«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
FISICA DELLA MALINCONIA
Georgi Gospodinov
Traduzione di Giuseppe Dell’Agata
Voland 2013
Non è immediato dire cosa sia questo libro. Qualcuno prende la scorciatoia definendolo “una raccolta di racconti”. Ma è falso. È senz’altro una raccolta, ma non di racconti. Racconti inteso come forma letteraria. Se lo intendiamo invece come atto che qualcuno compie, l’atto di raccontare, bé allora la definizione di “raccolta di racconti” diventa più veritiera. Rimane un’ambiguità in ogni caso, come ben vedete. Non sono racconti, ma è un raccontare. Ed è una raccolta. Una raccolta di atti di raccontare. Cacofonico. Gospodinov dice che è un’arca di Noè.
Immagino un libro, in cui ci siano generi di ogni tipo. Dal monologo, passando per il dialogo socratico, fino all’epica e all’esametro, dalla favola, passando per il trattato, fino all’elenco. Dalla solenne antichità alle istruzioni per i macelli. Tutto può essere raccolto e trasportato in un simile libro.
Che scriva, scriva, scriva, che appunti e che conservi, che sia come l’arca di Noè, ci sono creature di ogni genere, piccole e grandi, pure e impure, bisogna prendere da ogni specie e da ogni storia. I generi puri non mi interessano. Il romanzo non è ariano, come diceva Gaustìn.
Che io scriva, scriva, scriva, che annoti e che conservi, che possa essere come l’arca di Noè, non io, ma questo libro.
È un accumulo di brani, annotazioni e voci conservate in un baule alla rinfusa, ma non prive di un criterio. Se non altro c’è un criterio temporale, sul fondo quelle più remote, in cima le recenti. Grossomodo. Eppure non è nemmeno un diario, con le sue annotazioni in sequenza che scandiscono il passare del tempo. Un diario è espressione di una voce. Qui le voci sono molte, mobili, camaleontiche, mutano una nell’altra, saltano dalla prima alla terza, dal passato al futuro, dai decenni agli anni alle ore.
Gospodinov sceglie di dare una forma per aggregazione di parti. È l’insieme a determinare il tutto, non le parti. Adotta un alter ego per condurre insieme questa divagazione nel labirinto della malinconia: il Minotauro. Riguardate con maggior attenzione l’immagine di copertina. È scelta con molta oculatezza ed è rivelatrice. È il Minotauro bambino, in grembo della madre, prima di essere confinato nel celebre labirinto cretese. È l’altra parte del mito, quello descritto dal punto di vista del Minotauro.
Gospodinov e il Minotauro nel libro sono la stessa voce che si rincorre, perfino in una corrida o in un macello prima del colpo con il bullone.
Mi immagino la faccia del primo che trovi questi appunti. Penserà sicuramente che qui sia vissuto un mostro. È vero che dentro di me il Minotauro trema per il buio, ma altrimenti ho un aspetto assolutamente normale, porto il corpo di un uomo bianco di mezza età, una donna aspetta un bambino da me, a volte vado al mare, da solo, o viaggio all’estero. Pratico quello che si chiama una vita normale per il mondo di sopra. È vero che sono ritenuto piuttosto riservato e taciturno ma, per la professione che esercito, è una caratteristica pienamente nella regola. I miei libri si vendono piuttosto bene, il che mi assicura tempo e luogo per le mie occupazioni e mi assicura altresì la necessaria tranquillità. Non rilascio interviste.
Gospodinov procede con pazienza, consapevole dell’inutilità di quello che va accumulando. Non si cura del tempo e del luogo. Che sia una notizia di cronaca o un frammento di mito fa lo stesso. Anche il punto di vista di un mostro del passato o di un uomo del futuro o di una drosofila che nasce vive e muore in un giorno solo non per forza sono così diversi. Non compone, non cuce, non mescola. Aggiunge, butta dentro, talvolta lascia parlare il Minotauro, qualche volta parla di sé, qualche altra parla di sé come fosse un altro, oppure parla di cose successe a chissà chi.
C’è una bruma di malinconia che riempie le pagine, le scolora tingendole di un grigio slavato. È una malinconia che viene dalla Bulgaria, il posto più triste del mondo, ma poi si allarga a tutto il resto, anche alla storia, come in un lungo autunno del mondo. Si chiama proprio così, L’autunno del mondo, uno degli ultimi capitoli.
Non c’è mai stata tanta malinconia come ai nostri giorni, ride di gusto il dottore. Solo che non ne parlano. Non rientra nell’economia di mercato, non si vende malinconia.
Poi nel finale il raccontare sgocciola via, balbetta, torna indietro, a ricordi, ricordi di ricordi, ricordi di incubi, esperimenti con particelle elementari di malinconia.
Inizia dicendo Io siamo, finisce con Io fummo.
Bello molto.