«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
ANCORA TEMPESTA
Peter Handke
Traduzione di Angela Scròfina e Ylenia Carola
Quodlibet 2015
Per uno della mia età, formazione, storia, sogni, delusioni e frammenti, Peter Handke rappresenta gli anni della Grande Illusione Giovanile. Gli anni che si ricordano con maggior affetto. Quelli delle notti alcoliche passate a sproloquiare di arte, lettere e infiniti, magari dopo aver trascorso un paio di ore di fantasie erotiche guardando un film con Beatrice Dalle. Gli anni della formazione sentimentale e intellettuale, e delle discussioni esagitate con quelli che da morti sarebbero diventati per molti delle icone da esibire, ma che allora erano semplicemente persone che sorridevano.
Peter Handke di quegli anni è legato a doppio filo a Wim Wenders ed entrambi sono monumenti crollati all’illusione postsovietica, al mondo che sarebbe rinato sulle rovine della Guerra Fredda, alla nuova alba della cultura europea. Peter Handke & Wim Wenders per me sono come statue di Lenin tirate giù dalla folla bestiale e ricoperte di sputi dagli stessi che il giorno prima vi si inchinavano davanti e denunciavano coloro che, cercando di non farsi notare, vi gettavano contro uno sputacchietto. Sono due utopie che hanno esaurito la loro spinta, come sassi cosmici incendiati che si polverizzano precipitando sopra l’atmosfera terrestre.
Per questo non posso non provare affetto per Peter Handke e se vedo un suo nuovo libro mi viene da sorridere, come farei davanti a un dinosauro che si aggirasse spaesato e impaurito dentro a un centro commerciale. Peter Handke è uomo e scrittore del Novecento, non può essere diversamente.
E così è questo Ancora tempesta, delicato anacronismo, improbabile prodotto d’arte in un mondo di feroci scimmie tecnologiche, una composizione letteraria talmente raffinata da risultare grottesca nel canone turpiloquiante dei social network, un’opera di un’epoca ridicolizzata, per altre sensibilità, per sensi educati da una luce diversa dall’attuale. Un’opera per lettori di spirito e di sensi inadeguati al tempo presente.
A questo punto ammetto la mia sconfitta. Il mio avo si è alzato dalla panca e mi ha lasciato lì seduto, da solo. E sembra che non abbia ancora finito con me o chi altri. Perché tutt’a un tratto diventa la rabbia in persona, una rabbia al contempo gentile e disperata, come non ho mai visto prima: «Sono diventato un misantropo. Non me lo sarei mai immaginato, io che un tempo, quando non c’era ancora la guerra, avevo una buona parola per tutti, e tutti, anche gli assassini, avevano pietà di me. E come detesto essere diventato un misantropo, un odiatore dell’umanità! So che la mia misantropia è sbagliata. E ciò nonostante sono stufo degli uomini, e ogni giorno immagino di scagliarmi contro di loro, e di farli fuori: lui, lui, e lei, lei. E nessuno osa toccarmi, più nessuno. Perfino quelli che un tempo hanno portato la devastazione nel popolo, come fossero demoni, adesso, con l’età, mi esprimono il loro pentimento.
Ancora tempesta è colma di echi shakespeariani e di brume mitteleuropee degli anni ’90, riprende la teatralità fatta di ombre e scene scarne dell’Handke che ispirava le migliori immagini di Wenders, quelle nostalgiche, polverose e rappezzate incarnate dalle espressioni tragicomiche di Bruno Ganz nel paltò sformato e dall’innamoramento per l’erotismo baltico di Solveig Dommartin.
Ancora tempesta è un’opera teatrale in prosa, senza scena e con personaggi che vengono, parlano, raccontano e scompaiono attorno all’interprete principale, Handke stesso che, spaesato e impaurito, osserva la processione dei parenti defunti. Come defunta è la Grande Illusione, cancellata dal bagno di sangue jugoslavo, dagli odi atavici che ribollono nel cuore d’Europa e si perpetuano, di guerra in guerra, di sopruso in sopruso, di oppressione in oppressione.
È finita da molto tempo la Grande Illusione, siamo uomini e donne del caos ipermoderno e globale, abbiamo rinunciato alle memorie, alle storie e all’arte, cerchiamo solo di salvarci, di resistere un giorno ancora e poi quello successivo e ancora quello dopo, vogliamo sopravvivere per sempre.
Ai pochi e stanchi che leggeranno e apprezzeranno ancora le immagini implausibili di Peter Handke dico:… non dico nulla.
[…] ci separano uno dall’altro, come se non esistessimo, così a poco a poco ci ritroviamo sul fondo della scena per congedarci, e quando la canzone giunge al termine siamo più o meno scomparsi in mezzo e dietro agli altri, riconoscibili unicamente per il gesto della mano con cui continuiamo a salutarci.
“Un’opera per lettori di spirito e di sensi inadeguati al tempo presente.”
Fieramente ma un po’ tristemente inadeguata, questo libro mi ha commosso.
Mi fa davvero piacere sentirlo. Anche a me commosse e capii di essere ormai inadeguato al tempo presente