«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
ADRIENNE MESURAT
Julien Green
Traduzione di Arturo Tofanelli
Corbaccio 1998
La precedente lettura della raccolta di racconti di Julien Green, Viaggiatore in terra, mi aveva lasciato con uno strascico di curiosità. Quelle atmosfere classiche da inizio Novecento che viravano nei toni del buio, dell’ossessione e della solitudine man mano che i personaggi procedevano nella storia sembravano nascondere un mistero. Anche lo stesso autore sembra un uomo enigmatico, quelle persone delle quali si può essere certi che sono molte più le cose che non verranno mai svelate di quelle che vedranno la luce.
Adrienne Mesurat è del 1927, una delle opere più celebri di Green e una eroina letteraria tra le più inquietanti. Lo stile di Green non sembra mai volersi elevare sopra una educata compostezza. In questo romanzo, più che nei racconti, il tono e i modi di scrittura risentono del tempo passato. Erano ancorati a un gusto di un’epoca, gli anni ’20, anni di cupi sommovimenti e presagi foschi, anni durante i quali quasi tutti non hanno saputo trovare una guida per comprenderli, alcuni, pochi, hanno invece osservato il buio avanzare. Julien Green è certamente stato tra questi pochi.
I suoi personaggi sono ossessivi, tragici, stritolati da se stessi, ma senza scadere in semplici infatuazioni per la nascente Psicologia, e abitatori di un mondo che assume le fattezze dell’incubo, sempre più ostile, concentrico nell’isolamento che produce, inumano non appena si scostano i drappi del conformismo borghese.
Adrienne Mesurat, il personaggio del libro, è una giovane ragazza non ancora diciottenne che vive in un borgo francese nella villa di famiglia, con il vecchio padre dispotico e la sorella maggiore, zitella inacidita e malaticcia. Il nucleo famigliare e le due ville attigue sono tutto il mondo di Adrienne, il recinto nel quale è costretta la sua vita.
Sedette sopra una seggiola, ancora stupefatta di quello che le aveva detto la sorella. Mai aveva conversato con Germaine. Quella donna l’irritava in ciò che faceva e ogni minimo gesto le sembrava spiacevole. Provava una ripugnanza istintiva per la malattia di cui era affetta e non amava starle vicina. Tutto questo metteva tra loro una distanza che aumentava via via, ed ora, bruscamente, era sembrato alla ragazza di trovarsi in presenza di una sconosciuta, quando Germaine aveva parlato delle sue sofferenze.
Julien Green scava nella coscienza della ragazza – evito di proposito il termine “psiche”, il motivo lo spiega lo stesso Green nell’Introduzione all’opera – osserva con occhi prima inquieti e poi sempre più allucinati, vaga nel tormento che assale la giovane, le impedisce di respirare, sbriciola i vaghi desideri di amore, di affetto, di compagnia. Pagina dopo pagina, lentamente, senza mai modificare il tono sommesso, rimanendo ben piantato nel canone di una scrittura compassata di inizio Novecento, Green, ancora una volta, allunga le ombre fosche sulla storia, le descrizioni naturalistiche lasciano il posto a un’ossessione strisciante che stringe alla gola; è la lingua oscena della follia che si insinua, puntuta, lurida, inizia a ricoprire di bava schiumosa i pensieri di Adrienne. Ancora una volta Green disegna sopra un ritratto già terminato per dissolverne l’apparente immobilità. Adrienne si sporca le vesti, i capelli sempre più disordinati, il volto fresco della giovane ingrigisce, gli occhi si cerchiano e i sentimenti, o quelle pulsioni indefinite che percepisce come tali, diventano terrore.
Lo intese allontanarsi fischiettando un valzer alla moda. Dapprima si felicitò di essersi così bene tratta d’impaccio, poi improvvisamente l’assalì un grande rimpianto. Qualcuno s’era fatto avanti a rompere la sua solitudine e lei l’aveva respinto. Forse perché era vestito in quel modo e l’aveva avvicinata senza conoscerla? Ah, ma che importavano queste cose? Ripensò alla voce di lui un po’ grave, quasi tenera, come a qualcosa di lontano, che non avrebbe ritrovato mai più. Se quell’uomo fosse tornato, sicuramente gli parlerebbe; ma sarebbe tornato mai più? Non l’aveva forse scoraggiato?
È un grande affresco tragico, Adrienne Mesurat, che scavalca i confini del tempo e le mode letterarie. È un incubo che si trasforma in realtà, con al centro una ragazza forse malata, forse solo vittima delle circostanze, e tutto intorno la società, i parenti, la casa, il paese natio, i luoghi e le persone più familiari che si stringono come una morsa, come un cappio asfissiante. Sono milioni le Adrienne Mesurat di ogni tempo e luogo. Green ne alza il monumento, all’Adrienne ignota caduta in solitudine.