2000battute

«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Lisbona ultima frontiera – Antoine Volodine

LISBONA ULTIMA FRONTIERA
Antoine Volodine
Traduzione di Federica Di Lella
Clichy 2017

Il grigio rombo del galoppo della cavalleria nibelunga si addensa vicino al soffitto e rilascia onde sonore che schiacciano e risucchiano schiacciano e risucchiano, limacciosa storia di sesso e spionaggio amore sesso morte onore dovere, l’attrazione tra corpi in attesa della chiamata nell’anticamera della morte è intensa, intensa, come un nubifragio tropicale, potente, Lisbona avvolge con spire lungimiranti… “ci sono forche dappertutto”… immemori più che lungimiranti, l’atmosfera fumosa, fumo nebbia foschia vapore, non si sa, visuale ridotta, al più fino all’angolo, cosa ci attenda appena girato, non sappiamo, rievocazione di passate dittature, presagio di future, lunghi cappotti scuri da funzionari di polizia, squadre d’assalto, donna sensuale, un dialogo tra amanti, un momento prima dell’amore, due prima della morte.

Salto. Narrazione di vicende, cronaca di anni di piombo, si usava dire, Volodine non lo dice, lo suggerisce soltanto, anni di piombo, terroristi, sovversivi, intellettuali sovversivi, cancrene scientifiche, cellule clandestine da eliminare con la violenza, sparati, squartati, non si sa come, comunque dilaniati. Folleggia, come sempre, Volodine, maestro di estetica, principe narciso, decostruisce e ricostruisce con ordine da squinternato, massaggia le parole, le forma, le musica, la traduttrice, Federica Di Lella, grandiosa interprete di una sinfonia cacofonica, dodecafonica, protobarocca, manipola la lingua italiana per plasmare frasi volodiniane, parole inesistenti, definizioni inconcepibili, effetti sonori e pennellate grottesche.

È un teatro, è una commedia, è estetica sfarzosa, è spudoratezza che Volodine si permette mentre agli altri non viene concesso. Lisbona ultima frontiera è ancora una volta un unico in una serie ripetuta di rebelòt fatti per ipnotizzare gli ossessivi che contano quante volte gira la frase, la rigira, la ripete, la prolunga, quante pagine sono che non mette il punto? cambia capitolo, cambia scena, è un ricordo è un incubo è una creatura fantastica, buon divertimento a chi vuole mettere tutto in ordine, noi guardiamo ridacchiando, mentre indice e pollice si toccano frenetici, poi smettono, le dita si rilassano un attimo, e poi di nuovo, ora inizia il pollice a scorrere sulle quattro dita, sulle punte, prima in un verso, poi indietro, poi ancora e ancora indietro, e ancora, avanti e indietro, per minuti, lunghi minuti, maniacali, volodiniani, ripensando all’ossessione delle frasi spalmate sulle pagine, come festoni, decorazioni.

Ingrid si appresta all’esilio o alla morte. Kurt l’accompagna e la sospinge. Lei racconta il libro che non scriverà o forse lui ascolta la storia che già conosce. Si moltiplicano i personaggi in una danza di eteronimi camuffati, danza festosa e macabra, senso e mancanza di senso si mescolano nelle vicende serpentine, talvolta sembrano affreschi, sfarzo estetizzante privo di domande e di affermazioni. Commiato finale corale, scende il sipario.

Volodine scrive per creare il culto di se stesso nella nicchia degli adoratori del maestro del post-barocco, barocco disarticolato, con gli stucchi cadenti, lordato, post-umanista, apocalittico. Volodine non può essere apprezzato da troppi, deve per forza conservare l’aura dell’esclusività semantica, del circolo di maniaci, della setta degli insensati. Deve muoversi in spazi ridotti, tra muri, in vicoli, chiuso da ombre per continuare a disarticolare e spalmare le sue illusioni sceniche e per i suoi lettori, razza in estinzione, che devono continuare a credersi creature ibride, frammenti umani di un passato ingiustificabile e cyborg metafisici di un futuro catacombale. Volodine continua a stupire con la sua estetica, ogni libro è una rappresentazione potente e un salto verso l’insignificanza, verso la gloria, in direzione della luce che lo cancellerà, falena destinata a  bruciare. Lo sa, ne sono certo. Un giorno scomparirà.

Il comando unificato insorge contro la suddivisione della società in compartimenti stagni, privi di rapporti reciproci: da una parte i bambini, dall’altra gli adulti. La sua virulenza non ha niente a che vedere con l’irresolutezza delle frecciatine involontarie, delle piccole punzecchiature presenti nella prefazione al Mondo Moô-moô di Katalina Raspe. Tuttavia, come inibito da inviolabili tabù, Siegfried Schulz non si decide a rispondere alle domande che formula.
Ciò non lo salverà dall’essere dilaniato con una ferocia senza precedenti sotto le trionfali insegne umanistiche del Rinascimento.

Un commento su “Lisbona ultima frontiera – Antoine Volodine

  1. Héctor Genta
    30 dicembre 2017

    Molto, molto interessante. Voldine, Cărtărescu, Gospodinov, Jón Kalman Stefánsson, Houellebecq… Voci diverse, molto diverse, che forse indicano qualcosa. Non c’è più una corrente guida, ma una pluralità di pulsioni che vanno in direzioni diverse, battono piste personali, qualcuno si inoltra in territori inesplorati. Credo che per la narrativa questo sia un momento strano, di confusione. E, come diceva quel tale: “grande è la confusione sotto il cielo. La situazione è eccellente.”

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Questa voce è stata pubblicata il 30 dicembre 2017 da in Autori, Clichy, Editori, Volodine, Antoine con tag , , , .

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