«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
L’INNOMINABILE ATTUALE
Roberto Calasso
Adelphi 2017
Bè non credo che mi si possa dire che non ho amato Adelphi. Al più mi si può dire che negli ultimi anni ho allargato il mio orizzonte ad altre interessanti e coraggiose case editrici e per questo ho dedicato un po’ meno tempo ad Adelphi. E poi, a voler essere onesti nei miei confronti, bisogna pur ammettere che c’è questa novità degli ultimi mesi, un ritorno di fiamma possente dell’amore adelphiano, amore maturo ma non ancora platonico, come di animo confuso che ritorna a casa o il rifugio nella tradizione della creatura stanca. Anzi, oserei persino dire che c’è una fiamma di passione, quasi di entusiasmo per l’algida matrigna.
Eppure, tra le tante confessioni che dovrei fare e non farò mai, una ha a che fare con Adelphi ed è giunto il momento di sputare il rospo contro la parete intonacata e guardare quella gelatina verde colare. Io non avevo mai letto Roberto Calasso fino a questo L’innominabile attuale; ma non solo non l’avevo letto, nel senso di semplice mancata lettura, io l’avevo proprio scansato consapevolmente e altezzosamente, cioè il Roberto Calasso non volevo proprio leggerlo per il gusto di sapere che io Roberto Calasso non avevo proprio voluto leggerlo. Non so se si è capito, pazienza, c’è anche il gusto di fare apposta a scrivere frasi incastrate oltre a quello di non leggere Calasso.
Calasso mi dava un senso di ridondanza eccessiva. Proprio così, ridondanza eccessiva. Guardavo un suo libro e c’era questa ventata di ridondanza che mi faceva indietreggiare. No, Calasso no, esclamavo. Insomma, sono giunto fino a oggi amando Adelphi e indietreggiando davanti a Calasso. Probabilmente per gli stessi motivi.
L’innominabile assoluto è un libro che mi verrebbe da definire necessario se non fosse che detesto quelli che dicono che un libro è necessario. In effetti non risponde a una necessità, ma nemmeno soddisfa il gusto del superfluo. È un libro bernhardiano non nello stile quanto nello spirito, e per questo forse Calasso incarna veramente la natura più autentica di Adelphi. Bernhardiano nel raccontare tragedie vestendole da commedie e nel furore stilistico pilotato da un rigore artistico e morale. Ed anche autodistruttivo, ma sghignazzando.
Continuo a girarci sopra, non mi risolvo a dire ciò che so. L’innominabile assoluto vuole colpire basso e ci riesce. Viviamo l’angoscia di camminatori senza direzione tra le rovine del Novecento, il secolo amato, idealizzato e ogni giorno rimpianto. L’innominabile assoluto è scritto per noi, per me. Calasso fa a pezzi quelle rovine, le ultime vestigia della nostra presunta gloria, visioni di memoria sbiadita e passioni sfiatate. Eppure noi quelle rovine le amavamo, erano la città eterna della nostra autocoscienza. E lui le fa a pezzi, metodicamente, con la ferocia dell’erudizione, con la lucidità dei solitari e con lo stile di Adelphi.
Questo non è un romanzo, nemmeno un saggio. È la lettura di una sentenza. La condanna è la consapevolezza di essere inconsistenza.
La secolarizzazione è, in primo luogo, allentamento dei vincoli – di qualsiasi vincolo. E, in certi casi, cancellazione dei vincoli stessi. A parte il rispetto dei codici, che implica l’osservanza di un ordine, l’unico vincolo che in ogni caso rimane è il pagamento delle imposte. Nessun rito è obbligatorio neppure le votazioni. La situazione che da ciò risulta potrebbe suscitare un sottile senso di euforia. Davanti agli occhi di chiunque, vastissima si estende l’area del disponibile. E dell’ammissibile, purché non si violi la legge.
Ma i secolaristi non sono felici. Avvertono l’inconsistenza di ciò che li circonda. A tratti vi riconoscono qualcosa di minaccioso. Ma verso che cosa? La stessa inconsistenza è in loro stessi. Personalizzata.
Calasso si erge e declama, teatrante in costume elenca le menzogne e sbriciola i sacri ruderi, le convinzioni di essere stati nel giusto, l’illusione dei traguardi conquistati, i sorrisi tronfi, le pacche sulle spalle, il nostro cameratismo di uomini e donne del Novecento. Novello Bernhard, rovescia ferocia sui borghesi miopi e con la sua dirompente sapienza e favella riassume in poche parole la storia del nostro tempo e ne fa cibo per corvi. Si rimane senza espressione, a contemplare l’inconsistenza.
Poi c’è la seconda parte. Un elenco di immagini in parole tra il 1933 e il 1945.
Tutte le immagini di quegli anni, di qualsiasi provenienza, emanano qualcosa di ipnotico. Fu il picco del bianco e nero, nel cinema e nella vita. Quando il technicolor apparve, sembrò una allucinazione. Era come se il tempo avesse formato una spirale sempre più stretta, che finiva in una strozzatura.
Ipnotiche per l’appunto. Come cartoline recitate con voce di cane. Klaus Mann, Hitler, Simenon, Benjamin, Bruno Walter, Hitler, Céline, ancora Céline, Roth e Zweig, Terzo Reich, Jünger, Valchirie, Giaime Pintor, Drieu, ancora Céline, Piazza Rossa…
L’innominabile attuale è allo stesso tempo un virtuosismo letterario e un immergersi nelle acque melmose della società. Calasso non sparge veleno avvolto in una nuvola di lavanda, non è il vate che pontifica e nemmeno il monaco cistercense lontano dal fetore del quotidiano. Però non è nemmeno una voce popolare, è una voce dell’aristocrazia intellettuale silente, una voce sarcastica, una voce a tratti gelida nella perfezione formale e nella erudita ridondanza, da Vecchio della Montagna, di fenomenale lucidità e feroce attraverso i suoi sicari. È una voce che non si sentiva da molto tempo, viene dalle profondità del Novecento, ne distrugge gli ultimi alibi e frammenti e morirà con esso. Noi con lui.
Un libro che incarna la natura di Adelphi, molte spanne sopra quasi tutti. La copertina è meravigliosa.
Finito ieri, molto interessante ancorché inquietante. Ho apprezzato particolarmente il fatto che Calasso questa volta abbia tenuto a freno la sua erudizione, in altri suoi scritti strabordava in modo eccessivo, almeno per la mia ignoranza.
molto d’accordo
Calasso distrugge per costriure. Pagina 32:”se l’essenziale non è il credere ma il conoscere…si tratterà di aprirsi una via nell’oscurità. ..in una sorta di incessante bricolage della conoscenza…la condizione di chi nn appartiene ad alcuna confessione ma al tempo stesso nn accetta la “religione’ delka società. È UNA VIA DIFFICILE, SENZA NOME, SENZA PUNTI DI RIFERIMENTO CHE NN SIANO CIFRATI E STRETTAMENTE PERSONALI. MA È UNA VIA DOVE SI INCONTRA IL SOCCORSO IMPREVISTO DI VOCI AFFINI…” grazie Calasso, sei una di queste affini.
imperdibile.