«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
BUSSOLA
Mathias Enard
Traduzione di Yasmina Melaouah
E/O 2016
Commento di Cornelio Nepote
Grifagni signori e curvagne signore, oggi vi deluderò, consapevolmente, scientemente, ne accetto le conseguenze e non mi scuserò. Inizio.
Lo osservavo mentre leggeva, tenendomi nascosto nell’ombra e sottovento. Lunghe ore inutili di osservazione eppure indispensabile per armarmi di ricordi bruni e poi sferrare picozzate contro questo declamato, celebrato, osannato Bussola scritto da un tal franzoso.
Ero già là quando è rincasato con il mattoncino nella bisaccia. Sembrava contento, stronfiava pure un poco, non vedeva l’ora di iniziare la lettura. Lo vidi sedersi nella sua modesta poltrona e avvicinare la lampada dalla quale fiocchi di polvere caddero infastiditi. Finalmente lo teneva in mano, tutto per sè. Accarezzava la copertina, sorrideva benevolo come un priore alla fascetta celebrativa di un premio di franza. L’ha sfilata con dita libidinose, forse remoti ricordi di mutande femminili che gli rimembravano, poi ha aperto la copertina e letto la prima pagina, c’è scritto FRANCIA, chissà per quale motivo voi domanderete e io non so darvi risposta, poi è passato alla seconda pagina, c’è scritto BUSSOLA, soltanto quello, alla terza finalmente c’è tutto quello che serve, titolo, autore, traduttore, editore. Sorrideva lascivo e innamorato alla sua vanità ottusa mentre io continuavo a osservarlo senza nemmeno battere ciglio una volta. Sapevo già tutto, era come una pellicola di cinepresa che avanzava e io lo spettatore immoto.
2000battute è un po’ stupido ma non è una cattiva persona, chillo è soltanto un poco semplice, come dire, chillo è un uomo da addizioni e sottrazioni, non da matematica e formule e neppure da moltiplicazioni e divisioni, che già impegnano e non poco. Basta una matita e un pezzuolino di carta per scrivere tutto quello che c’è da dire di quell’uomo mentre leggeva Bussola.
L’ho visto entusiasmarsi ai primi accenni a Sadeq Hedayat, trascrivere il nome e il titolo come un bravo guaglione quando ascolta il maestro, poi gonfiarsi di gran sospiri a leggere orientalismo, Palmira, Persia… l’ho sentito mormorare “Ah, Edward Said!” che lui lesse quando era di moda leggerlo, ma capendo poco o punto di quel che il levantino arabescato scriveva. Il franzoso saltava tra le scalette di Montmartre e le sabbie di Siria e lui, il lettore del più e del meno, si faceva sempre più rotondo d’orgoglio per il gran tomo che stava sbocconcellando. Lui era fratello di tutto il mondo dei gran lettori, così pensava il miserevole. Io continuavo a non battere ciglio, che tanto sapevo, ah se sapevo!, cosa lo attendeva.
Lo attendeva la traversata del deserto di pietre e miraggi, mangiando polvere, con la testa a ciondolo per il gran sole o il gran tedio, la schiena inarcata, sempre più incurvata sotto il peso dell’inutilità, della prosopopea dell’erudito inconcludente, dello sproloquiare insensato, degli sprazzi di saggistica che avrebbero acceso una luce subito spenta con secchiate di puzzolente romanticismo di una storia d’amore che d’amore non è, una storia di noia d’amore forse, una insopportabile trama sentimentale che finisce per far venire voglia di tirare un gran calcio in culo a quel trombone di oratore mieloso e narciso.
E così è successo, proprio come m’aspettavo. L’incosciente si è piegato, poi ripiegato, ha avuto un sussulto, uno scatto di quel che lui chiamerebbe orgoglio ma io so essere soltanto un fremito nervoso ed è arrivato in fondo. In un certo senso l’ho apprezzato nel vedere lo sforzo di trangugiare quell’intrangugiabile finale da romanzo rosa.
Ha attraversato i bivacchi di Palmira con la scena di un culo dormiente poggiato su una verga senziente, scena poi ripresa forse cinquanta volte, forse cento, di certo fino a far maledire quel bivacco. Ha percorso le pagine informi delle ciance del fumatore di oppio, in vero le più gradevoli o le meno trombonesche, se non altro inducevano all’uso di stupefacenti e l’idea portava un momentaneo sollievo. È arrancato nelle lunghe pietraie dello sfoggio di erudizione fine a se stesso, pagine di citazioni, salamelecchi e leccate di Romanticismo tedesco, francese e ancora tedesco, insopportabili come un coro di prefiche. Ha superato la trappola turistica delle giornate della rivoluzione iraniana, mai come questa volta ridondanti e ripetitive come una cascata rococò. Infine il già citato tremendissimo finale in tono baroccamente decadente, The Sunset Boulevard dell’antipatico orientalista viennese con la sua non abbastanza amata orientalista franzosa.
Gli ho visto calare sul volto la grigia nebbia della delusione, i lineamenti che precipitano, lo sguardo che si perde, i sospiri sempre più frequenti. Ha ripreso in mano la fascetta commemorativa del gran premio e l’ha guardata sconsolato. Allora mi sono avvicinato e gli ho posato una mano sul capo. L’ha chinato un poco. Figliuolo – l’ho chiamato così per rincuorarlo anche se preferirei la morte ad avere un figlio come quello – figliuolo, non mi dirai che c’avevi creduto al gran premio di franza? Non me lo dirai, vero? – e lui costernato – Maestro, io… non so – mi piace quando dimostra l’umiltà dell’inferiore, e allora ho aggiunto, declamando in tono profetico – che per caso tu credi davvero che c’entri San Gennaro con il sangue dell’ampolla? Ma andiamo ragazzo, ma neppure il gran cardinale di Napoli ci crede, vuoi essere proprio tu a credere ai gran miracoli e ai gran premi di franza? Su su… rianimatevi, uscite al sole, fate una passeggiata e cantate una canzonetta!
Così gli dissi e questo è quanto su questo Bussola scritto con gran stile, gran perizia e gran sfarzo da un insopportabile trombone franzoso.
Omaggi cari alle vostre iridescenti bellezze.
Cornelio Nepote
Lo stavo per prendere ieri poi ho optato per Dolore, mi sa che ho fatto bene, grazie Cornelio.
Mi parlano bene di Zona di Enard