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«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Febbre bianca – Jacek Hugo-Bader

febbre bianca

FEBBRE BIANCA
Jacek Hugo-Bader
Traduzione di Marzena Borejczuk
Keller 2014

Prima una mozione d’ordine. Si diceva così una volta, giusto? Questo libro lo trovate catalogato come Reportage e anche leggete dal sottotitolo Un viaggio nel cuore ghiacciato della Siberia, e pure, se girate la quarta di copertina, sentite dire “Questa è la storia di un viaggio come nessun altro […]”. È tutto vero, ma è tutto facilmente equivocabile, con conseguenze catastrofiche, da curva a banana presa con troppo slancio. Chi cerca un libro di viaggio, inteso in senso classico come la descrizione del viaggiare, le immagini che scorrono, la difficoltà di spostamento e in generale l’avventura dell’inoltrarsi in territorio sconosciuto e pericoloso potrebbe rimanere deluso, perché non è questo che Hugo-Bader vuole raccontare, se non per piccoli frammenti disseminati qua e là.

Jacek Hugo-Bader è polacco, fa il giornalista ed è innegabilmente un pazzo scatenato. Compie un viaggio straordinario, da Mosca a Vladivostok in auto, da solo, d’inverno. Roba da lasciarci le penne 9 volte su 10, ma nonostante questo Febbre bianca non è un diario di viaggio. Non lo è per niente. Ho letto commenti di gente delusa perché mancava lo sbalordimento delle descrizioni del viaggio. È vero, ma il problema è che non si sono capiti: loro volevano delle mele quando invece erano in vendita delle pere.

Se questa mozione d’ordine è chiara e non solleva cori lamentosi, immagino sarete rosi dalla curiosità di sapere cosa in effetti racconta Hugo-Bader in questo reportage, visto che non parla dell’avventura di attraversare quel continente in condizioni tanto ostili. Anche se, per come inizia, uno potrebbe pensare il contrario.

Pregavo soltanto di non rimanere in panne di notte in piena taiga e di non incappare nei banditi. Alla prima di queste disgrazie ero preparato, alla seconda: no. Probabilmente ero l’unico matto che viaggiava non armato, e oltretutto in solitaria, attraverso quello spaventoso oceano di terraferma.
Lo sport prediletto dagli abitanti del posto è il tiro a segno. Guidano normalmente, cioè tenendosi sul lato destro della carreggiata, ma siccome girano su macchine giapponesi, hanno alla destra anche il volante. Lo impugnano con la sinistra, in modo da poter allungare agevolmente il braccio destro fuori dal finestrino e scaricare raffiche di colpi contro cartelli stradali, manifesti pubblicitari e targhe informative, senza neppure prendersi la briga di rallentare.[…]
Ogni qualche decina di chilometri si incontrano carcasse di macchine bruciate. Di certo si sono rotte d’inverno, per di più di notte, e i disperati proprietari le hanno incendiate per scaldarsi.
Ma è poco probabile che questo abbia permesso loro di sopravvivere.

Parla di vite in quell’oceano di terraferma – definizione perfetta per rendere l’idea di abbandono -, zattere alla deriva, città galleggianti sulla distesa uniforme in preda a una follia strisciante tra gli alberi scheletrici della taiga e le ombre del gelo. Parla anche di un viaggiatore mezzo matto che si aggira tra molte vite diverse e ugualmente precarie o ugualmente sul filo della sopravvivenza, sono vite di persone e comunità dimenticate da tutti, vite siberiane, che nessuno, tranne loro, sa cosa voglia dire.
Niente incontri con orsi o descrizioni dei chilometri percorsi su piste a quaranta gradi sottozero. Niente epica dell’esploratore, ma una strepitosa, stupenda, incredibile galleria di ritratti degli scarti della società, uomini e donne ai margini non solo di una comunità o del nostro mondo occidentale ma anche ai margini della geografia. È il senso potente di questo reportage nel cuore di una delle grandi terre marginali, non terra di conquista o frontiera mobile, ma un invaso senza confini e senza profili, la taiga silenziosa e indeterminata, un buco nero che ingoia il concetto di margine, e chi si trova a viverci non ha alternativa se non quella di essere risucchiato in quelle viscere ghiacciate.

RInat nel cortile del suo palazzo a Ufa (J. Hugo-Bader)

RInat nel cortile del suo palazzo a Ufa (J. Hugo-Bader)

Sono racconti in realtà tragici quelli di Hugo-Bader. Racconti di morte. Molte morti, morti assurde e volgari. Racconti di depravazione, di tossicodipendenze e di malattie. Anche racconti di follia annegata in un oceano di alcool che non può essere prosciugato, salvezza dalla morte per abbandono e pozione mortale per decine di migliaia di persone ogni anno.

Kaif – qualche cosa di magnifico. È un concetto russo misterioso. Indica uno stato d’animo singolare, una sensazione di felicità, di appagamento, di equilibrio… è un termine proveniente dalla lingua turca, nella quale era passato dall’arabo. In Russia è stato probabilmente portato dai tartari della Crimea. Spesso i russi vengono pervasi dal kaif quando fanno un lungo viaggio attraverso spazi sconfinati, in compagnia di una tormenta di neve, di una fisarmonica e dell’immancabile vodka che aiuta a conservare e a prolungare questo stato. Nello slang degli hippy kaif significa semplicemente droga.

A Mosca staziona con una comunità di hippy – hippy nel 2007, a Mosca – prima di trovare l’auto che lo accompagnerà nel folle viaggio: una UAZ-469, detta “Lazik” dai polacchi. Praticamente una jeep con su il motore di un trattore. Un oggetto della preistoria industriale, si potrebbe anche dire. Passa del tempo con una banda di rapper senza un soldo, e osserva i cani randagi moscoviti

[…] molto grossi, forti […] quasi tutti i palazzi, asili, ospedali e università hanno un proprio branco in cortile […]

Poi parte e lo ritroviamo a Ufa che passa il tempo con dei malati di AIDS, epidemia che dilaga in Siberia. C’è la storia di Maša e di Sergej (Sergej, vienimi dentro!), le probabilità di contagio divise tra uomini e donna, sesso anale e rapporto vaginale. Poi incontra Svetlana di Kazan’, ventisette anni, Miss Positive Russia, titolo per le reginette di bellezza sieropositive. Riuscite a immaginare qualcosa del genere? No, non ci riuscite perché è impossibile immaginare la Siberia. Svetlana è fotografata con il suo bambino. Un bel bambini di forse un anno. Lei ha un viso infantile, gli occhialetti da segretaria e un cerchietto sulla testa. Era un’atleta, un tempo. Si è infettata in un rapporto non protetto.

Un’ebrea, un tartaro e un russo. Una tossicodipendente, un gay, un alcolizzato.

Negli Urali incontra Kalašnikov, proprio lui, il celebre compagno Kalašnikov, un fossile dell’URSS. Poi prosegue. Si entra nella pancia della Siberia. E il delirio dilaga.

Su sei Cristi attualmente presenti sulla terra, tre vivono in Russia.

Provate a rileggere questa frase. Non è strepitosamente geniale? È totalmente geniale e ironica. Uno dei Cristi si fa chiamare Vissarion ed è a capo di una comunità dispersa nel grande oceano, a Gorod.
Si avanza verso Oriente. Popolazioni di ceppo mongolico, terre di sciamani. Gli sciamani siberiani sono identici agli sciamani nativi americani: stesse fattezze, stessi copricapi pennuti, stesse danze rituali. Non è comico? Le radici dell’America nascono in Siberia.

Infine si arriva alla febbre bianca, il centro dell’oceano senza forma né confini, il cuore della follia siberiana, il buco nero che si apre tra il ghiaccio, dove vive la popolazione degli evenchi; è tra di loro che la febbre bianca è senza controllo. Racconta la storia della brigata Numero Uno di pastori di renne: diciassette pastori, due ragazzini e migliaia di renne. Muoiono tutti in pochi anni, di febbre bianca. Di vodka. Il primo cade nel fiume ghiacciato, il secondo si mise a correre nella taiga ghiacciata; lo trovarono dopo che ebbe corso per due giorni. Il terzo morì per un colpo alla testa scagliato con un oggetto pesante, il quarto si incamminò nella taiga dopo una sbornia di dieci giorni e si sparò una fucilata nel petto. Il quinto era l’assassino del terzo, si nascose nella taiga, ma i suoi colleghi pastori lo stanarono, come una bestia. Va avanti così, fino al ventunesimo, con una specie di rap della morte da febbre bianca, un pezzo di bravura narrativa strepitosa.

Oltre all’evidente pazzia e incoscienza, il grande talento di Hugo-Bader si svela nel fatto che i suoi sono racconti tremendamente tragici ma divertenti, si sorride quasi sempre a leggere Febbre bianca, come se si ascoltasse un giramondo stralunato che ricorda gli squinternati con cui ha condiviso un tetto, un pasto, una vodka e molte parole.

Molte morti, molta disperazione e una scrittura leggera e allegra per una Siberia che è lo specchio dell’umanità dimenticata, straziata dal gelo del tempo e dei luoghi, e un viaggio dantesco per portare occhi e parole là dove nessuno si ferma mai a osservare o a chiedere “Dimmi il tuo nome, raccontami la tua storia”.

Anche per questo Febbre bianca è un bellissimo libro, proposto da una piccola casa editrice, completamente ignorato dalla critica degli inutili inserti letterari e delle pagine culturali, e incasellato nella categoria Viaggi dagli ottusi archivisti.

Note:
– Un’intervista a Hugo-Bader la trovate sul sito del Touring Club.

24-UAZ-Hunter

La UAZ di Hugo-Bader

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Questa voce è stata pubblicata il 26 settembre 2015 da in Autori, Editori, Hugo-Bader, Jacek, Keller con tag , , , , .

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