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«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

La donna che scriveva racconti – Lucia Berlin

berlin

LA DONNA CHE SCRIVEVA RACCONTI
Lucia Berlin
Traduzione di Federica Aceto
Bollati Boringhieri 2016

La copertina è bruttissima. Con quel controluce da videoclip di decenni fa, con quel titolo La donna che scriveva racconti sapido e molliccio – niente a che vedere con l’originale A Manual for Cleaning Women, Un manuale per donne delle pulizie – e anche quelle due frasette, “Storie vere ma inventate. Come quelle di Alice Munro”, buttate lì da una mano ansiosa che suonano come uno che si voglia scusare di qualcosa.
Una delle copertine più brutte che ricordi. Che mi ha tenuto lontano per mesi da questo libro.

Un libro meraviglioso. Di quelli che ti lascia con un gran sorriso per la certezza che te ne ricorderai a lungo e che magari vorrai rileggerne un po’, vorrai regalarlo, vorrai consigliarlo, vorrai dire Oh, sai ho letto un libro bellissimo!, vorrai ogni tanto borbottare da solo qualche commento Cacchio, ma quanto beveva quella donna!

Lucia Berlin, che è americana non italiana, ha un grande talento, raro, prezioso per uno scrittore, un talento spontaneo, di quelli che se non ce l’hai puoi provarci tutta la vita a imitarlo o impararlo ma inevitabilmente ti farai scoprire che non sei autentico e stai solo fingendo.
Riesce a essere simpatica e divertente e sorridente raccontando di una disperazione senza fondo e fine.

Tutti i racconti sono un suo personale tuffo nella pozza della disperazione: dell’alcolismo, della solitudine, della morte, della malattia, della povertà, delle umiliazioni, della prigione, della violenza, dell’assenza di speranza, dell’abbandono, della perdita, del dolore, della colpa, degli sbagli, dei tradimenti. È una disperazione che sale dal terreno quella di Lucia Berlin, non mediata, non contestualizzata, è una disperazione della quale è intrisa, imprescindibile. È un’enorme disperazione quella di cui racconta.

Lo fa sorridendo, con una simpatia innata, scherzosa, leggera, scoperta. Il cocktail è strepitoso. Come strepitoso è il suo continuo rimescolare le stesse storie, riprendendole ma mai uguali a se stesse, mai consequenziali, sempre un po’ diverse, cambiando i nomi, i connotati, mascherandosi e trasformandosi, con scarti che costringono a osservarla con maggior attenzione, fissarla per cercare di capire e lei è lì, con il suo sguardo trasparente che sorride e l’angoscia feroce della vita.

Nella buia e profonda notte dell’anima, i negozi di alcolici e i bar sono chiusi. Allungò una mano sotto il materasso: la bottiglia di vodka da un quarto era vuota. Scese dal letto, si tirò in piedi. Tremava tanto che dovette sedersi per terra. Era in affanno. Se non avesse bevuto presto qualcosa le sarebbe venuto un attacco epilettico o di delirium tremens.

La cronaca cinica e grottesca dell’alcolizzato è uno dei grandi topos della letteratura nord e sudamericana. Ha ispirato romanzi memorabili, creato personaggi immortali e dato gloria eterna a molti autori. Tra i molti ricordo uno dei libri più anomali e fulminanti, Il deserto di Jorge Baron Biza, capolavoro annegato nell’alcol. Lucia Berlin non è da meno, anche se con stile e modi tutti diversi. Anche lei va messa tra i grandi alcolisti che hanno scritto storie meravigliose. È un sottogenere letterario quello del racconto dell’alcolista, ironico e cinico come sa essere solo uno intossicato, verista ma distorto dall’allucinazione pulsante.

Voglio finire dicendo che se c’è una cosa che mi fa sorridere molto dopo aver letto Lucia Berlin è che ho guardato una donna delle pulizie e ho pensato al suo racconto strepitoso, ho incrociato lo sguardo con un’assistente in un reparto ospedaliero e ho pensato alle sue descrizioni comiche, ho visto al supermercato una donna comprare una bottiglia di vodka e l’ho immaginata nelle situazioni più grottesche che lei racconta, e soprattutto ho ricordato immagini di povera gente, donne dimesse, vecchi barcollanti, gente che non capisci come faccia a cavarsela, immagini di persone con l’etichetta di perdenti, malandati, con lavori ridicoli. Me li sono ricordati e queste immagini hanno iniziato a scorrere insieme al flusso di racconti della Berlin, due flussi di immagini, che si sono fusi. Ho iniziato a costruire le forme dei vestiti dei suoi personaggi, e o visto lei, con le decine di nomi diversi ed età che si è data, e a ognuno ho associato il volto di quella donna, le mani di quell’uomo, il cappotto macchiato di quel vecchio e la dentiera di quella vecchia che ho visto per davvero. E se c’è una ragione per leggere, lei ma anche in generale, è proprio questa, ti fa fare pensieri che un po’ assomigliano a quel che fa l’alcolizzato.

Un commento su “La donna che scriveva racconti – Lucia Berlin

  1. yvonne
    17 settembre 2016

    ed era anche incredibilmente bella. Storie molto americane, dove tutto è in movimento, nello spazio, nei ruoli, negli affetti, ma molto più autentiche di quelle degli scrittori americano in genere. E poi un pezzo memorabile nel racconto “Aspetta un attimo”, una pagina sul tempo da leggere e rileggere.

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Questa voce è stata pubblicata il 3 settembre 2016 da in Autori, Berlin, Lucia, Bollati Boringhieri, Editori con tag , , , , .

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