«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
UN’INNOCENTE CRUDELTÀ
Silvina Ocampo
A cura di Francesca Lazzarato
LaNuovafrontiera 2010
Sono ritornate le raccolte di racconti (erano andate via?), ne escono con regolarità, buone, meno buone, ottime, scarse, come per tutto nella vita, l’intento è meritorio, i risultati sono quel che sono. Viva le novità, viva i ritorni, viva le riscoperte, viva rifare cose già fatte.
Poi ci sono le amnesie. Strane amnesie ricorrenti. Io ne soffro, voi no? Anche voi, certamente, non negate, dai. E gli esperti di libri? Moltissimo, ci sono casi patologici di dimenticanze. Silvina Ocampo è una dimenticanza. Chissà perché certe autrici sì e Silvina no. Eppure è stata gran donna di lettere e di vita, ha scritto, ha ricevuto onori e glorie, ma in effetti Silvina è dimenticata. Quasi dimenticata, se non fosse per La Nuova Frontiera. Anche io l’avevo dimenticata, pur ben sapendo chi fosse Silvina Ocampo, ma non ci pensavo. Poi, una volta che dicevo del piacere che avevo avuto nel leggere i racconti di Mariana Enriquez, in una delle rarissime briciole di mondanità che mi concedo, lui mi ha detto “Guarda che dovresti leggere i racconti di Silvina Ocampo se ti piace la Enriquez, perché lei si ispira a Silvina in modo molto evidente”. Ricordo di essere rimasto stupito. Silvina Ocampo riemergeva dai buchi della mia memoria e un coagulo di ricordi mi diceva che non era casuale quel nuovo incontro. Ho abbozzato una difesa, come tutti i borghesucci fanno quando vengono colti spiazzati da un commento a una loro presunta grande scoperta. Dicevo “Ma sei sicuro?… No perché, ho appena comprato il nuovo libro… ma tu l’hai letta la Enriquez?… Cioè sono molto originali i suoi racconti, quelli con le donne e con i bambini… sono crudi e ironici, tragici e sarcastici…” e lui con un ghignetto sotto i baffi “Sì sì, lo so… anche quelli di Silvina Ocampo sono così, quello è proprio il suo stile”. Mi sono arreso, il mio omuncolo borghesuccio è un codardo che non sa difendersi a oltranza, mentre l’altro omuncolo, quello vichingo che puzza di pesce e muschio ha accettato la sfida e detto “Ok, Silvina sia, lei prima di Mariana”.
E Silvina è stato. Il risultato? Diciamo… mah, bah… diciamo 2 a 1 per lui, vittoria sua ma senza dilagare, il vichingo muschiato ha combattuto bene e capitolato con l’onore del troll.
È vero, Mariana Enriquez evidentemente si ispira a Silvina Ocampo, la rielabora, la reinterpreta e io continuo ad apprezzarla, però è giusto riconoscere la voce originale. Volendo, potremmo pure dire che il giovane italiano Carlo Sibilla, reinterpreta Silvina Ocampo, anche se in questo caso probabilmente, ma chissà se è così, non c’è un’ispirazione esplicita.
Un’innocente crudeltà è una raccolta di racconti scritti a partire dagli anni ’30 e aventi tutti come protagonisti dei bambini. Da qui l’innocenza del titolo. La crudeltà sta nei bambini stessi. Silvina Ocampo mescola i due ingredienti, fanciullezza e crudeltà, per creare un effetto perturbante, rende scivoloso il terreno, fa mancare i punti di riferimento. Come per molta letteratura argentina e certamente per il periodo e il milieu culturale della Ocampo, uno degli scopi della scrittura era di dare una forma artistica alla prosa, mettere in musica una storia, il testo, i protagonisti e la vicenda devono immergersi in una estetica disincantata che trasforma la tragedia in commedia, pur mantenendo le tinte livide. Questo è un segno distintivo della narrativa argentina, non avrete praticamente mai il tragico puro in stile mitteleuropeo e men che meno la convinzione ai limiti del fanatismo tipica di molti americani. Avete una quota di disincanto, qualcuno può interpretarla come cinismo, altri come arte, di sicuro c’è che non nasconde i segni della mano dell’autore sulla storia. In una storia argentina, l’odore di eau de toilette dozzinale che inevitabilmente usa l’autore, o l’autrice, si sente sempre e forte.
L’essenza aromatica che usa Silvina Ocampo si sparge nei racconti di Un’innocente crudeltà, è un profumo intenso, può essere gelsomino o qualche altro fiore subtropicale altrettanto violento, che stordisce con l’aroma dolce ma che presto diventa il dolciastro della putrefazione. Tale e quale all’innocenza che, se lasciata al suo corso naturale, spesso vira in crudeltà, quasi che ne contenga fin dall’inizio i germi, come non è possibile separare i lati della medaglia, come è indispensabile che sia per osservare il lettore con sguardo obliquo e ghignetto sul volto e piazzare zampate sui racconti, da pittore di storie.
Juan Alberto diceva che i cani erano come le persone; appena uno di loro era conciato male, gli altri gli si gettavano addosso per finirlo. Luis diceva che i cani erano molto meglio degli uomini, e che gli uomini erano come le scimmie, pronte a imitarsi l’una con l’altra.
Horacio diceva che ogni uomo assomiglia a un animale e ogni animale a un uomo, e che era ridicolo paragonare le scimmie ai cani. La signorina Domicia sembrava un cammello; Elsa un coniglio; il signor Ildefonso, di profilo, un bufalo; l’ingegner Kaminsky un asino. Esperanza si indignò, e dopo qualche protesta a difesa dei suoi genitori disse che gli uomini somigliano alle civette, perché di notte fanno sssh alla gente, per farla tacere. Io dissi l’unica cosa che mi venne in mente: che gli uomini sembrano cicale, e non seppi spiegare il perché. Poi, mentre gli altri facevano chiasso e nessuno mi sentiva, aggiunsi che somigliano alle cicale per via del gran rumore.