2000battute

«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Andarsene – Rodrigo Hasbún

andarsene

ANDARSENE
Rodrigo Hasbún
Traduzione di Giulia Zavagna
SUR 2016

Non so da dove cominciare. A dire la verità preferirei non cominciare, ma me la sono data come regola quella di dire anche quando preferirei fare finta di niente. Questo mica perché abbia slanci tragici, è solo che non riesco a prendere quello che faccio e dico abbastanza sul serio. Deve essere un problema di emotività bloccata o di sviluppo incompleto della personalità. Non so, dovrei informarmi da un esperto.

Qualcuno penserà che sto menando il can per l’aia invece di dire in modo semplice che non mi è piaciuto aggiungendo due righe di motivazione, poi saluti e buone cose. Però, io vorrei dire che non è proprio così papale papale, cioè non voglio far finta di essere un odioso (re)-censore, che mi venga mal di pancia se dovessi mai farlo. Quello che cerco di dire è che c’è un fattore personale che ha giocato in modo decisivo, credo sempre legato all’emotività bloccata o allo sviluppo incompleto della personalità di cui vi dicevo prima. Si tratta della fissazione per le ripetizioni. Talvolta fissazione positiva nel senso che la ripetizione ipnotizza, talaltra fissazione negativa perché il solo accenno alla ripetizione induce diffidenza. Questo è un caso di ripetizione negativa.

Andarsene di Rodrigo Hasbún è un bel libro, credo, se preso a sé, indipendentemente da tutto, come da dentro una bolla di isolamento spaziotemporale. Ma io in una bolla di isolamento spaziotemporale non riesco a mettermici – e non sapete quanto volentieri invece mi ci infilerei – per questo quando ho letto Andarsene ho sentito una ripetizione negativa. Le ripetizioni negative per quanto riguarda i libri si chiamano anche solite-storie-regionali. Le solite-storie-regionali sono ovunque nel mondo letterario. In Italia sono le innumerevoli storie sull’eterna provincia, la storia che parla del paesello, parte dal paesello oppure torna al paesello, si ricorda del paesello o anche ritrova il paesello nella metropoli o lontano da casa. La letteratura italiana è sommersa di storie del paesello, decine o centinaia di scrittori non fanno altro che parlare dei loro paeselli. Un altro esempio celebre sono le storie ebraiche che spesso pure loro parlano dei paeselli-shtetl askenaziti, dell’eterna diaspora e del senso di ricerca delle radici. Con questo non voglio dire che siano libri brutti. Affatto, come sempre dipende, alcuni sono belli, alcuni brutti, molti mediocri, ma quello che sottolineo è la ripetizione di un canovaccio, di un racconto tradizionale. I maestri moderni sono gli americani, che la ripetizione del canovaccio tradizionale frontiera-sesso-party-bassifondi-automobili-frasi-veloci l’hanno industrializzata e sfornano libri ripetitivi montati da robot. E così via fino ai sudamericani, che formano spesso un corpo omogeneo, per i quali un canovaccio è la storia intergenerazionale al tempo della dittatura. Tutti i paesi sudamericani sono passati per una o più dittature, quindi la storia intergenerazionale ai tempi della dittatura (o comunque in presenza di scontri violenti tra forze militari e gruppi rivoluzionari) è un topos continentale. Di solito si articola attorno a una vicenda famigliare nella quale esplodono le contraddizioni tra genitori e figli, contraddizioni interne (ad esempio, padre imprenditore filogovernativo, figli rivoluzionari) e contraddizioni esterne (genitori frequentanti salotti borghesi, figli che finiscono nel mirino dei militari). Sono storie che si annodano e si snodano attorno a questo nucleo doloroso nel quale si scontrano legami famigliari e atti politici, sentimenti e ideologia, il presente legato al passato e il presente che annaspa verso il futuro. C’è sempre una doppia anima in queste storie di letteratura regionale, intima e sociale, romanzata e storicizzata.

Per questo Andarsene a me ha prodotto una ripetizione; perché il canovaccio mi era fin troppo noto: questa volta era boliviano ma somigliava a uno brasiliano e a uno argentino e a uno peruviano e a uno cileno, ma questa volta, a differenza di altre, l’autore non aggiungeva l’elemento sorprendente, la sterzata, oppure una voce personale, o un sottofondo musicale, un ritmo sistolico, un’allucinazione, una follia, un complotto. Hasbún scrive bene (e Giulia Zavagna traduce altrettanto bene), il libro si tiene insieme in ogni parte, i personaggi sono presenti e si lasciano seguire, ma senza pathos, non entusiasma, lo si lascia scorrere verso la fine annunciata, si pensa Già, è davvero successo molte volte, lo so. Per questo dicevo che servirebbe una bolla spaziotemporale certe volte, così la ripetizione negativa non prenderebbe il sopravvento e al suo posto un bel sapore pieno di storia tragica ed emblematica di un continente.

Se non avete nelle orecchie il suono di molte storie sudamericane al tempo della dittatura allora Andarsene è una bella lettura che vi fa scoprire come suonano queste storie. Se le conoscete già, allora dipende dalle vostre personali fissazioni e su quelle io non ho niente da commentare.

Commenta, se vuoi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Informazione

Questa voce è stata pubblicata il 25 giugno 2016 da in Hasbún, Rodrigo, SUR con tag , , , .

Copyleft

Licenza Creative Commons
2000battute è distribuito con licenza Creative Commons 2.5 Italia.

Autori/Editori

Archivi

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: