«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
IL MONACO
Matthew G. Lewis
Traduzione di Bruno Fonzi
Einaudi 1970
[Libro disperso]
Mi vergogno a dirlo, ma da anni ho la maggior parte dei miei libri ancora cacciati alla rinfusa negli scatoloni del trasloco. Potrei giustificarmi con la precarietà della sistemazione attuale, oppure la fobia da ordine casalingo, nel senso che l’ordine mi opprime per la sua immutabilità, anche gli scatoloni sono immutabili, direte, ma in realtà non è così sia perché lentamente si contorcono sotto il peso eccessivo dei libri, ma sia soprattutto per la potente simbologia che incarnano: uno scatolone da trasloco pieno è un richiamo costante all’imponderabilità della vita, alla insussistenza delle certezze e alla eterna ricerca del porto di destinazione. Gli scatoloni pieni di libri sono la faccia di un’afflizione, la constatazione che anche i libri sono presenze superflue ed accessorie nella strada polverosa della vita e pure il vezzo estetico di un narciso irredimibile.
Va bene. Potrei continuare a farneticare a destra e a manca, ma vi risparmio la pantomima. La verità è che ravanavo negli scatoloni alla ricerca di un certo libro e subito un buon numero di altri è corso a saltarmi in mano. Hey, ma guarda chi si vede, ho detto a questo e quello, Come va? Ti trovo conservato bene, l’ombra della catacomba ti fa bene, vecchiaccio.
Uno di questi, uno dei più felici di rivedermi devo dire, quello che mi ha fatto davvero un sacco di feste quando l’ho recuperato, è stato proprio Il monaco, che lessi moltissimi anni fa, nemmeno ricordo quando, ricordo solo di averlo letto e di averlo sempre ricordato con molta simpatia, niente altro.
L’ho riletto.
Sulle prime mi sembrava un cimelio di un’epoca remota. Quell’edizione Einaudi nella collana Gli struzzi così severa, rigorosa, il cui equilibrio minimale denotava un tempo non piccolo passato a ponderare la rimozione del superfluo e del frivolo, disprezzando il ridicolo che sempre li accompagna. Il bianco opaco della copertina virato leggermente sul grigio-giallognolo, le pagine ancora compatte, con quella carta ruvida e consistente sulla quale le dita producono un rumore di lama che si affila. Il piacere dell’anticaglia, del cimelio e dell’inattuale.
Inizia con un saggio introduttivo di Mario Praz. Da notare subito l’eleganza einaudiana di non definirlo banalmente “prefazione”. Quello di Praz è un saggio su Il monaco, un condensato di erudizione, documentazione e stile. Un saggio rivolto a lettori evoluti e di pretese non da poco, nonostante Il monaco sia lettura per certi versi leggera e di intrattenimento. Il saggio di Mario Praz è meraviglioso. Da quello si apprende l’importanza dell’opera come capostipite della letteratura gotica ed anche le molte sfortune che ebbero, all’epoca della pubblicazione nel 1796, libro e autore. In sostanza i critici si divisero tra quelli che bollarono Il monaco come halfpenny paper, letteratura popolare da edicola, e quelli che invece lo apprezzarono fino a farne una fonte di ispirazione per grandi dell’Ottocento.
Insomma, col saggio di Mario Praz si viene elevati ai piani alti della critica letteraria e da là inizia la lettura del Il monaco.
Turgido. Così lo definirei se dovessi scegliere un unico aggettivo. È turgido, esattamente come un capezzolo rianimato. È una storia che contiene evidenti ingenuità, con Lewis che talvolta incespica preoccupato delle reazioni che avrebbe provocato se si fosse lasciato andare a eccessi intollerabili per l’epoca. Nonostante gli scossoni, Il monaco vibra di passione e sfrontatezza. È una narrazione carnale, pensata per crescere di intensità e morbosità con le diverse vicende che convergono verso il gran finale, l’ordalia annunciata. Le donne de Il monaco sono ricche di una sensualità che neppure le rigorose usanze dell’epoca possono frenare; pur nel loro ruolo di vittime delle circostanze e dei protagonisti, quella corporeità che affascina ed eccita gli uomini non viene mai a mancare.
Attorno a queste protagoniste vittime sacrificali danzano i protagonisti maschili, dal monaco del titolo, l’anima che si perde nelle spire demoniche della lussuria e della bestialità, fino ai cavalieri, nobili e prodi, accorsi in aiuto delle fanciulle in pericolo. La ricchezza fantastica del simbolismo gotico rappresenta la spina dorsale del testo, retto da un intreccio di destini predati da creature dell’ombra, di vita e morte in una società ancora feudale e della maestria dell’autore nel tenere alta la tensione narrativa.
Il monaco è una pietra miliare, un grande libro che ancora oggi, a distanza di più di due secoli, sprigiona un magnetismo irresistibile dalle sue spire torbide.
L’impeto della passione era trascorso, il desiderio di Ambrosio saziato. Nel suo petto, la vergogna rubò il posto al piacere. Confuso e atterrito della sua debolezza, egli si strappò dalle braccia di Matilda: il sacrilegio commesso gli apparve chiaro alla mente, e tremò alle conseguenze che potevano seguirne; considerò l’avvenire con orrore; il suo cuore disperato divenne albergo della sazietà e del disgusto; evitò gli occhi della sua compagna nel peccato. Cadde in un triste silenzio, durante il quale entrambi parvero immersi in dolorose riflessioni.
Ciò che sembra non è, parola non rivela, ogni animo umano racchiude un segreto e non tutti gli animi che paiono umani lo sono. Il monaco non disvela mai ciò che sembra disvelare.
Uno scempio che Einaudi non lo abbia più in catalogo.
ho letto un paio di romanzi della Radcliff , una Carolina Invernizio in veste british.
spero che questo non sia della stessa pasta, ciao a presto.
ah boh! La Radcliff non la conosco. E neppure la Invernizio. Questo piaceva a Flaubert, per dire (dice Praz)
ciao 2000 tutto bene?
ti seguo sempre eh, non mi son scordato di te ….