«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
LA NUBE PURPUREA
Matthew Phipps Shiel
Traduzione di Rodolfo Wilcock
Adelphi 1975
Ammetto di averlo raccolto da una bancarella unicamente per la traduzione e prefazione di Rodolfo Wilcock. Nessuna altra informazione mi era nota. A scatola chiusa, si diceva una volta tra gli habitué degli autogrill. Anzi no, c’era anche la testatina Biblioteca Adelphi 13 che mi dava un certo piacere, oltre alla copertina di adelphiana nostalgia che garantisce qualche piacere alla vista e al tatto. Questa versione ora però non la trovate più, c’è quella economica, che va bene uguale per leggere, ma non vi lascia rotolare nella nostalgia.
È un libro del 1901, una storia fantastica ambientata in un futuro immaginario figlia del fermento di fine Ottocento e che anticipa le strepitose saghe della letteratura inglese dei primi decenni del Novecento. Contemporanei di Shiel furono invece Robert Louis Stevenson, Emilio Salgari e Jules Verne, per ricordare i campioni insuperati delle storie di avventura.
Queste brevi note per dire che La nube purpurea venne scritta in un periodo nel quale la fantasia e l’immaginazione degli scrittori era esplosiva e ancora incorrotta dagli eventi come forse mai più lo è stata in seguito.
La nube purpurea è un trionfo di fantasia narrativa e di perizia letteraria. Una storia densa di immagini, dettagli, ispirazioni e fascino. Non citerò alcun dettaglio della trama, rovinare le molte sorprese sarebbe atto di puro egoismo. Dico soltanto che si tratta di storia apocalittica e allucinata, di un viaggio sulla terra come mai nessuno l’ha potuta vedere né la vedrà. È anche una storia nella quale si mescolano e confondono la natura umana e quella divina, o forse la confusione è data dall’ambizione al divino della natura umana. Contiene evidenti simbolismi ed allegorie, a tratti la trama può sembrare ingenua leggendola a distanza di più di un secolo. Tuttavia due elementi di Shiel e de La nube purpurea risaltano in maniera evidente: l’abilità di scrittore capace di sostenere una trama tesa e imprevedibile per un testo non breve e ricchissimo di dettagli e l’esplosione strabiliante di fantasia, una coreografia caleidoscopica di colori e scene e avventure davanti alla quale non si può che sorridere, mettersi comodi e lasciarsi portar via.
La prefazione di Wilcock, come immaginato, non delude, anzi, esalta:
Non sembra ancora fattibile la creazione di un istituto per il Recupero di Buone Azioni perdute, da distribuire tra i settori più malvagi della popolazione; possibile invece, sia pur con molte limitazioni di carattere pratico, una modesta attività nel campo del Ricupero di Capolavori Ignorati. Resa inoltre necessaria dal fatto che, a differenza della buona azione, il capolavoro si è dimostrato ormai articolo di vasto consumo, e perciò, da quando è stata abbandonata la produzione artigianale, articolo rapidamente deperibile, da sostituire.