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«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Neuromante – William Gibson

neuromante

NEUROMANTE
William Gibson
Traduzione di Giampaolo Cossato e Sandro Sandrelli
Mondadori 2003

Neuromante (Neuromancer il titolo originale) venne pubblicato nel 1984, in Italia nel 1986 da Editrice Nord. Ha 30 anni ma il tempo non ne ha intaccato la sfrenata visionarietà, in un genere che spesso paga un prezzo alto all’obsolescenza. Lui no, Neuromante attraversa i decenni protetto da una magia nera; leggerlo o rileggerlo nel 2016, quando di cyberspazio parlano anche i telegiornali, di ologrammi, virus e realtà virtuali ne sentiamo perfino biascicare maldestramente da opinionisti improvvisati, rimane ancora un’esperienza immersiva fenomenale fatta di salite verticali e di picchiate a occhi chiusi, un caleidoscopio di immagini e immaginazione e capacità visionaria come pochi altri libri riescono a raggiungere, quelli che fondano un mito, quelli delle grandi saghe pagane, delle cosmogonie classiche, i grandi racconti d’avventura che segnano epoche e generazioni di lettori. Neuromante è il libro del grande mito moderno post-industriale, apocalittico e ipertecnologico, il suo cyberspazio inventato a metà degli anni ’80 rimane ancora oggi una visione folgorante che ipnotizza, avvolge i sensi e trasporta in un futuro di immaginazioni sintetiche e tossiche. Neuromante è il mito della nostra contemporaneità, leggerlo oggi è sbalorditivo per la preveggenza di Gibson, tale e talmente precisa da domandarsi se quelle non siano state profezie che si sono auto-avverate, così forte l’attrazione che hanno prodotto sull’immaginario da averne determinato la loro realizzazione.

L’incipit celeberrimo che per quanto lo si possa aver già letto decine di volte, rivederselo davanti ha il sapore dell’attimo che precede il salto nell’uragano di immagini e colori:

Il cielo sopra il porto aveva il colore della televisione sintonizzata su un canale morto.

Io non amo per nulla Philip K. Dick. Ho provato spesso a leggerlo e ogni volta mi ha deluso, ultima La svastica sul sole, libro tanto celebrato quanto sopravvalutato, per conto mio, una idea svolta in modo banale e didascalico, buono per i palati grossolani del pubblico americano medio e lo show business globale. Eppure è impossibile non riconoscere un legame forte tra le atmosfere di Neuromante e quelle del Blade Runner di Ridley Scott, a sua volta tratto da Il cacciatore di androidi di Dick. Chi ha amato Blade Runner rivede la stessa Tokio gocciolante pioggia sporca, sudore e disperazione, le stesse figure esistenzialmente tragiche e le stesse realtà mutevoli, talvolta sotto l’effetto della manipolazione virtuale, altre sotto l’effetto di stupefacenti.

Case, il personaggio di Neuromante, è un eroe pezzente circondato da entità solo parzialmente umane, egli stesso parzialmente cyborg e incapace di un equilibrio tra le allucinazioni del cyberspazio e quelle delle droghe. La carne, l’essenza più animale dell’umanità è il punto di frattura di questi personaggi in dissoluzione.

Il danno era microscopico, sottile, e completamente efficace.
Per Case, che era vissuto per l’esultanza incorporea del cyberspazio, fu la Caduta. Nei bar che aveva frequentato come cowboy «pezzocaldo», l’atteggiamento dell’élite comportava un certo rilassato disprezzo per la carne. Il corpo era carne. Case era caduto nella prigione della propria carne.

Cyberpunk. Così si dice di Neuromante, che abbia dato vita a un nuovo sottogenere letterario costola della fantascienza, Neuromante ha fondato il cyberpunk. Non è cosa frequente per un libro fondare un nuovo sottogenere letterario, ma in questo caso la definizione è appropriata. Cyber e punk, la nuova ipertecnologia cibernetica veicolo verso il futuro combinata con una visione della vita e una condotta personale nel solco di un nichilismo autodistruttivo, una cupa disillusione, e l’assorbimento su di sé di tutti i segni di una società in putrefazione.

Non mi è capitato per caso o per noia di leggere Neuromante. Volevo leggerlo perché voglio leggere un certo numero di libri cyberpunk, horror o apocalittici alla ricerca proprio della capacità visionaria estrema, quella del condannato che esercita la cupa lucidità, cerco la potenza immaginativa di chi concepisce la distruzione per mano delle migliori creazioni dell’uomo. È questo un confine della letteratura che viene spesso sottovalutato, sporco e buio com’è non si accomoda quasi mai nei salotti letterari. Eppure io credo che nella particolare direzione che si sceglie, possieda una forza espressiva rara. Cerco la forza di immaginare l’inimmaginabile, dandogli una forma. Neuromante mi sembrava l’inizio naturale, la sorgente, il canone e la fondazione del mito.

È un grande libro e una immersione nella fantasia più pura. Come riuscire a lasciare l’arte figurativa per entrare nelle allucinazioni dell’arte astratta, nel simbolismo, nella perdita di confini e proporzioni, in un gioco di colori e di sfumature del viola o del blu notte.

Meraviglioso Neuromante.

GIBSON_neuromante1

Un commento su “Neuromante – William Gibson

  1. procellaria
    11 giugno 2016

    sì, ok, ma c’è anche tanta supercazzola

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Questa voce è stata pubblicata il 11 giugno 2016 da in Autori, Editori, Gibson, William, Mondadori con tag , , , , , .

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