«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
L’UOMO DEI DADI
Luke Rhinehart
Traduzione di Marina Valente
Marcos y Marcos 2015
Commento di Cornelio Nepote
Panoramiche e collinose dame di Natale e aspiranti accompagnatori,
come annunciai mantengo, sono ancora qua, a tenere la trincea, a presidiare la collina, a languire per il tramonto della speranza che cala sul nostro emisfero boreale. Il mediocre 2000battute soffre lamentoso dei postumi di rullate calcinanti e da microborghese qual è si abbrutisce tra scatole, stracci, scopettoni. Quell’uomo è l’ineleganza fatta persona, un vero figlio del tempo presente.
Io sono diverso, io respiro a pieni polmoni la brezza che da Posillipo risale sospinta dalla corrente meridionale tirrenica la costa faragliosa e s’incunea nei golfi, sulle pendici, tra i vicoli, entra nei bassi a svolazzare tovaglie e sottogonne, s’arrampica nelle alcove alitando su lombi gelatinosi e seni pressofusi, fa tintinnare goccie di cristallo di lampadari di vetusta pretenziosità, infine mi raggiunge sulla terrazza immemore come la torre dei gufi di Gormenghast, ridacchiando per la burla.
E su questa terrazza tiepida e sensuale, vi parlo di una sfida, una delle più ardue, rischiose, un equilibrismo senza rete, per questo adrenalinica, eccitante. Signore collinose sulle cui pendici scivolerei fischiettando, sono queste sfide a rendere vivo un grumo di viscere, tessuti molli, ossa vecchie e arti scomposti.
Vi parlo dell’antica sfida che solo the bravest hanno avuto los cojones del perro di accettare, quella di guardare in bocca a caval donatovi da favolosa fanciulla con l’animo di un essere svuotato dall’interno da un tarlo famelico, senza apprezzare, senza denigrare, senza adulare, senza ironizzare, senza doppi fini, senza ipocrisie, senza sentimenti, senza coscienza, senza pudore, senza presunzione. Voglio sfidare la grazia più feroce, quella che ha fatto dono di sé e per questo, se ferita, ha in serbo il rancore più livido.
In breve, voglio parlare de L’uomo dei dadi, che un tempo lontano e immemore mi fu regalato da una ninfa, una farfalla, una pietra preziosa, una giada, un opale, un topazio, ecco, un gran pezzo di topazio rosa con riflessi blu Margellina, onde amalfitane e colline di Sorrento. Fu tanto tempo fa, ma il ricordo è ancora vivo e con esso il periglio dell’ira della fiera in agguato.
Domando: perché si regala un libro? O forse meno ozioso sarebbe chiedere, cosa si regala quando si regala un libro? ecco, già meglio. Cosa si regala?
Si regala un frammento di specchio, piccolo, grande, dipende, nel quale si rifrange l’anima di chi ha regalato il libro. Quando si legge un libro che è stato recato in dono, si può provare piacere o spiacere egoistico, ma a guardar bene si possono intravedere bagliori provenire dalle pagine, sono i passaggi fugaci dell’anima di colei che vi ha pensato (prego le signorie vostre di leggere il post scriptum prima di continuare).
Ecco spiegato perché di questo libro ne parlo come se fossi un sarcofago senza mummia. Non importa se mi ha appassionato o annoiato, se l’erotismo ironico mi ha eccitato o interdetto, se la satira sulle pratiche psicoterapeutiche l’ho trovata divertente o scontata. L’unica cosa che importa sono i lampi di anima straniera in un mondo di piaceri solitari. Una volta tanto sulle pagine non si sono posate solo le mie mani, ma anche quelle di un’altra persona ed è piacevole osservarne le ombre.
E allora mi chiedo: quale anima si specchia nelle pagine de L’uomo dei dadi, libro irriverente, spudorato, ridondante, macchiettistico, metaforico, sornione, furbacchione, sporcaccione, moralistico, geniaccio? Un’anima bella e profumata vi si specchia, senza dubbio.
E infine mi interrogo: possiamo noi giudicare un dono? Possiamo affermare Che bello! e sfidare il sospetto di ruffianeria oppure sibilare Che brutto! e perire sotto l’onda di delusione? No, non possiamo! Siamo solo involucri nei quali rimbalza un’eco dello sfogliar di pagine, siamo solo lettori di parole sprecate e spettatori di bagliori d’anima.
Di questo libro porterò sempre con me il commento che quel giorno remoto ascoltai da voce cristallina: non c’è amore senza porno. Ora l’ho capito e posso allungare le gambe, mettermi comodo ed ascoltare i suoni della città odorosa e godere della brezza.
Devotamente,
Cornelio Nepote
P.S.: Cotanta visione poetica e sdolcinata decade se il libro donato è stato scelto consultando una delle molte classifiche di fine anno o metà anno o stagionali o di qual si voglia occasione. In tal caso, la vostra anima di donante di libro diventa soltanto un po’ più vizza di quanto era già prima.
Cià Cornè, statt’ bbuono e sta senza penzier’, che poi in questi casi, stai cu nu sacco di penzieri belli, buoni e speculativi assai. Abbiamo le gambe per camminare. la bocca e le labbra per baciare e la scatola cranica e il tesoro che vi è dentro pe’ penzà.
… non c’è amore senza porno.
eccellentissimo finale, narrativo, ampiamente visionario tra le quattro sponde del letto e dell’anima e chiaramente amoroso sentimentale. Beh, adesso posso anche mangiare un bacio e gustarmelo lentamente su tutto il corpo mirabile e ancora fragrante di lei tra le pagine e fuori.
“Un’anima bella e profumata vi si specchia, senza dubbio.”
Il dono di ogni libro, dovrebbe non dico dare, ma almeno sfiorare e spandere quanto sopra. Infondo l’anima è invisibile sempre ma di sicuro se ne percepisce laura dal profumo di eucalipto.
Ah Cornè, t’aggia lascià, pecché devo, purtroppo, sbrigare le incombenze del piccolo quotidiano che ci affliggono. Chi scrive dovrebbe campare come se fosse un animale … senza bisogno ad esempio di comprare cibo e prepararlo per mangiare …
Quando si regala un libro? si regala molto se non tutto di sé: una speranza e lo squarcio per guardare sia nel pozzo sia l’orizzonte … dalla terrazza e oltre.
In breve, voglio parlare de L’uomo dei dadi, che un tempo lontano e immemore mi fu regalato da una ninfa, una farfalla, una pietra preziosa, una giada, un opale, un topazio, ecco, un gran pezzo di topazio rosa con riflessi blu Margellina, onde amalfitane e colline di Sorrento. Fu tanto tempo fa, ma il ricordo è ancora vivo e con esso il periglio dell’ira della fiera in agguato.
Marò, Cornelio, ma comm’è fatto a ffa a meno ‘e chella sirena cioè a cchiù bella di tutte le belle? Forse cadesti con la mummara(‘ a capa, la testa)’nterra e perdesti la conoscenza di tutto e della bellezza.
Nun te pozzo perdunà. Ma sta canzona vene pure a mme.
Il rancore di un livido è una rasoiata sulla guancia imberbe o adulta e su una tela come uno sfregio permanente come quando, ma non per sminuirne la forza, l’ommo(non solo di cartone ma una vera “lota” che sarebbe a dicere: ‘a schifezza d’a schifezza d’a schifezza) d’o Sud per levarsi ‘o scuorno ‘a faccia p’o tradimento d’a femmena soia, le sfregiava ‘a faccia.
… una terrazza tiepida e sensuale … è di certo uno scatto fotografico preciso scavato nel tufo ma dinamico di un intera città tra mare e collina. E quando c’è la sensulalità c’è metà contenuto di una narrazione.
… la torre dei gufi di Gormenghast … mi piacciono sia i gufi sia la torre, ancora memore di una passata bella recensione non recensione.
Caro Cornelio la terrazza che ti sei scelto(può anche darsi, cosa probabilissima, che sia stata lei ad accogliere le tue rinomate e puntigliose dissertazioni) non solo è bella assai ma prospettica e lungimirante. Per il momento mi fermo qui e proseguo nella lettura.