«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
VIAGGIATORE IN TERRA – Cinque racconti
Julien Green
Traduzione di Giuseppe Girimonti Greco, Francesca Scala, Enzo Sinigaglia, Filippo Tuena
Nutrimenti 2015
Ero a Roma, un paio di mesi fa, anzi un po’ meno, e più precisamente ero in Piazza di Santa Maria in Trastevere ed era sera, all’ora di cena. Non mi trovavo lì per pascolare nella piazza e nelle strade del turismo da guida turistica per americani obesi, ma per la libreria di Minimum Fax, che è uno dei luoghi dove passo sempre quando sono a Roma, obbligandomi a una specie di pellegrinaggio laico o timbratura impiegatizia del cartellino, pure un po’ autistico come gesto, va detto, visto che sempre più mi riconosco attratto dalla ripetizione delle situazioni e dei luoghi, in una ingenua ricerca di familiarità.
Mi aggiravo in cerca di qualche libro ignoto, quando ho messo gli occhi su questo. Nutrimenti è un editore per me da un lato sfuggente – non ne riesco ancora a cogliere la ragion d’essere, lo conosco troppo poco – ma d’altro lato assai attraente per la presenza di Filippo Tuena come curatore della collana. Per cui mi incuriosisce, anche se la maggior parte delle volte rimango in uno stato di irresolutezza.
Questa volta mi ha colpito la copertina (e poi dicono che la copertina non conta, nel bene o nel male). Mi ha proprio molto colpito. È una copertina misteriosa. Il disegno è una litografia di Odilon Redon che s’intitola À Edgar Poe. Hmmm, Poe – ho pensato mentre nella piazza tambureggiavano i tamburi, sfiammavano i mangiafuoco, e sparavano in aria trottole fluorescenti i venditori di trottole fluorescenti da sparare in aria. E ancora – Hmmmm, Poe… Poe? Hmmmm… (Hmmm, è l’onomatopea per un pensare intenso e per immagini, non la voce fuori sync di un film porno amatoriale, lo dico a scanso di equivoci, si sa mai, c’è gente insospettabile con delle perversioni che non ci si crede, poi magari va in giro a dire che le ho anche io).
Comunque alla fine l’ho comprato. Insieme a un altro che ora non ricordo quale fosse, se mi viene in mente prima della fine ve lo dico se no pazienza tanto non vi importa. Mentre pago, il libraio alla cassa – c’è sempre lui quando vado da Minimum Fax, alto barbuto, prima o poi devo chiedergli come si chiama – a mezza bocca mi fa: Bello quello di Green che hai preso – e allora anche io mi metto a parlare a mezza bocca e gli faccio: Sì? Ah bene, mi piaceva la copertina. Non so se gli ho detto proprio così, ma era una risposta cretina del genere (raramente riesco a dare risposte non cretine in questi frangenti).
Fine dell’aneddoto. Era solo per dire che mi piaceva molto la copertina.
Sono cinque racconti. Strani racconti. Parecchio strani. Definisci strani. Strani nel senso di volutamente stranianti. È evidente la volontà dell’autore di lasciare un senso di indefinitezza. Una sospensione irrisolta e irrisolvibile. Il primo dà il titolo al volume e probabilmente è anche il più notevole. E anche il più straniante. Il protagonista è un giovane che attende di iscriversi ai corsi dell’Università della Virginia (Green era francese ma soggiornò a lungo proprio in Virginia). Rimane diversi giorni in attesa dell’apertura delle iscrizioni come pensionante nella casa di una signora perbene. In quei giorni accade una trasformazione imprevista. La realtà si deforma. La coscienza si sdoppia. Il racconto abbandona la linearità tenuta fino a quel momento per diventare il racconto di qualcosa di indefinibile.
All’improvviso Daniel si alzò e si diresse verso la porta che non aveva smesso di fissare.
Non saprete mai il motivo per cui Daniel fissava quella porta e perché vi si diresse. Green vi solleva e non vi deposita da qualche parte, neppure vi molla per farvi schiantare. Vi solleva e vi lascia in mezzo a una nuvola. Qualunque direzione e appoggio è perduto.
Ci sono riflessi evidenti delle tenebre evocate dal grande Poe nei racconti di Green – la copertina è meravigliosa, ve l’ho detto? – ma c’è una mano diversa, uno sguardo insolito. C’è una foto molto bella di Green nel risvolto del retro. Una foto del 1929. Green è in posa, composto, veste secondo lo stile educato del tempo, giacca, cravatta, panciotto e camicia. È giovane, nemmeno trentenne. Un giovane uomo innegabilmente di bell’aspetto, dalle sopracciglia scure, i tratti mediterranei, i capelli anch’essi scuri pettinati con la scriminatura a sinistra, lucidi di brillantina. Eppure quella fotografia inquieta. La giacca è una strana giacca, sembra di pelle, spessa, rigida, sulla spalla destra gli forma una protuberanza, un’aluccia. È una giacca sorprendentemente scomposta. Green tiene le mani con le dita intrecciate, un’unghia sembra non pulita. Sono mani delicate, mani timide, sembra impacciato e non sapendo come tenerle le ha intrecciate, un gesto di auto-conforto. Ma quello che più inquieta è l’espressione di Green. Gli occhi guardano di lato, sono rivolti verso la luce, una finestra probabilmente. Sono occhi malinconici e profondi, occhi che cercano una via di fuga. La bocca invece s’atteggia a un sorriso ambiguo, sorriso da monnalisa, appena accennato, indecifrabile, che non rivela nulla se non il fatto che molto viene nascosto all’osservatore.
Questa fotografia è la miglior descrizione dei racconti di Viaggiatore in terra: sono più le cose che l’autore cela al lettore di quelle che gli rivela. Non c’è da affannarsi per scoprirle, non sono noir o polizieschi, ma semplicemente parte della storia non viene rivelata.
Sono molto belli anche i rimanenti quattro. Ambigui a modo loro. Dell’ultimo voglio dire qualcosa perché forse altrettanto inquietante del primo. Si intitola Leviatano o dell’inutile traversata. Cupo e con un denso sentore di tragedia. Questa volta si tratta di una traversata atlantica dalla Francia agli Stati Uniti. Un misterioso passeggero acquista un passaggio su un cargo. È un fatto insolito data la lentezza del mezzo e infatti risulta l’unico passeggero della nave. La traversata dura tre settimane ed è una sospensione del senso comune. Il mistero che circonda il passeggero si prolunga, il capitano diventa vieppiù invadente per la curosità. Sale l’attesa di un evento. E Green in quell’attesa vi lascerà.
Gran bel libro. Ottimo il corredo di note e appunti dei traduttori a ognuno dei racconti.
E sì, anche l’abboccamento a mezza voce un po’ carbonaresco del libraio barbuto che commentava la mia scelta era perfetto per l’opera: non se ne parla gridando, se ne parla sottovoce, senza dare troppo nell’occhio, ci si deve intendere tra pochi.
Da rileggere presto Julian Green.
L’immagine di Julien Green cattura prima della scrittura. La copertina gli dà man forte. A volte si diviene lettori di un autore così. E tutto fluttua nell’inesplicabile.