«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
TUTTI I RUSSI AMANO LE BETULLE
Olga Grjasnowa
Traduzione di Fabio Cremonesi
Keller 2015
Commento di Cornelio Nepote
Facoltosi signori e stupendissime damigelle vestite di meraviglia, dorate dal Sole e argentate dalla Luna…
Carissimi sconosciuti, adorate a vario grado conoscenti, a voi mi rivolgo dopo una lunga pausa di riflessione, ricostruzione e resuscitazione per dire del non detto e non dire del troppo spesso detto. Dire e non dire, come una lettura tra le righe, una narrazione che scivola tra caratteri tipografici che non sono altro che incarto, copertura e fiocchi di neve. Come svegliarsi una mattina di un qualsiasi novembre, osservare immobili un’ombra scura allagare il mare immoto e sorridere alla risposta che lungamente si era cercata: l’eternità è il passato, il presente è il futuro.
Chi vuol capire capisce quel che vuol capire.
Ma veniamo alle cose degli uomini e dei libri, che a volte sono più umani degli uomini, altre volte invece sono gli uomini a lasciarsi sfogliare più di un libro.
Il mammoccio, l’amico vostro, il 2000battute ha letto questo librino dal titolo che fa l’occhietto. Tutti i russi amano le betulle. Una soave creatura l’ha scritto, che chiamerò confidenzialmente Olga, evitando le trappole degli infidi cognomi caucasici.
A lui non è piaciuto, ma forse in realtà gli è piaciuto. L’ho visto sbuffare, sospirare, sghignazzare. L’ho sentito rivolgersi alla delicata Olga con parole non degne di un gentilcortese. L’ho perfino visto addormentarsi lasciando precipitare il libro sul pavimento polveroso della sua orrifica abitazione sottoborghese o metaproletaria. L’ho visto poi gettare sguardi disdegnosi all’anonima copertina, ho temuto che ne volesse scrivere con toni da bolscevico e modi da kulako, ho osservato in lui il comportamento del tipico recensore inacidito, del mancato letterato che cerca vendetta sbolognando prosopopea incistata.
… banalità in storia pseudoebraica… prosa soporifera… svolazzi stilistici femminei… romanticherie da quadernetto di adolescente… morte e amore un tanto al chilo… la solita minestra riscaldata della vita in Israele… inutilità della scrittura e creatività artistica rattrappita… così lo sentivo borbottare, così il bilioso con guasti allo stomaco rampognava sciabattando tra nuvole di polvere immemore.
Poi si pentiva e si contraddiceva, con la vigliaccheria che contraddistingue il mediocre intellettuale del nostro tempo. E riprendeva a sciabattare, questa volta in direzione contraria, immerso in una lurida foschia domestica.
… forse ho un po’ esagerato… in fondo non è poi malaccio… dai scrive bene questa Gro… Grasko…iskowia… come cazzo si chiama questa?… è la letteratura moderna… ha articolato il personaggio femminile con innegabile grazia e spessore… il racconto è una metafora… sì vabbè di quale racconto non si può dire che sia una metafora?… è una metafora esistenziale… anzi esprime con forza, intelligenza, saggezza, lucidità… ma che cazzo dici? stai copiando dalla copertina del libro!… ah sì scusa non intendevo… cioè bè volevo dire che esprime un dolore e una crescita personale… mi pare.
Prima che fosse tardi l’ho fermato, rivolgendogli parole sagge: Figliuolo, sai che ti considero un deficiente ma provo inspiegabile affetto per te e per la tua condizione umana miserabile. Trattieni la mano, ferma la penna e spegni quella minchia di computer! Non sei in grado di esprimere un giudizio. Non sei in grado di scrivere un commento. Non sai abbastanza chi sei per dire quel che non vuoi. Lascia che la delicata Olga fluttui libera nel refolo mattutino del suo destino e si disperda nel folto dell’oblio degli scaffali e dei magazzini. Lascia ad altri l’ardua incombenza, non renderti ridicolo una volta di più, cedi il passo ai molti che anelano a cotale esibizione. ’scoltammé, guaglione.
Questo dissi a 2000battute, egli ristette, mi lanciò prima un’occhiata di sfida, poi una implorante, infine lo sguardo si spense e il mento calò al petto.
Eccoci giunti al finale, incravattati e scollacciate carissime, vi lascio senza promessa di rivederci, ma con una verità che è falsa e una menzogna impregnata di verità.
Tutti coloro che esprimono un giudizio, producono un commento, scrivono una recensione, e anche quelli che con borghese educazione pensano di limitarsi a pronunciare un parere personale, tutti costoro, non appena mettono la punta del loro naso, nasino o canappia, fuori dalle segrete stanze della propria privata coscienza, fuligginosa o smerigliata che sia, tutti, inevitabilmente, si trovano nella spiacevole condizione del mistificatore della realtà, del tribuno del popolo bove e talvolta in quella del falsario. Tutti, inevitabilmente, pretendono di distorcere a proprio gusto quell’ipotesi fluttuante che chiamiamo realtà, tutti vogliono accaparrarsi quante più anime è possibile, quante più fiches al tavolo della vanità e tutti, infine, inesorabili come una gelata sulle gemme degli alberi, solleticano i devoti e infieriscono sui diversi.
È il gioco del mondo, pretendere di comunicare l’incomunicabile e mentire false verità, eppur riuscire a guardarsi negli occhi senza provare vergogna l’uno dell’altro, ma illudendosi di scorgere un riflesso d’anima invece di un semplice riflesso di lampadina. Mi stupite sempre, libri di umana coscienza e umani di maltrattate pagine.
Un fiero cenno col mento a Lor Signori.
Un inchino servile alle Vostre tornite forme, mie Signore.
Il fu Cornelio Nepote
Nota [mia, non del pazzo]
– Come sempre in questi casi di evidente delirio del vecchio pazzo, chi voleva sapere qualcosa del libro non ha saputo un bel niente e ha solo perso tempo. Vi suggerisco di cercare in rete, anche se per me non ce ne è nemmeno una di recensione minimamente decente.
Bentornato Cornelio! Quanta verità nelle tue parole.
Donna Karenina, anche lei è certamente vestita di meraviglia.
CN