«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
NAPOLI ’44
Norman Lewis
Traduzione di Matteo Codignola
Adelphi 1993
Commento di Cornelio Nepote
Madame di bronzatura terracquea spalmate di argilla turca, reduci orgogliose da spiagge scarnificanti, voi che esibite colori ed epidermidi come cartoline panoramiche della Riviera Romagnola degli anni di piombo, prestate attenzione se vi garba.
Mi rivolgo solo a voi, che i vostri cavalieri scudieri massaggiatori sono ormai anime perse nella tempesta elettromagnetica.
Tra le iperboli che da qui a poco pioveranno o dardeggeranno o decolleranno, come al solito a seconda del vostro grado di relativismo spaziale, a proposito di questo libro straordinariamente bello, un unico rimpianto o piccola rogna riesco tuttavia a spremere: la Seconda Legge della Termodinamica delle Copertine.
La Seconda Legge della Termodinamica delle Copertine, nostra Signora di feroce rigore, afferma implacabilmente che l’entropia di una copertina aumenta sempre nel passaggio dalla prima edizione all’edizione economica.
Avete capito? Devo ripetere? Ripeto.
Ripeto in parole proletarie: la copertina dell’edizione economica è sempre più brutta di quella originale.
Attenzione che la suddetta legge è più insolente di quello che potrebbe apparire a uno sguardo profano di ingenua postvacanziera. Non è solo la qualità materiale dell’edizione a peggiorare, la carta meno pregiata, il cartonato leggero, la patinatura sciapa, il formato ridotto, tutte cose di bottega per tagliare del prezzo. Nossignore, è anche la qualità morale dell’edizione a peggiorare e questa si dimostra nella copertina, immancabilmente più triste, più rassegnata, ingrigita, incupita, come a dire che il destino della vita nostra e del mondo tutto è di passare dalla prima edizione a quella economica, con uno svilimento morale, oltre che materiale.
Inutile aggiungere, come si suol dire quando l’aggiunta è una sfacciataggine, ça va sans dire io tengo la prima edizione che Adelphi taccagnamente non vuole più pubblicare.
E con questo ho terminato le moralmente doverose e non evitabili critiche che ogni libro, ogni autore, ogni editore si merita sempre e comunque.
Passiamo alle iperboli, madame intossicate da olii lenitivi e creme idratanti, conservanti, rilucenti.
Napoli ’44 è un libro talmente bello che se non fosse stato scritto si dovrebbero sequestrare tutti gli scrittori del mondo, chiuderli in un capannone per polli in batteria e farli uscire solo dopo che l’hanno scritto, perché non se ne può fare a meno.
Bene, voi care or ora starete vociando per chiedere Ma coss’è chisto libro? È un libro di storia? È un romanzo? È un fiction? È un nonfiction? È un’operetta? È una commedia? È uno scherzo? Un libro di guerra? Una tragedia? Una canzone napoletana? Coss’e? Coss’è?
La calma è la virtù dei bari, azzittitevi.
Napoli ’44 è nessun libro e tutti i libri insieme. Questo Norman Lewis è un gran furfante e un gran poeta, ha scritto la storia e l’ha romanzata, una commedia che è una tragedia, un resoconto che è un dipinto. Se mi affaccio dalla terrazza soleggiata e guardo giù nel vicolo, vedo i selvaggi buttare masserizie in strada, un gabinetto frantumato, una tavola imbandita, mutande stese e vociare di pollame. Poi alzo lo sguardo al Vesuvio, al golfo più bello del mondo, al mare profondo, a Capri nella nebbia. Guardo oltre la città, dove finisce Napoli e inizia la campagna, la Zona di Camorra e di genti selvatiche, il feudalesimo mai interrotto e lo stato ferino; mentre osservo mi giungono i suoni e i rumori dal grande polmone che respira, la città porta d’Oriente e propaggine di Spagna, il formicaio di ladri e di nobili, di avvocati e di saltimbanchi, di puttane e di commendatori, la cultura millenaria e la selvatichezza millenaria, le pestilenze e i profumi, il gran cuore e la mano assassina. Se mi affaccio respiro ancora gli aromi e la fetenzia di Napoli ’44.
Napoli è il più favoloso dei personaggi letterari, lo era, lo è ancora, oggi un poco dimenticato, e Norman Lewis ne è stato un cantore innamorato. Scrittore al tempo di guerra e come altri scrittori al tempo di guerra che lo hanno preceduto e poi seguito, abile prestigiatore che mescola commedia e tragedia legando tutto con l’ironia.
Napoli ’44 è un libro che non si dimentica più e anzi ti si attacca addosso, opera buffa sulla morte e la sofferenza, sulla miseria e l’arte di sopravvivere, sull’umanità che suda tra i vicoli dei disgraziati, sulle madri e le figlie prostitute per fame, sugli artisti del furto, le stragi per le bombe sganciate a casaccio, le pistolettate tra carabinieri e banditi, su quei gran cialtroni degli Alleati che liberarono l’Italia, cenciose Stürmtruppen angloamericane parto di un genio pazzo ma molto comico.
La guerra in Napoli ’44 è un’onda di violenza gratuita e incomprensibile che passa sulle popolazioni civili straziandole e violentandole oltre ogni più orrenda immaginazione. Eppure c’è un lato grottesco che non si perde, forse è proprio della natura umana o della guerra, e dove meglio che a Napoli la natura umana si è sempre aperta a ventaglio in tutte le sue più strabilianti sfumature?
Vi leggo un pezzettuccio divertente:
Miracoli a profusione, negli ultimi giorni. Durante il fine settimana le folle so sono riversate ai Campi Flegrei per assistere all’esibizione di una Bernadette locale di dodici anni, alla quale la Vergine è ripetutamente apparsa con messaggi rassicuranti per la popolazione. C’era la banda, e, in assenza di un mezzo di trasporto più appropriato, il sindaco di Marano è arrivato su un carro funebre.
A Pomigliano abbiamo un frate volante, che mostra anche le stigmate. Il frate sostiene di essere asceso in cielo, l’anno prima, mentre era in corso un combattimento aereo, per prendere fra le braccia un pilota italiano colpito e riportarlo a terra sano e salvo. Quasi tutti i napoletani che conosco – alcuni dei quali sono persone colte – sono convinti che la storia sia vera.
Ma voi sapete chi era chillo guappo di un frate che diceva di volare, chillo che faceva il Pulcinella? Era Padre Pio, quello che mo ci fanno le statue e le gite turistiche. Pure lui a Napoli stava nel ’44.
Madame, ecco qui un grande libro e un inchino alla maestà di Napoli.
Cornelio Nepote
Post Scriptum:
– nel 1993, l’algida teutonica Adelphi lasciava passare polipi per polpi, anche questo fa parte della natura umana e rende Napoli ’44 memorabile.
interessante
Non sono nè abbronzata nè reduce da spiagge scarnificanti. Mi posso ritenere lo stesso tra le destinatarie del bel commento ? E poi, come resistere da un libro che sfugge da ogni catagolazione e ha come personaggio letterario Napoli ?
Di questi tempi non è poco visto il duplice pericolo di incappare in degli splash indefinibili, per incauto acquisto o fiducia mal riposta.
Ad un libro. Chiedo scusa.
Eh, Cornelio Nepote(Cornelio è un bel nome però nun ‘o tene cchiù nisciuno né ll’uommene e nemmeno ‘e femmene e se sape ca è femmene songo malfamemmena … pure quano veneno accise barbaramente dall’indole qualunquestafascionazistoide che alberga dint’a nuie), stu libbro l’aggio liggiuto quanno accumminacie ‘o libro mio ca s’intitola Autobiografia dello gnu e alcuni capitoli si aprono o hanno dentri di loro come a dire nel ventre di Napoli, Napoli ’44 di Norman Lewis che aggio cunusciuto attraverso mio padre ca murette ancora giovane ncopp’o spitale d’e Camaldoli addò passaie pure chillu schizofrenico di Padre Pio. Patemo e mamamema, cioè Lionora Mammazezzella, quanno sunava ll’allarme pe’ ll’attacco aereo dei nazisti teschi se ne fuieveno dint’o ricovero e spisso nun teneveno nemmeno ‘o tiempo di vestirsi e a chillu punto fuieveno sulamente cu ‘e mutande ncuollo. Dint’o ricovero se ne sentevo ogni lamentala ma pure barzellette. Napule ‘a sotto e Napule ncoppa. Spaccanapoli ca te spaccava ‘o core. Napule d’e canzone. Napule d’o mare e ‘a Merica. Napule d’e criature vennute. Napule d’e mamme e d’e sore ca facevano ‘a vita pe’ purta ‘o piatto a tavola. Napule ca fernette ‘a guerra, ma pe’ chi steve dint’e viche ‘a guerra continuava: Napule addò mò s’arapeno ‘ e sedi d’a Lega ca ha sempre schifato e continbua a schifare Napule e l’intero Sud. Napule d’a camorra, ‘o Sud d’a Mafia ca stà cu ‘e razziste e ‘e fasciste xenofobi d’a lega. Napule ‘e piazza Plebiscito(dinta na fotografia non tanto del pino della classica cartolina)in cui sfilarono le truppe naziste con i capipopolo Hitler e Mussolini. Il primo a farla da padrone in Europa contro gli ebrei e il secondo ad appoggiarlo e a intraprendere l’occupazione del Nord Africa. Napule, Napule, Napule. La recensione non recensione nun l’aggio liggiuto, a essa, pe’ ccose ca so’ succieso sta dint’a me, dint’a stu popolo ca forse ha perso ‘a memoria e ‘a dignità.
Transit io a lei sempre m’inchino, maestro di storie e saggezza.
E ci sarebbero delle cose da dire sulle due fotografie della copertina. Del loro intreccio di sangue e di alcool. Di mazzate e accoltellamenti. E pe’ dint’e viche di figli dell’emigrazione, del dopoguerra, di fame, sesso a buon mercato e ammore di contrabbando e tammurriate nere, nere nere cumm’a chè.