«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
GLI IMPERDONABILI
Cristina Campo
Adelphi 1987
Senza troppi giri di parole, la domanda che si pone è Come si commenta Cristina Campo? Poi ci sarebbe anche Perché commentare Cristina Campo?, ma io questa seconda domanda la ignoro come poco pertinente, senza spiegarne il motivo.
Rimango sul come, che già impegna e non poco. Una tentazione sarebbe di prendere la scorciatoia. La scorciatoia consiste nel dichiarare che al cospetto di Cristina Campo è necessario un esercizio di umiltà. Da qui ne consegue che il commento deve essere improntato all’umiltà, lo stile umile, le parole umili, la voce umile. Tutto umile. E con questo uno potrebbe pensare di essersela cavata, perché ha chiarito l’aspetto più evidente della lettura di Cristina Campo: lei ti sovrasta.
Cristina Campo ti sovrasta in tutto, per erudizione, per conoscenza della lingua, per capacità di scrittura, per abilità creativa, per simbolismo, per tutto e di moltissimo. È talmente soverchiante la sua superiorità che non c’è neanche da provare a rimestare per confondere le cose, tu di Cristina Campo non sei nemmeno a un centesimo di altezza. Da qui l’ipotesi del dichiararsi umile.
Tuttavia, per mie considerazioni personali che ora non voglio spiegarti, a me l’atto contrito di umiltà non sta bene, anzi mi fa innervosire, uno si piega umilmente e io vorrei tirargli un calcio nel culo per farlo rotolare due o tre volte in terra. Dico di più, secondo me anche Cristina Campo ti avrebbe tirato un calcio nel culo. Quindi no, la scorciatoia dell’umiltà non va bene.
La domanda rimane aperta, coma si commenta Cristina Campo? In più, questa edizione de Gli imperdonabili crea un’ulteriore difficoltà: il libro si apre con una fotografia, un ritratto del 1963, di Cristina Campo. Era quarantenne in quell’immagine, dalle note biografiche deduco che vivesse già a Roma, dopo Bologna e Firenze. La fotografia complica le cose perché è bellissima, la Campo vi appare con forme morbide del volto, labbra d’amore, un bel naso mediterraneo, un’acconciatura semplice ma che le sta bene, un bel collo, una camicetta bianca, molto graziosa, e occhi intensi, sembrano cerchiati, sembrano malinconici ma forse era solo seria, anche la bocca ha una leggera increspatura severa, lo sguardo fissa l’obiettivo, sembra calma ma non serena, non appare rilassata, appare chiusa e appare più giovane dei quarant’anni che aveva, forse ha un po’ l’aria da professoressa, ma una professoressa bella, anzi bellissima. È insolito che Adelphi aggiunga fotografie dell’autore, questa capita subito da principio, a tradimento, non sei preparato ad affrontare il volto della Campo e te lo ritrovi davanti in un ritratto così bello e quel ritratto ti segue per tutto il libro, ti scruta severa con quello sguardo diretto, l’increspatura sulle labbra ben disegnate, il volto regolare. Io ho continuato a vedere quel volto a fianco di ogni pagina, un fantasma, una presenza che mi incuteva timore e mi attirava al contempo.
Ogni volta che non riuscivo a capire, ogni volta che dovevo rileggere, ogni volta che a fatica riuscivo a spostare una parola e procedere di un passo, lei era lì che osservava e io rimandavo lo sguardo come a dire, scusami ma qui non ho capito, scusami ma sono stanco…
Ecco, mi scusavo della mia inadeguatezza mentre la leggevo, lentamente, con fatica e ammirazione, proprio rivolgendomi a lei lo facevo, questo è stato bizzarro, veramente inusuale, tante volte ho letto testi che hanno rivelato la mia inadeguatezza, ma non c’era mai l’autore, anzi un’autrice bellissima, a fianco a guardarmi. Si crea una situazione imbarazzante, un tormento del cuore e dello spirito. È impossibile trovare scorciatoie o prendere una via di fuga se hai Cristina Campo che ti sta osservando. Sei incatenato alla poltrona, con il libro in mano e solo due opzioni: o procedi o ti arrendi, per quella sera, in entrambi i casi ti scusi con lei.
Ha scritto pochissimo Cristina Campo e viene spesso ricordato che a chi le domandava il motivo era solita rispondere che aveva scritto pure troppo. La risposta è perfetta. Chiunque scriva, scrive sempre troppo, anche se non lo ammette. Come chi parla, parla sempre troppo. Lo stesso quando si mangia, si beve, si ama, si odia, si sogna e ci si dispera, lo si fa sempre troppo. Meno sarebbe in ogni caso stato meglio. Lei non solo lo rivendicava, ma ha pure praticato una frugalità estrema nella produzione letteraria. Forse anche nel resto della vita, ma è solo una mia immaginazione. Frammenti, brevi scritti, commenti, qualche pezzo di saggistica, oltre al lavoro come traduttrice, eppure, anche questo poco è stato sufficiente per farla riconoscere come grande scrittrice. Anzi, come scrittrice che sovrasta la formicaglia di altri scrittori e lettori vari. Cristina Campo è poggiata sulla vetta di un’erta durissima da scalare. Anche da commentare.
Ne Gli imperdonabili sono raccolti molti suoi testi apparsi in maniera frammentaria tra gli anni ’50 e ’60. Inizialmente il grande tema è quello della fiaba, poi verso la fine compaiono le riflessioni di carattere religioso, ieratiche, sui mistici e gli anacoreti del primo Cristianesimo. È un testo unico, preziosissimo, di difficile catalogazione (lo trovate tra la critica letteraria, o la narrativa, o altra saggistica, nessuno sa etichettarlo con certezza, si va a tentoni), di difficile lettura e ancor più difficile comprensione, almeno in diversi passaggi. È anche un testo severo, ma non accigliato, rispecchia la fotografia – ecco l’influenza potentissima di quell’immagine che si riverbera in tutto il testo plasmandolo a sua somiglianza – ma che mai sorride, Cristina Campo non so come sorridesse, temo che fosse una di quelle persone che sorridendo perdono armonia nei tratti del volto, come chi compie movimenti dei quali ha poca pratica. È un testo che mescola la compostezza misurata che viene dall’erudizione e conoscenza profonda della tecnica narrativa, quasi una freddezza professorale, a un’anima che ribolle, a visioni metafisiche che esplodono nel suo immaginario, una vibrazione costante che emana dalle parole, come un fremito che si sia trasmesso dallo sguardo alle parole. Testa calda testa fredda, diceva la premurosa libraia, Cristina Campo è entrambe in misura e qualità enormi, di certo non del tutto comprensibili con una sola lettura, perché in fondo è di una qualità che sempre meno è oggetto di riflessione, perfino disdicevole in certi contesti moderni, di cui si deve trattare per commentare Cristina Campo: della perfezione.
Così Cristina Campo”
La passione della perfezione viene tardi. O, per meglio dire, si manifesta tardi come passione cosciente. Se era stata una passione spontanea, l’attimo, fatale in ogni vita, del «generale orrore», del mondo che muore intorno e si decompone, la rivela a se stessa: sola selvaggia e composta reazione.
Così Guido Ceronetti nella breve postfazione:
La prima alta virtù di questa raccolta di Cose Scritte è di essere, tra mediocrità infinite facili da definire, un fiore indefinibile e inclassificabile. Va bene chiamarli, con reverenza saggi, ma che l’orrenda parola Saggistica non si avvicini col suo laccio acchiappacani. L’argomento e il risultato combaciano nell’inafferrabilità: la Perfezione. L’inquisizione della serietà e dell’utile può affidarlo senza esitazioni al fuoco.
Perfezione come natura, martirio e imperdonabilità, di cui viene sgranato un rosario di esempi, presi da tutto: dalla santità e dalla musica, dai mestieri e dai gesti, dai poeti e dalla liturgia, dagli animali e dalla morte. Ne risulta un trattato aperto, un sottile manuale di tecnica della perfezione – incredibilmente preciso e sicuro in una materia così franante che solo con movimenti cifrati può informarci del proprio essere stata evocata qui.
Di imperdonabile bellezza.
Perfezione su perfezione.
«Alvaro non sta né meglio né peggio. Vado ogni giorno a vederlo. Spesso lo affidano a me, nel pomeriggio. Non parla che poco, ma ci intendiamo con gli occhi. Ciò che riesce a dire è importante [… ]. Anch’io gli dico certe cose. Spesso lo faccio ridere. E quando ride chiude gli occhi ed è bello – come un intarsio cinese – quelle poche parole che dice sono scelte, da scrittore. Quando gli do un sorso d’acqua e gli chiedo se è fresca mi sussurra “Perfetta”… Dorme con un sorriso un po’ ironico, sapiente. Io nella poltrona, leggo un suo libro. Da un lato il corpo, assopito, lontano. Dall’altra lo spirito appassionato, che parla. Tutto è come un papiro lacerato, un frammento: lo spazio vuoto terza dimensione e ciò che rimane di una eloquenza, una forza da far tremare».
Cristina Campo a Margherita Pieracci, 28 maggio 1956
che meraviglia.