla morte. Dialogare, discutere, raccontarsi, chiacchierare, niente di tutto questo è possibile. Eppure, i personaggi non solo sopravvivono alle avversità e al dolore, ma trovano una speranza, incontrano persone, immagini, creature verso le quali aprire il cuore e lasciar fluire l’amore.
Ecco l’esperimento di Figueras: sostituire allo strumento della parola, il potere delle emozioni e dei sentimenti come unica forma di comunicazione ed espressione tra persone.

C’è qualcosa di più fondamentale, di più primitivo e di infinitamente più potente delle parole, sembra dire, e questo qualcosa siete voi stessi, il vostro corpo, le vostre emozioni, il vostro amore, dolore, ricordi e sguardi. Questo lega tra loro i personaggi e dà il tono alla prosa.
È un esperimento coraggioso. Non è per nulla facile scrivere una storia del genere. Serve, credo, un equilibrio maniacale nella costruzione dei personaggi, un rigore stilistico implacabile e l’abilità nel trovare quel tono musicale particolare nei dialoghi monchi e nei pensieri. Occorre inventare un romanzo fatto di segni, come il linguaggio dei sordomuti, disegnare più che scrivere, accompagnare per un tratto per poi lasciare soli i lettori, al loro destino.

Ma tutto questo non è riuscito a Marcelo Figueras. Secondo me.
Non ha trovato la strada per avvicinarsi ai suoi personaggi e dar loro voci distinguibili, non ha trovato le immagini per raccontare il deserto che le persone devono attraversare per incontrarsi, non ha trovato la chiave che libera le parole dal silenzio, non ha saputo inventare quel linguaggio di segni che era indispensabile, ma neppure ha lasciato parlare i corpi, la carne, la pelle dei suoi personaggi. Ulises e Irit parlano di sesso, il sesso si intrufola in diverse frasi della voce dell’autore, ma è sempre un gesto freddo, una citazione, l’imbarazzo di un timido che per qualche ragione si sforza.

I suoi personaggi fluttuano irreali in un acquario come il bianco narvalo volteggia irrealistico nella vasca, si fanno sempre meno vivi e sempre più figure simboliche. Parlano in modo simbolico, agiscono in modo simbolico, vivono e muoiono in modo simbolico. Come se recitassero. Come se fosse tutto un’invenzione lasciata a metà. Sono personaggi dal colore uniforme, senza contraddizioni, senza visceri. Sono come Figueras li ha forgiati per la prima volta, tali rimangono, oltre ogni ragionevole motivo per perseverare. Irit ama Ulises, senza ragione, senza passione, senza storia, cuore o cervello; semplicemente lo ama come istinto naturale. Ulises cerca i propri figli e questo lo definisce in modo completo. David parla alla moglie muta, prima, morta, poi e di nuovo l’atto è il personaggio; come lo è il narvalo onirico che si nasconde alla vista di tutti tranne a quella di David. In fondo, tutti i personaggi di Aquarium non sono altro che riproduzioni del bianco narvalo, iconico e non comunicante: è lui la matrice, ogni personaggio della storia non fa che aggiungere ricami e una tinta di colore.
Non è il primo Figueras, ovviamente, a colorare di irrealtà una storia. È un espediente letterario consolidato, con esempi meravigliosi, dal favoloso surrealismo dadaista della straziante storia d’amore di La spuma dei giorni di Boris Vian fino al parto onirico del Creatore Brausen nella saga di Santa Maria creata da Juan Carlos Onetti e passando per tanti altri che hanno distorto la realtà e la verosimiglianza per farne un’opera d’arte o solo una storia da raccontare e scaldare l’anima. Anche Figueras ci prova, lo dice pure in una delle sue incursioni che le storie di Aquarium sono irreali ma vere. Qui sta il problema: non basta convincersi che l’irrealtà può diventare vera, che l’amore può vivere anche tra muti, dopo la morte o nella polvere del deserto e delle esplosioni. Questo lo dice Figueras in modo diretto, lo fa dire ai suoi personaggi e lo incastona nelle storie di Aquarium. Ma le storie che si raccontano dovrebbero essere prima di tutto colori e musica e forme che devono parlare una lingua di segni e di suoni. Il silenzio deve avere una voce. La morte deve proiettare un’ombra. L’amore deve avere un sapore, sprigionare un profumo. Il mondo deve piegarsi alle pulsioni dell’anima. Ma questo non accade in Aquarium. La storia di Aquarium perde progressivamente una propria consistenza ed esistenza per trasformarsi nella parabola raccontata in prima persona e con continue incursioni nel testo dall’autore. Figueras diventa sempre più il vero personaggio della storia, colui che la distorce in un incubo, la colora come un sogno, la rende fiabesca o se la ritaglia addosso.

La scelta di presentarsi in modo così esplicito nella narrazione era ovviamente rischiosa, perché stravolge la melodia, rompe gli equilibri e occupa spazio. Lo occupa eccessivamente lo spazio, finendo per impossessarsene. Alla fine l’esperimento di far parlare personaggi muti diventa una pantomima, una piccola rappresentazione in un teatrino di provincia, tra la polvere che galleggia a mezz’aria e la voce arrochita dell’autore che fuori scena commenta gli avvenimenti o spiega o sostituisce la propria voce a quella assente dei personaggi.

La morte di Ulises non è che la caduta di una figurina senza spessore sulle assi sconnesse del piccolo palcoscenico. Le parole che sono state estirpate non sono state sostituite. Figueras parla, commenta, racconta riempiendo i vuoti della trama, diventando lui stesso parte della trama. È il suo un monologo che non può ricevere risposta e lascia il lettore, almeno uno dei suoi lettori, immobile, imperturbato, solo ad ascoltare il proprio silenzio.

Questo è tutto, spero di non essere stato troppo sgarbato. Figueras se non altro c’ha provato, non è uno di quegli scrittori che sembrano fare il compitino. Il prossimo andrà meglio, ne sono sicuro.

8 commenti su “Aquarium – Marcelo Figueras

  1. Anastasia
    19 agosto 2017

    Sto leggendo Aquarium in questi giorni. Trovo che la sua disanima evidenzi elementi tutto sommato positivi che lo stesso Figueras potrebbe accogliere.un saluto cordiale
    Anastasia

  2. Marina Romanò
    27 settembre 2015

    Immaginavo che questo sabato sarebbe toccato ad Aquarium e avevo una certa urgenza a tornare dal week end senza Internet per leggere la recensione di Marco. Perché? Perché è da una settimana che mi trovo nel suo stesso medesimo imbarazzo per gli stessi identici motivi e volevo sapere se la delusione era solo mia. Nemmeno a me è piaciuto tanto, purtroppo, e anch’io ho avuto, sin dalle prime pagine, la percezione che non mi sarebbe piaciuto come Kamchatka. Uno stile completamente diverso, ma questo non è un problema di per sé, il fatto è che questo romanzo non mi ha coinvolto emotivamente, la trama e i personaggi sono in nuce tragicamente poetici, ma questa poeticità non emerge né dal linguaggio, né dai silenzi, se non in rari momenti. Manca quella bolla d’aria e d’acqua azzurrina, quell’Aquarium, dove avrebbero dovuto convivere e fluttuare in armonia i vari personaggi che non sono riusciti a toccarmi il cuore.
    Il dramma dell’incomunicabilità tra persone, tra popoli rimane abbozzato, slegato, a volte sembra più un resoconto alternato a citazioni, non raggiunge quella potenza narrativa che mi sarei aspettata.
    L’incomunicabilità, sia a parole che a gesti è lo status di desolazione che ci accompagna fin dalla nascita. Riusciamo a comunicare solo attraverso l’amore, inteso come quel sentimento universale che si basa su un sentire inspiegabile a parole, su un semplice dare che non vuole nulla in cambio, che vuole solo il bene dell’altro, che lo sostiene lasciandolo libero e lasciandolo andare senza trattenerlo a sé. Ma in un universo in espansione anche i sentimenti sono fragili, tutto tende a separarsi: prima o poi esplode, si disgrega e vola per il cosmo.
    Dobbiamo allora imparare l’arte di perdere, che è un dono,e riuscire a trattenere in noi l’essenziale, seguendo il nostro spirito guida, introiettare l’assenza, che non è altro che una presenza profonda: l’assenza di colore come fa Rauschenberg o di melodia come fa John Cage, l’assenza della persona amata, perché tanto l’altro/a è comunque sempre presente. Ulises absent was Ulises still, ma anche Miriam absent was Miriam still, parafrasando la frase di Omero su Achille tradotta in inglese da Pope.
    Questo è quello che ho capito leggendo Aquarium, ma avrei voluto capirlo con uno stile, un ritmo, una potenza e armonia linguistica più compiuta, con una voce più partecipe e toccante. Nel descrivere l’arte della perdita e arrivare all’essenziale, al sentimento d’amore e dolore universale, Figueras, a mio avviso, si è perso sui vari piani, forse troppo sofisticati, come dice Gina, ma l’impressione è che fatichi a padroneggiarli del tutto.
    La stima che ho nei suoi confronti rimane immutata, anche a me piacerebbe averlo come amico per gli stessi motivi che ha elencato Marco. Attendo di leggere il suo prossimo romanzo e quando tornerà a Milano sarò di nuovo in prima fila a sentirlo con grandissimo piacere e a farmi scrivere una delle sue dediche carine e affettuose!
    Gina, rimane quella brava e attenta traduttrice che sappiamo. Ça va sans dire.

    • 2000battute
      28 settembre 2015

      Questo che ha scritto Marina era quello che volevo dire io :)

  3. Gina
    26 settembre 2015

    Forse al cinema sarebbe stato più chiaro :) Però non voglio svelare qui quali parti della trama hai travisato, metti che nonostante questa tua recensione qualcuno abbia ancora voglia di leggerlo… Consiglio solo molta attenzione ai piani temporali.

    • 2000battute
      26 settembre 2015

      Per forza, avrebbero messo un sacco di scene di sesso e il narvalo volteggiante che fa dire Ooooohhhh :)

  4. Gina
    26 settembre 2015

    Come sai, a me il libro è piaciuto, e molto. Però grazie, è una recensione interessante. In realtà se devo trovare un difetto al romanzo lo individuo nel montaggio eccessivamente sofisticato delle sequenze, nell’intersecarsi dei piani temporali che hanno portato tanti a travisare la trama, con la conseguenza di perdersi alcune delle cose più belle e il senso compiuto che alla fine tutto assume. So che tu sei un lettore attento, eppure sei caduto anche tu in errore ;-) Probabilmente, comunque, il tuo giudizio non sarebbe stato diverso.

    • 2000battute
      26 settembre 2015

      Io probabilmente sono in errore su tutto, questo è un pensiero ricorrente in effetti. :)
      Però il montaggio sofisticato non sono proprio riuscito a vederlo, anzi, ho visto proprio il contrario

    • 2000battute
      26 settembre 2015

      …però io non ho detto che è poco chiaro eh… per me è chiaro

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Questa voce è stata pubblicata il 26 settembre 2015 da in Autori, Editori, Figueras, Marcelo, L'asino d'oro con tag , , , .

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