«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
COME HO INCONTRATO I PESCI
Ota Pavel
Traduzione di Barbara Zane
Keller 2017
Questo Come ho incontrato i pesci, tradizionalmente, è stato pubblicato insieme a La morte dei caprioli belli, la precedente raccolta di racconti di Ota Pavel, a formare un’opera unica che si dipana nel susseguirsi delle piccole storie ironiche, leggere, sempre più legate tra loro, prima disegnate sullo sfondo della persecuzione degli ebrei, per farsi poi più intime, più personali, quando sullo sfondo compare la vita adulta di Ota Pavel e il destino tragico che presentiva.
Impossibile staccarsi dalla biografia di Ota Pavel, leggere le storie senza rimandare il pensiero alla malattia che accompagnava l’ironia divertita dei racconti sui pesci e l’amore per la pesca nella cornice idilliaca, acquerellata, di Buštēhrad.
Come ho incontrato i pesci è intriso di una malinconia che non c’era in La morte dei caprioli belli. La successione delle piccole storie, apparentemente, prosegue dal primo al secondo libro senza soluzione di continuità. In realtà c’è un mutamento di atmosfera, di calore, di tinta prevalente. Il primo seguiva la parabola tipica luce-buio-luce di molte storie ebraiche che hanno un inizio ingenuo, poi la persecuzione, e infine il ritorno alla vita. Su questa parabola Pavel incideva le piccole storie sorridenti e ironiche di pesci e pescatori.
In questo secondo il carattere ebraico manca, i protagonisti sono cittadini cecoslovacchi e Pavel incide piccole storie di pesci e pescatori immaginando l’invecchiare di alcuni e la successione di nuove generazioni. Eppure, questa è la mia impressione, il carattere autobiografico della narrazione cambia e si fa nostalgico. I personaggi, i vecchi pescatori che e muoiono, i giovani che crescono e diventano pescatori, sembrano tutti immagini riflesse dello stesso Pavel, come se indugiasse nell’immaginare una propria rinascita, o in quell’illusione riponesse le speranze residue, consapevole della malattia mentale che lo tormentava e della vecchiaia che non avrebbe vissuto.
In questo risiede la malinconia di Come ho incontrato i pesci e la delicatezza delle storie. Carpe, lucci, barbi, cavedani, luccioperche e, come commiato, i misteriosi aspi, diventano emblemi di una vita serena che poteva solo immaginare, creature in simbiosi con il pescatore, tutti elementi di una natura che ha un senso, una direzione, e forse anche una giustizia. Si potrebbe forse cercare un parallelo con le storie di Robert Walser, meraviglioso scrittore, anch’egli a lungo tormentato da psicosi, che ha lasciato racconti nei quali le descrizioni naturalistiche restituiscono un senso idilliaco di pace e una profonda malinconia.
C’è un’umanità in queste storie che avvolge, difficile tenere separata la narrazione dal narratore. Per questo credo sia bene tenerli insieme, La morte dei caprioli belli e Come ho incontrato i pesci, ma è anche bene tenerli separati, unica voce modulata in due modi diversi.