«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
IL FIORDO DI KILLARY
Kevin Barry
Traduzione di Monica Pareschi
Adelphi 2014
Questo ci voleva proprio, diamine!
(manata sul tavolo, fine della scena)
Tiro davvero un respiro di sollievo. Sul serio, eh, che dopo aver infilato diversi libri di racconti uno più noioso dell’altro mi ero un po’ incupito nei confronti dei racconti.
Tanto che quando ho preso questo ho pensato Oddio, ancora dei racconti!
Poi però ho razionalizzato mettendo in fila alcune cose:
– Kevin Barry è irlandese, io i problemi di tedio ce li ho in particolare con gli americani.
– Per fortuna non avevo incontrato gente sovraeccitata dire che questo era un capolavoro, un grosso punto a favore di un libro di questi tempi popolati da megalomani schiamazzanti.
– Avevo invece letto buone cose scritte in modo pacato a proposito di Barry, come uno dei nuovi scrittori più apprezzati dopo un periodo di fiacca della narrativa irlandese.
– Ho già detto che è irlandese? Regola da non dimenticare: mai sottovalutare gli irlandesi (neppure gli argentini e gli ungheresi).
Il risultato è che mi sono divertito, appassionato, divertito, appassionato e divertito. Bravo Kevin Barry. Così si scrivono dei racconti, diamine! Tesi, circolari, astrusi, ritmo ritmo ritmo, fantasiosi, fantasmatici, eccessivi, sorprendenti, divertenti, orrorifici, stralunati e daje con quelle frasi, animo animo animo! Ragazzi, se uno che scrive racconti riesce a fare addormentare con un racconto figuriamoci cosa succede se prova a scrivere un romanzo, la gente cade in letargo e si sveglia tre mesi dopo.
E dire che ero pure partito col naso storto come se avessi sentito una gran puzza perché alla prima pagina scopro che questo Il fiordo di Killary è una raccolta di racconti messa insieme da Adelphi pescando da due raccolte esistenti: i primi tre da There Are Little Kingdoms del 2007 e gli altri otto da Dark Lies the Islands del 2012, più l’ultimo che è uscito sul New Yorker.
Io odio quando gli editori fanno questi taglia e cuci come pare a loro.
Mi viene un nervoso tremendo e normalmente finisce che inveisco rabbioso.
Invece questa volta no, per niente, anzi, come forse ho già detto mi sono divertito e appassionato, tanto che ora vorrei che gli adelphici facessero uscire anche i rimanenti racconti delle due raccolte e se poi sono scarsi peggio per loro, così imparano a fare le selezioni.
Inizia così il primo racconto che si intitola Atlantic City:
Una sera di luglio, dopo un giorno da sciogliere l’asfalto, e Broad Street tranquilla e ammutolita nell’estate, l’intera città assopita nell’estate, e l’estate che, raggiunto il suo culmine, cominciava a svanire. I cani non sapevano cosa li avesse colpiti. Giravano a vuoto con la lingua penzoloni, roteando gli occhi e leccando afflitti i tombini. Anche i vecchi erano irrequieti, aprivano le tende per scrutare le colline, sventolando la guida ai programmi TV per farsi aria in salotto. Più tardi, col buio, i bar avrebbero vorticato di bevitori di birra, ma era ancora presto, e Broad Street era nuda e placida nella sera blu.
Che stile ha Barry? Mah, ha uno stile particolare? Non so, è divertente e stralunato, cambia spesso registro, rimane sempre un fondo di ironia piacevole, segno che si diverte e se si diverte lui è possibile, ma non garantito, che si diverta anche chi legge, ma in ogni caso è sempre una buona cosa se chi scrive si diverte invece di quelli che si capisce che scrivono rigidi e nevrastenici e azzimati come pinguini. Poi di certo Barry è uno fantasioso, il che fa molto bene alla scrittura di racconti. Si immagina storie strampalate e le scrive da furbacchione, partendo lento, poi spiegando bene perché e percome, poi cincischiando un po’ e alla fine tirando una gran sterzata che sembra di cappottare tutti quanti e invece non si cappotta ma si scopre il finale a sorpresa. Bravo, proprio molto bravo. Ecco se dovessi paragonarlo a qualcuno mi viene in mente l’ottimo Gianni Tetti, un altro stralunato e grottesco che sa far divertire e appassionare. E poi, in fondo, irlandesi e sardi un po’ simili sono, no?
Voglio leggerne ancora. Adelphici, quando lo pubblicate di nuovo?
Questo un brano dal racconto che dà il nome al volume.
A quel punto era un acquazzone isterico, con tremendi scrosci d’acqua che scorrevano giù dal Mweelrea, e il porticciolo che ruggiva nella luce sempre più densa. La visibilità era ridotta a quattro metri circa. Ecco, nell’Irlanda occidentale questo genere di eventi segnalano l’inizio della bella stagione.
Dopo aver letto questi due brani non fatevi venire l’idea che Barry faccia solo lo spiritoso sulle condizioni meteo. In realtà ci sono molte bevute – è irlandese – poi due simpatiche anziane signore che rapiscono bambini, una figlioletta che fa i po-n-pini, una storia con degli hippy, un medico alcolista, la storia di un capotreno (questo forse è il mio preferito), e poi altri.
L’ho detto che mi è piaciuto?