2000battute

«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Sylvia – Leonard Michaels

SYLVIA
Leonard Michaels
Traduzione di Vincenzo Vergiani
Adelphi 2016

Commento di Cornelio Nepote

Adorate lucciole della buia notte dell’esistenza, sono esausto, ho a malapena la forza di sollevare lo sguardo al passare d’una soave minigonna primaverile. La chiacchiera letteraria mi repelle, le promozioni editoriali mi causano eritemi, le polemiche culturali mi producono flatulenza, il continuo rumore di mandibole digrignanti che produce il termitaio del mondo dei lettori è più opprimente dello strombazzare di clacson, per non dire della socialità intermediata, ah quella! l’orrore!

È giunta quella stagione, la stagione dell’assenza e dello straniamento, osservo le vostre immemori grazie e non distinguo carne da granito, da sabbia o da polvere. È la stagione che torna di tanto in tanto, di cielo in cielo, sotto queste costellazioni che a molti hanno raccontato della vita e della morte, dell’amore e della salute e che invece a me non hanno mai raccontato proprio niente se non che sono costellazioni che nemmeno sanno di essere costellazioni. Guardo il cielo e quello che vedo è il nulla dell’anima che ci avvolge.

Per tutto questo coacervo di sentimenti negativi, provo ora un’irresistibile desiderio di dire brutte cose su questo Sylvia per quanto invece sia un molto bel libro (non agitatevi, stupende creature, sto solo facendo esperimenti per tastare l’esistenza di un uso che non m’irriti – sempre apostrofare la i quando c’è Adelphi di mezzo – dell’aggettivo molto). Davvero, è un bel molto libro, non scherzo. Ma io ho questa voglia di dire brutte cose. Ho il malanimo che tracima gli argini paludosi di questo fiumiciattolo di malaffare che mi scorre dentro. Per questo insisto a dire che non dovete dirmi che scrivo recensioni, perché io non scrivo recensioni, io ho in orrore le recensioni e i recensori, quasi peggio delle scritture e degli scrittori! Non è la stessa cosa scrivere recensioni e avere questi desideri impellenti di confondere i pensieri, recensire è una vanità dei mondani e delle delicate di spirito, invece io mi perdo nell’assenza e mi prendo la libertà di distruggere l’illusione di essere assolto per prescrizione dei termini. E quindi, se c’è qualcuno che ora storce il naso e pensa Bé ma com’è che vuoi scrivere brutte cose di un libro molto bel? Se è bel molto scriverai belle cose o per caso sei matto?.. ecco, se c’è chi pensa una cosa di questo tipo io lo/la/li invito a cercarsi un recensore cum laude che è pieno il mondo di recensori che vi stirano e vi piegano quello che volete, fanno a gara, c’è una folla di recensori, come di sommelier, siamo invasi da recensori e sommelier, altroché migranti sui barconi, recensori e sommelier sono comparsi di notte come nugoli di zanzare, milioni e miliardi,  tutti dolci e delicati, adorabili e profumati, tutti a censire e recensire, sorbire e degustare, ma il mondo è grande e se non ci si pigia addosso apposta c’è spazio anche per chi ha bisogno di silenzio e di polvere, grande non piccolo, come dicono quelli che le cose grandi pensano siano piccole e le cose piccole pensano siano grandi.

E ora io ho come grande desiderio quello di dire brutte cose di Sylvia che però è un gran bel libro (c’ho rinunciato, molto fa schifo, la Crusca o la Treccani o il Tar del Lazio dovrebbero eliminarlo dal lessico tollerato). Perché voglio dire brutte cose? Non certo perché sono matto, sono meno matto di voi tre o quattro messi insieme. Ho le mie ragioni. Ad esempio, una ragione è questa: perché non si dà nemmeno una speranza? Nemmeno una, peggio di una malattia in fase terminale. Sylvia è una malattia cronica in fase terminale e io domando Perché invocare una malattia?
Perché infierire? È chiaro che è stato fatto apposta. Voleva infierire. To’ prendi questa coltellata qua! Pigliati sto cazzotto de là! Molto divertente, chiaro… scusate ho usato la parola orrenda… Divertente, parecchio, divertente infierire su degli inetti.

E poi, la prossima volta il mazzo lo voglio mescolare io. Qui c’è chi bara, mi sa. Intendo il poveretto, il derelitto, l’uomo, il coglionazzo direbbe il Rag., nella vita succede qualcosa, incontri qualcuno e la tua fine è segnata, si alza un tribunale di parrucconi e dice Condannato! ma tu non lo sai, manca la notifica, ma solo all’inizio non lo sai, poi lo sai e continui lo stesso che tanto condannato sei e rimani, devi solo decidere se cercare di ripararti l’osso del collo o la mandibola. Fatemi mescolare le carte a me!

E le donne? Le donne! Sylvia cos’è? Una donna. Ok era facile, vi ho aiutato fin troppo. Ma che tipo di donna, visto che uguali sono solo quando nascono? Una pazza scalmanata? Una schizoide autolesionista? Una vittima sacrificale? Una puttana santa? Magari di Babilonia. Un’epitome? Una ἐπιτομή del genere femminile? Una metafora? Quando uno non sa cosa dire, due volte su sette dice che è una metafora che tanto poi si dice che è una metafora dell’esistenza umana che va bene con tutto, dalle trame suicidarie alla questione dell’uovo nella carbonara.

Ecco, lettori di Sylvia, quale delle vostre donne è stata la vostra Sylvia? E lettrici di Sylvia, tra di voi, aromatiche creature, chi di voi è stata una Sylvia? Io non sto dalla sua parte, manco da quella del derelitto. Manco dalla vostra. Io sto da nessuna parte, mentre lo leggevo sentivo che mi astraevo adagiandomi come una sovracoperta sulle pagine, domandandomi quanti topi c’erano nell’appartamento o se era proprio il caso che si scopasse tutti quanti (perché le americane tormentate si devono scopare sempre tutti gli amici non l’ho mai capito, pare che solo loro lo facciano) e anche, mi chiedevo, che minchia di dottorato fa quel disperato?

Sulla tragedia, della tragedia, nella tragedia, piccola, quotidiana, personale, chiuse tra quattro mura vanno in scena tragedie in ogni dove, scendi in strada, ti guardi intorno e ci sono decine di Sylvie tutte insieme, e decine di derelitti tutti insieme. Ci sono molte più tragedie di quanto siamo disposti ad ammettere e accettare e sopportare senza farci venire la nausea e vomitare la colazione in ascensore o sul tappetino dell’auto profumata di Brezza Oceano quasi più intelligente del guidatore. Immaginate che mondo poco elegante e tollerabile sarebbe se tutti quanti uscissimo di casa la mattina e vomitassimo la colazione per strada o addosso a un tizio in autobus o sul parabrezza mentre aspettiamo il verde, tutti in preda a conati irrefrenabili. Sì perché una cosa va detta guardandoci in faccia con una smorfia di disgusto reciproco, le Sylvie vittime e colpevoli e pazze forsennate e fragili creature indifese sono così tante che se ci mettiamo a contarle ci vengono a noia. L’importante è non contarle, non epitomizzarle, non metaforizzarle, l’importante è fingere, costantemente, implacabilmente e non contare mai, magari scrivere, poi sostenere di essere stati sinceri quando invece si è mentito come mai prima si era mentito, perché nella circolarità delle cose noi non siamo criceti, non siamo criceti, noi siamo esseri che vivono in una porta girevole entrando e uscendo entrando e uscendo e entrando e uscendo e entrando e uscendo.

Affettatamente,
                    Cornelio Nepote

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Questa voce è stata pubblicata il 15 aprile 2017 da in Adelphi, Autori, Editori, Hoban, Russell con tag , , , .

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