2000battute

«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Angry white men – Michael Kimmel

ANGRY WHITE MEN – American masculinity at the end of an era
Michael Kimmel
Nation Books 2013

Si parla molto di odio, di violenza e di rabbia che esplodono nella società, ma non si traducono libri che sviluppano analisi approfondite, come quella di Michael Kimmel in questo Angry white men. Vero è che l’autore analizza il contesto degli Stati Uniti e alcuni riferimenti sono da noi etichettati come esclusivamente americani (le sparatorie nelle scuole o tra studenti, ad esempio), perché associati alla diversa diffusione delle armi, ma questa giustificazione per non tradurlo non regge. Il risultato, come al solito, è di privare il pubblico italiano di fonti di informazione preziose e lasciarlo a girarsi intorno spaesato improvvisando spiegazioni dilettantesche o correndo a dare credito al cialtrone da social che strilla più forte. Oppure, ancor peggio, lasciandolo a rotolarsi nel provincialismo che instilla l’idea che ciò che si osserva succede solo a casa nostra e per la prima volta (vedi i discorsi sul femminicidio, o i problemi dei padri separati, o il razzismo, il bullismo e così via, mai contestualizzati in una prospettiva internazionale e in un arco temporale ampio), con frotte di giornalisti impegnati a fotografare il presunto “maschio italiano”, manco fosse una sottospecie mediterranea di maiale selvatico.

Invece, uno sguardo a quello che avviene altrove è spesso illuminante. Il piccolo sforzo intellettuale richiesto per soppesare le eventuali differenze tra i contesti nazionali è il minimo che uno che voglia cercare di comprendere fenomeni complessi debba essere pronto a pagare; se non lo è, il problema cambia natura e discutiamo dell’atrofia intellettuale del pubblico medio. Non sono così tanti i titoli da prendere in considerazione, non è neppure così difficile valutarli (meno difficile di valutare un romanzo, ad esempio), e altrove ottengono numeri che giustificano ampiamente la commercializzazione. Sembra più un problema di impreparazione dell’editoria nel valutare sistematicamente questo genere di pubblicazioni, unita a una sfiducia di fondo nelle capacità dei lettori italiani. Questo è non solo triste, ma anche deleterio. Di scarsità informativa sulla scena italiana ne parla troppo poco. Infinitamente meno dei deprimenti scandalucci mediatici di un Siti e del resto del teatro di giro, calati con mano esperta giusto un attimo prima della consueta sceneggiata del Premio Strega, tanto per disgustare ancora un po’ i già disgustati lettori italiani in fuga.

Angry white men è stato pubblicato nel 2013, quando ancora la vittoria di Trump e l’irrompere sulla scena politica dell’ultradestra dichiaratamente razzista e neonazi non era immaginabile, però contiene già tutti gli elementi che sono poi stati discussi in questi mesi per tentare di trovare una sintesi convincente agli avvenimenti. È un fiume carsico di rabbia che ribolle e saltuariamente esplode, quello che ha documentato Kimmel, che coinvolge quella larga porzione di popolazione che ha rappresentato, soprattutto negli USA, i valori nazionali tradizionali, l’americanità, il popolo del sogno americano. Lavorare sodo, giocarsi le proprie carte, stare alle regole e ottenere in cambio quanto occorre per una vita senza angosce per sé e la propria famiglia. Sessantanni dopo, siamo ancora annegati nell’immaginario degli anni Cinquanta. L’uomo lavora e guadagna i soldi per la bella casetta indipendente, la mogliettina casalinga che accudisce figli educati e rispettosi e accoglie il marito di ritorno alla sera. A qualcuno potrà sembrare incredibile che ancora si discuta di immagini stereotipate del genere, ritenendole archeologia, ma si sbaglia di grosso e pecca di ingenuità. In forme più o meno folkloristiche e stereotipate dai costumi sociali e dai media, l’illusione della vita senza grandi scosse, onesta nell’accezione più tradizionale, con la garanzia di avere sempre quello che si ritiene giusto lavorando in modo ripetitivo è tuttora uno dei collanti sociali più forti dell’identità nazionale e fondamento dei valori civili, sotto attacco da decenni di cambiamenti economici e di retorica del “diventa imprenditore di te stesso”. La visione patriarcale della famiglia come nucleo di una società tradizionalmente conservatrice è l’ideale rassicurante di tutte le società occidentali, non solo americane. L’onda lunga dello sgretolamento di questo ideale, insieme alla perdita di certezze economiche, la messa in discussione di privilegi ritenuti diritti naturali (come lo sono sempre i privilegi, visti dal punto di vista dei privilegiati) e il generale venir meno dell’unitarietà autarchica di comunità una volta omogenee, figlie di culture rurali dei borghi chiusi o dei villaggi isolati, ha minato le certezze della classe sociale che ancora oggi si considera rappresentativa della società: gli uomini, bianchi, di livello economico medio e medio-basso. In altre parole, la componente maschile della classe media occidentale rappresentante della sterminata provincia. Quella che altrimenti viene indicato come “il ventre molle”, produce i fascismi, oggi i populismi, è l’incarnazione della “brava gente”, quella “alla buona”, “tutta di un pezzo”, con i “valori sani” e via di questo passo. Se qualcuno sta per pronunciare la parola “destra” farebbe bene a ripensarci. Siamo a un livello sottostante la tradizionale distinzione tra destra e sinistra politica, un livello più ancestrale, quel livello che giustifica i passaggi repentini tra sinistra e destra politica di intere fasce di popolazione o aree geografiche che, agli occhi ideologizzati e prevenuti di alcuni commentatori, appaiono sorprendenti e illogici.

Questi sono tra i motivi per interessarsi all’analisi di Angry white men.

Tra le varie declinazioni di questa rabbia, Kimmel prende in considerazione i casi più frequenti e simbolici. Il primo è la rabbia omicida di ragazzini (praticamente sempre bianchi e di zone periferiche o rurali) che si rendono protagonisti di stragi, soprattutto nelle scuole o nei campus universitari. Spesso, con disarmante superficialità, i commenti si focalizzano solo sulla facilità di disporre di armi e sull’evidente stato mentale squilibrato dei responsabili. In questo modo si elude la ricerca di cause più profonde, comuni a molti altri contesti nazionali. In primo luogo, il profondo disagio giovanile che in molte zone dei paesi occidentali si esprime in fenomeni di bullismo sistematico e violento, tra l’indifferenza di istituzioni e scuole. In molti dei casi più gravi accaduti negli USA, il contesto era proprio questo: situazioni di bullismo intollerabile e di cultura della sopraffazione e dell’esclusione sociale. Documentare questo non significa giustificare degli assassini, ma comprendere il problema, che non si riduce alla disponibilità di armi o alla mancanza di terapie psichiatriche tra gli adolescenti.

Dagli adolescenti, Kimmel si sposta poi alla massa degli uomini bianchi adulti, con le molte differenze che li contraddistinguono. Il tema principale è quello della perdita dei privilegi a loro garantiti dalla società tradizionale. Donne, omosessuali, altre etnie sono tutti diventati concorrenti degli uomini bianchi nella gara per accaparrarsi una fetta di potere sulla società. La perdita della posizione di dominio esclusivo, il sentimento di essere stati esautorati di un diritto naturale sulla società, e anche un certo rancore per una promessa tradita (quella dell’uomo che se avesse fatto la sua parte nella società avrebbe automaticamente ricevuto il suo giusto compenso), sono alla base dell’atteggiamento vittimista. Gli uomini bianchi si sentono vittime, ripetono di essere diventati i veri soggetti deboli, discriminati dalle politiche per un maggiore equilibrio nell’accesso a ruoli, posizioni e posti di lavoro. Di nuovo, è ideologico e superficiale giustificare tutto questo come spazzatura maschilista, perché è un sentire profondo e diffuso che fa esplodere la rabbia. Le interviste e i resoconti di Kimmel sono uno spaccato sociale, da un lato orribile per la prevaricazione che quelle argomentazioni vorrebbero giustificare, ma dall’altro sono la visione clinica di un contorcimento viscerale della società. Certo, sono i tormenti dei perdenti, di quelli scavalcati dal fronte della storia e che inevitabilmente sono destinati ad estinguersi, ma quello che ci viene detto in modo inequivocabile è che il processo per una ridistribuzione dei diritti sociali potrebbe essere molto più lungo, violento e distruttivo di quanto qualcuno troppo convinto della propria razionalità aveva immaginato.

Una categoria diversa sono i padri separati, ancora uomini bianchi però. Ovunque, anche in Italia, la condizione dei padri separati può diventare miserabile per gli obblighi legali sulla separazione dei beni comuni e l’entità dei pagamenti. Negli USA può essere ancora peggiore per quanto riguarda la possibilità di vedere i figli. Le rimostranze e le denuncie per una legislazione rimasta ancorata allo stereotipo della donna come priva di mezzi di sostentamento per sé e per i figli a seguito di una separazione sono note e diffuse negli USA quanto in Europa e in Italia. Il movimento dei padri separati è da tempo anche una piccola forza politica, probabilmente strumentalizzata da qualche personaggio istrionico e interessato, ma non per questo del tutto priva di argomentazioni. Questa è l’unica categoria di “angry white men” per la quale Kimmel riconosce l’esistenza di ragioni sostenibili nel sentirsi vittime di un’ingiustizia. L’analisi però non si ferma a constatare l’ovvio, ma indaga i risvolti. Sia quelli che impediscono di riconoscere la mutate condizioni sociali e quindi adeguare le norme che governano gli obblighi degli ex-coniugi, ma anche le distorsioni e le strumentalizzazioni delle pur giustificate rimostranze dei padri separati. In queste visioni di rabbia e di odio non ci sono mai acque chiare, ma sempre torbide, inquinate da molti elementi tossici. Questa è una costante.

Si arriva finalmente agli uomini che si rendono responsabili di violenze nei confronti delle donne. Il capitolo che parecchi giornalisti italiani dovrebbero leggere con molta attenzione per togliersi di dosso provincialismo e supponenza. La violenza degli uomini nei confronti delle donne nelle società occidentali non è un fenomeno italiano, né un fenomeno recente, né un fenomeno misterioso. È invece diffuso da lungo tempo, inter-razziale e intergenerazionale. Quello che si osserva è come questo si stia adattando alle mutate condizioni sociali e al ribilanciamento dei rapporti tra generi e tra fasce di popolazione. In altri termini, come si stiano mescolando due fenomeni, uno storico, i soprusi maschili nei confronti delle donne, e uno moderno, la perdita di privilegio dei maschi bianchi occidentali. Le interviste e i resoconti di cronaca che porta Kimmel descrivono uomini vittime di un profondo senso di umiliazione che reagiscono con violenza. Umiliazione distorta, patologica e degenere, una reazione a un senso di spossessamento della propria mascolinità come ultimo baluardo di un orgoglio, verrebbe da dire, di classe. Da quelle parole sembra che non fosse rimasto altro a quegli uomini, per sentirsi degni e fiduciosi di sé, del rispetto dovuto alla loro virilità da parte delle donne. Perso, così ritengono, quel rispetto, spesso scambiato per possesso della donna, quegli uomini si sentono scivolare nell’assenza di mascolinità, accusabili di omosessualità latente o di essere “mezze seghe”, perdenti, umiliati davanti al mondo. Di nuovo, niente di questo è giustificabile o accettabile, ma per comprendere i motivi bisogna osservare a lungo e senza vetri sporchi davanti agli occhi. Chi non è disposto a farlo non può capire cosa succede.

L’ultima deformità sociale che Kimmel esplora è quella che ha riempito la cronaca di questi ultimi mesi: l’espressione politica della rabbia dei maschi bianchi che, negli USA si manifesta spesso in fondamentalismi religiosi di ispirazione cristiana-protestante, movimenti razzisti e suprematisti di chiara derivazione neonazista (supremazia ariana, KKK, e tutta la galassia oggi identificata come alt-right) e in milizie paramilitari di solito dislocate in zone remote del grande nord o del profondo sud degli Stati Uniti. In Europa le manifestazioni sono diverse ma non troppo. È minore la componente paramilitare (almeno in Europa occidentale, per i paesi balcanici e orientali forse bisogna fare distinzioni) e meno espliciti i riferimenti alla supremazia ariana, ma neofascismi, movimenti razzisti, ultratradizionalisti e fanatici religiosi di matrice cattolica non mancano di certo. Però, di nuovo, come per tutto il libro, quello che Kimmel mostra è la necessità di rifiutare spegazioni semplicistiche e ideologizzate. Ricorrere soltanto a facili categorizzazioni per giudicare queste derive politiche come rigurgiti di un passato novecentesco orrendo è sintomo di miopia e strumentalizzazione. Per quanto deprecabili e disgustose, queste espressioni politiche estreme hanno ragioni ricorrenti e riguardano individui con un profilo personale molto ben identificabile. Sono le classi basse per reddito e istruzione, ma non le più basse. Gli estremismi politici, come le rivoluzioni (già questo veniva osservato molto tempo fa), non nascono tra chi non ha niente da perdere, ma tra quelli che rischiano di perdere le ultime certezze e le ultime risorse rimaste. Questo è il tipico profilo dell’estremista bianco, quello facilmente strumentalizzato da poteri economici e gruppi politici che riescono a convincere queste persone ormai solo caratterizzate da rabbia inespressa, a sostenere politiche che vanno contro i loro stessi interessi, ma consentono loro di dare sfogo al rancore, almeno apparentemente.

Angry white men è una lettura che mi sento di consigliare a chiunque e che manca in modo colpevole sugli scaffali delle librerie italiane.

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