«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
IL GIORNO CHE DIVENTAMMO UMANI
Paolo Zardi
Neo Edizioni 2013
Sono racconti. Nel primo racconto c’è uno che va con una prostituta di colore e le rompe il culo. Dopo lei piange, senza smettere. Io mi sono chiesto Ma com’è che uno decide di iniziare la sua raccolta di racconti con il culo rotto della prostituta di colore? Perché è chiaro che non è che c’è caduto per sbaglio o hanno tirato a caso. Qualcuno l’ha scelto, penso l’autore, Paolo Zardi, o forse l’editore o non so chi, ma qualcuno l’ha senz’altro deciso Mettiamo per primo quello del culo rotto – e a me questa cosa incuriosisce, mi piacerebbe sapere, e non lo dico per criticare, non sto facendo del sarcasmo, penso sia una scelta per dare una specie di scossone al lettore che magari è ancora intorpidito dalla noia del vivere o del convivere e si sta ancora chiedendo Zardi… Zardi… ma ho già letto qualcosa di Paolo Zardi? e zac! gli arriva il culo rotto che lo/la fa sobbalzare. Questa è un’ipotesi, quella semplice, che poi nel mio caso non mi ha fatto sobbalzare ma invece ho iniziato a chiedermi ossessivamente Ma perché hai scelto proprio questo come primo? – quindi può benissimo essere che la scelta del culo rotto come primo sia proprio per far arrovellare i lettori che si domanderanno perché proprio quello è finito come primo.
Passando al secondo, c’è un padre che fuma e sputa sangue e i due figli piccoli. Uno dei due, la piccola, collassa. Finisce così e sono rimasto perplesso, poi ho iniziato a tempestarmi con una domanda Perché dopo il culo rotto hai messo la bambina collassata? – è chiaro che l’ordine parla, la sequenza è parte della storia, anzi è la metastoria, la sequenza dei racconti è la narrazione delle raccolte di racconti, questo lo sa anche un somaro, e quindi Perché dopo il culo rotto hai messo la bambina collassata? Zardi a che gioco stai giocando eh?
Seduto in tram, con la testa appoggiata al finestrino, le mani sulle ginocchia, accompagnato dal dondolio sulle rotaie, di fronte a una ragazza-forse-ventenne che – gambe lunghe, tette come frutta attaccata ai rami, denti bianchissimi, un neo sulla guancia sinistra – si ostinava a non guardarlo, a non vederlo, a non percepire la sua esistenza; tornando a casa sua, da sua moglie, verso la vita che aveva scelto chissà quanto tempo prima – già intravedeva l’insegna del supermercato dove il sabato pomeriggio andava a fare la spesa –, si domandava, ancora una volta, perché avesse detto di sì a sua figlia quando, la sera prima, gli aveva chiesto di pranzare al bar dove lavorava come cameriera da poco più di un mese. Avrebbe dovuto dire di no, lasciando che il lavoro e la famiglia rimanessero nei loro mondi separati e, invece, aveva detto di sì.
Questo è l’inizio del terzo racconto, che si intitola Fiat Duna. Fiat Duna? C’è una sola ragione per la quale un qualunque scrittore italiano tira fuori la Fiat Duna: per fare lo spiritoso, sarcasmo decadente, questo è. Hmmm, – ho pensato questa volta – Zardi fai del sarcasmo decadente per caso?
La figlia cameriera del racconto è laureata in psicologia, a pieni voti. Ma il problema è un altro, assomiglia alla madre, cioè sua moglie, e sua moglie è brutta. Sarcasmo decadente. Ora inizio a capire il metaracconto della raccolta di racconti: sarcasmo decadente. Ma chi è l’oggetto del sarcasmo decadente di Zardi e di queste storie piccole e semplici? Zardi sei un finto-semplice, t’ho stanato!
Poi c’è un altro racconto, non subito dopo quello della Duna, ora salto un po’, un racconto di uno che un giorno cade perché lo investe un tossico in bicicletta. Batte la testa e gli fanno la TAC. La botta non è niente ma gli trovano un tumore al cervello e gli dicono che muore. E allora cosa fa? Non fa niente, pensa solo che non vuole morire. E finisce.
Sento il metaracconto sarcastico decadente di Zardi che inizia ad avvolgersi attorno come un pitone, avete mai sentito un pitone stringervi la gola? Io mai, ma è una strana sensazione, di quelle che ti viene da bere dell’acqua. Continuiamo. C’è un addio al celibato, il massimo del sarcastico decadente, quindi ti prepari, Adesso sbraca, sull’addio al celibato o si sbraca con il sarcasmo o si fa i poseur tipo Joan Didion con le feste decadenti e poco sarcastiche. Non sbraca, va un po’ più sul decadente, ma ancora ritorna la puttana e ancora la ragazza studiosa, una puttana che è stata studiosa, Sta mescolando le carte – dico, ma poi inizia un lamento sommesso, un pianto nascosto, qui torna la prima puttana ed escono i rimpianti, quelli borghesi, delle svolte mancate.
Un addio al celibato lungo una vita, ecco cosa avrebbe voluto.
Questa è una bella frase da scrivere in un racconto e soprattutto in un metaracconto sarcastico decadente, perché è difficile da immaginare una situazione più sarcastica decadente di quella.
Zardi, ho capito. Ora smetto di fare domande e vado fino in fondo tranquillo. Il giorno che diventammo umani… certo, è chiaro adesso, quel giorno, già, umani… umani sì, bella parola, perché quand’è che non siamo umani? Ci piacerebbe ogni tanto non essere umani e poi un giorno diventarlo per dire Ah oggi siamo umani! – Ho visto sai con che frase hai finito il metaracconto della raccolta di racconti. Ho fatto finta di dovere ancora leggere il resto, ma l’avevo già letto, sì è tutta una finta la mia, ho fatto il sarcasmo anche io. Bravo, mi è piaciuto il tuo metaracconto, sei un po’ ossessivo, ma va bene così e mi sa che c’hai ragione, stasera ha fatto un’eccezione.
Complimenti per l’ironia! L’ho molto apprezzata. Però si poteva anche dire che il libro/racconti è un gran boiata, no? Certo, sarebbe stato meno ironico ma più decadente. O forse poteva anche recensirlo Cornelio Nepote.
Perché una gran boiata? A me non è sembrato una gran boiata, inizialmente ero perplesso ma poi scorrono bene.
Allora ho capito male la recensione, sembrava… scusi.