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«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Il pazzo dello zar – Jaan Kross

pazzo dello zar

IL PAZZO DELLO ZAR
Jaan Kross
Traduzione di Arnaldo Alberti
Iperborea 2016

Torna disponibile questo libro dopo molti anni di oblio. Cose strane. Come se per ragioni mefistofeliche nascesse una generazione di persone non più interessata a leggere Il pazzo dello zar, poi di nuovo qualcuno scopre che ci sono in giro degli interessati, chissà dove si erano nascosti, chissà perché sono nati, mutanti o ammutinati. Immagino che tra qualche anno riscomparirà per riapparire dopo qualche decennio. Ma non è problema mio il destino dei libri. Io leggo ora. Domani non lo so, non faccio promesse, non firmo contratti. Non mi sono mai voluto sposare ma questo non c’entra niente col discorso.

Lo dico subito. Il pazzo dell zar è un gran libro. Un gran libro estone, o baltico, per chi come me fa ancora un po’ di confusione tra Estonia Lettonia e Lituania, chi sia quale stato non l’ho ancora capito, so che sono vicini, stanno lassù e si somigliano, ma hanno anche delle differenze e su tutti e tre cala da sempre il gran alito umido della Russia.

Un gran libro estone o baltico non è come dire un gran libro francese o italiano o men che meno americano. Chi è intossicato dagli americani delle linee di montaggio editoriali prima si riposi e si rilassi facendo lunghe passeggiate, poi con calma prenda in mano i baltici. I baltici richiedono pazienza. Una pazienza europea come minimo, meglio se mitteleuropea e ancor meglio se nordica. Pazienza di quella che non scalpita. La pazienza placida nutrita di vuoti e lunghi inverni. Quella che non si snerva nell’attesa, semplicemente sta. Stacce, alla romana. Se sei perennemente in ritardo a un appuntamento, non leggere i baltici.

È una storia di nobili esiliati, di zar e di bellissime contadine. Una storia meravigliosamente moderna. Di aristocratici ribelli e di un’epoca che sta per chiudersi. È la storia di qualcuno che si accorge della fine di un’epoca e anticipa i tempi. Coloro che anticipano i tempi sono allo stesso tempo tra le persone più intelligenti e più stupide del loro tempo. Il pazzo dello zar, il personaggio principale, il barone Timo von Bock, personaggio storico, è quel genere di persona.

Il pazzo dello zar, lo dice Goffredo Fofi nella postfazione, è un romanzo storico. Dire “romanzo storico” atterrisce il 98,87% dei lettori. Eppure è proprio un romanzo storico. Innegabilmente un romanzo storico, baltico per di più, anzi estone. Bisogna pur dirlo.

È la storia del barone Timo che sposa la bellissima Eeva, una contadina. Grande scandalo. Il barone Timo è intimo dello zar di tutte le Russie, eppure va contro la sua volontà, non lo compiace, viene addirittura incarcerato per aver rispettato la promessa di parlargli con sincerità invece che con piaggeria, è uno di quegli aristocratici ribelli che avevano intuito l’epoca che terminava, ma che la storia non ha ricordato granché. Isolato in una tenuta estone con la moglie Eeva e il di lei fratello, il libro narra la storia di questa famiglia. La voce narrante è il fratello di Eeva, Jackob, contadino fatto istruire dal barone come la sorella consorte. Jackob è la voce neutrale, l’osservatore perfetto, mai invadente, mai altezzoso, privo di impennate d’orgoglio. Jackob è la voce della nascente borghesia, di origini umili ma distaccatosi dalla terra; voce equilibrata, opaca, infine beffata dalla sorte, come lo è spesso il buon borghese, cornuto e mazziato, ragionevole senza ragione. La voce de Il pazzo dello zar è la voce delle comparse della storia. Lo siamo quasi tutti anche noi, no?

È un libro lungo come devono esserlo i romanzi storici. Fluviale, si alza e si abbassa con il riflusso ondoso eppure appassiona. Davanti agli occhi, una nuova epoca sboccia dalla landa solitaria estone. È un libro di echi e sensazioni lievi. Un libro fatto di ore silenziose, di rumori attutiti che arrivano dall’esterno, da un mondo in corsa, un mondo che ormai non si comprende più. Un mondo privo dei tormenti dello spirito libero che rifiuta la fuga che gli avrebbe restituito una certa forma di libertà per conservarne un’altra, la libertà di essere testimone del destino della propria terra. Di accettare per se stessi il destino della propria terra.

Timo rinuncia alla fuga quando già tutto era pronto. Questo è l’unico momento epico del libro. La cesura della storia. Forse rappresenta la cesura che chiunque ha avuto nella propria vita, lo spartiacque, la follia.

Chi vuole qualcosa di essenziale, rimanga a casa.

Bello. Baltico. Secondo me c’è molta sensualità nel silenzio di una storia baltica. Quasi un alito erotico che discende dal torpore delle parole e delle frasi. Per questo penso di provare questa fascinazione così forte, come nelle storie di Brokken. Qualcuno si potrà annoiare. Non c’è niente di male. Ma per qualcuno i ritmi bradicardici della storia possono essere quasi afrodisiaci. È l’assenza di confini, la vastità degli eventi di un’epoca trascorsa, la possibilità di spalancare le braccia e avvolgere i sommovimenti dello spirito. Ha profumo femminile una storia baltica. Già, bello.

Note:
– Goffredo Fofi su La Stampa in una sintesi della sua postfazione.
Qui per chi vuole qualche informazione in più di quelle scarse che vi fornisco io.

Un commento su “Il pazzo dello zar – Jaan Kross

  1. Athenae Noctua
    16 aprile 2016

    Mi associo alle belle parole spese per descrivere questo libro: chi ama i romanzi storici e, in generale, chi ricerca una buona narrativa non può restarne deluso!

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Questa voce è stata pubblicata il 16 aprile 2016 da in Editori, Iperborea, Kross, Jaan con tag , , , .

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