«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
TIGRE PER SEMPRE – Racconti (1917-1935)
Horacio Quiroga
Traduzione di Jaime Riera Rehren
Einaudi 2016
Ogni tanto Einaudi si ricorda di essere un grande editore e fa uscire qualche libro che ci rende tutti più ricchi e felici. L’aveva fatto con Rulfo e con Delfini, ne cito due che piacciono a me, lo ha rifatto con Quiroga di cui l’anno scorso ha pubblicato un’ampia raccolta di racconti distinti tra quelli della selva e quelli della città.
Quiroga è stato maestro di maestri come Rulfo e Cortázar, i suoi sono racconti antichi che riemergono dall’oblio e si raccontano con la stessa forza che probabilmente ebbero un tempo. C’è una freschezza che il tempo non ha corrotto nella prosa di Quiroga e che rende i suoi racconti delle avventure da rivivere anche ora. Nel grigiore della pioggerella milanese, mi sorprendo ad amare i suoi racconti della selva più di tutti, quella selva che, insieme alla pampas, hanno rappresentato il grande vuoto che ha attratto molta della letteratura sudamericana, proprio quella che io ho quasi sempre evitato, epidermicamente avvertito come estranea e alternativa a ciò che invece ho amato e amo dei sudamericani, lo sguardo rivolto all’esterno, verso il mare, verso le lontane coste europee, verso questo grigiore di pioggerella milanese. Amo Onetti, non Garcia Marquez, e questo dice tutto delle mie inclinazioni.
Quindi per questo capirete senz’altro la sorpresa nell’appassionarmi ai racconti della selva di Quiroga. Anaconda, Il ritorno di Anaconda, che meraviglia! che racconti favolosi! che infinito talento!
È puro piacere, arte del narrare, intrattenimento nella sua forma più nobile. Quiroga è semplicemente uno dei più grandi scrittori di racconti di ogni epoca, la cosa è talmente palese che nemmeno c’è da mettersi a bofonchiare alternative. Nei racconti della selva, Quiroga imbastisce una poetica della natura intesa né come madre né come matrigna, ma sempre come destino. La selva è quel luogo ideale dove vita e morte si confondono, passato e futuro si sovrappongono, come le piene del Paranà, come le luce che filtra tra la vegetazione. Nella selva di Quiroga gli uomini dimenticano il mondo esterno, come se la volta degli alberi isolasse ogni cosa, anche i ricordi e le abitudini.
Il 20 marzo di quest’anno, gli abitanti di un paese del Chaco hanno rincorso un uomo malato di rabbia che, dopo aver scaricato un fucile contro la moglie, aveva ucciso un contadino incrociato per caso in strada. La popolazione armata lo ha braccato nella selva come una fiera selvaggia, e finalmente lo ha scovato arrampicato su un albero che ancora minacciava con il fucile. Non avevano alternative, hanno dovuto ucciderlo.
Nella seconda parte ci sono i racconti della città. Li chiamo io così, per intenderci e per sveltezza. Niente più selva e animali, ma un uomo cittadino, un mondo urbano, una vita borghese, una biografia mascherata, forse. Idee, rapporti, relazioni, nevrosi, uomini e donne, teatro, strade e lampioni. Racconti svagati, a volte divertiti, altre volte notturni, in tutto diversi dalla selva. Sempre scritti da una mano baciata dagli dei della scrittura. Ritorna il non-luogo argentino, la Buenos Aires adagiata alla foce del grande fiume, con alla spalle l’alito pesante del deserto e di fronte, in estrema lontananza, le luci d’Europa, madre e matrigna. Quiroga, uruguaiano, come maestro della grande letteratura argentina, in questi racconti getta quei semi che daranno frutti tanto meravigliosi.
Con lo stesso passo con cui fino a un momento fa stavo andando in ufficio, con gli stessi vestiti e le stesse idee, cambio bruscamente rotta e vado a sposarmi.
Sono le tre del pomeriggio di una giornata estiva. A quest’ora, sotto un sole impietoso, sorprenderò la mia fidanzata e la sposerò. Come spiegare questa inaspettata e terribile urgenza?
Si sente Onetti, si sente Cortázar e anche Bioy Casares, si sente perfino Piglia e Saer e Feinmann, tanto per elencare quelli che ho incontrato. Hanno tutti preso qualcosa da lui, a tutti i suoi racconti hanno insegnato l’arte.
Un grande libro.
Non conoscevo questo autore, ma ho messo in wish list l’antologia, potrebbe piacermi. Grazie! :)