«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
IL LIBRO DEI MOSTRI
J. Rodolfo Wilcock
Adelphi 2019
Commento di Cornelio Nepote
Zuccherose e imburrate madame che la primavera vi sboccia come turgide camelie in rotondità fin troppo rabbuiate dai drappi invernali, liberate la pelle d’oca al refolo tiepido ma ancora peperino di ponente, zampettate per le città in scarpette di capretto, i borghi e le metropolitane e i supermercati riempite di nuvole d’arcobaleno, boccolose, cosmetiche, ingonnellate visioni di primavera.
Un redivivo Wilcock vi attende, ravanato dai vetusti bauli adelphiani con ghigni longobardi e rilanciato, per il grande godimento dei presenti, nel presente tremebondo e impaurito. Una galleria di mostri sfatti e putribondi che svomiticchiano melmosità e fumisterie, si liquefanno, si mozzano, si svellono, si sgretolano, gli crescono corna, zampe, creste, becchi e artigli, sono abnormi, microscopici, informi, ingrifati, dentuti, bestiali e pure peggio. Sono mostri e sono disegnetti che Wilcock fa a parole invece che a matita.
Wilcock lo ricordo ai tempi della bisca di Capodimonte, lo si leggeva insieme all’accecato argentino, si ghignava, c’era lui, Flaiano, Pasolini, quel Manganelli che ne diceva una più di una madonna nera, con tutti si ghignava e poi su e giù con l’A112 Abarth per la collina di Posillipo a trovare le amanti profumate coi mariti cornutoni abbiscati nei retrobottega e poi di nuovo dentro i vicoli spagnoli a bere vinello d’amore e giocare a muzzola. Che tempi, che bei tempi, era tutta filosofia e amore, poesia e azzardo, il romanzare e il romanzato. Ci siamo divertiti, anche con Wilcock, lui c’era sempre, era uno divertente.
Ma oggi, oggi che volete dire? Che volete che vi dica Wilcock e i suoi mostri catarrosi? Niente vi dice, nostalgia dice, ecco solo questo dice, a quasi tutti. Diverte? Oggi nessuno si diverte più, nessun libro è divertente, divertente e basta, divertente senza aggiunte, senza postille, note a margine, didascalie e istruzioni per l’uso. Oggi è tutto fettecchia o capolavoro, o una tragedia o un delirio da spiritati, una noia, un premio strega, un piagnisteo, le famigliole, la depressione, la pubblicità, oggi tutto deve essere spiegato, niente è più per i fatti suoi, ma che leggete a fare Wilcock oggi? Che volete trovare, la grande arte volete trovare? La letteratura? La cultura? La raffinatezza delle lettere? In Wilcock? Nei suoi mostri? A scatarrate in faccia i mostri di Wilcock dovrebbero prendere a tutti quanti, oggi, che nessuno dice più divertente e basta, fa sorridere e basta, una ghignata di panza e basta. Ma che avete da aggiungere ogni volta, ricamare, far sembrare che se arriva Wilcock ravanato dal baule dei signür del nord allora è tornata la grande letteratura? Volete fare le letture di Wilcock? I reading, come dicono i fagottoni, ai festival? Che cosa inelegante! Come il tango al telegiornale o al Quirinale o alla sagra per famiglie. Quanta volgarità! Wilcock al festival è una barzelletta, una scoreggetta. Tango e Wilcock vanno insieme, sono da mogli profumate di mariti cornuti e corse in macchina con la doppietta, notti al fresco del ponentino a trincare e filosofare. Sono per tempi e genti che sanno sorridere senza annoiare e rognare. Oppure, dico io dice Wilcock, i mostri siete voi, siete un Eperone Stup, un Pino Scarro, una Paola Udovic, un Busso Targo e una Pelagra Rete.
Saluti primaverili da Cornelio Eperone Nepote.
Don Cornè, site troppo bbuono, praticamente na squisitezza annascunnuta addereto a quei modi spicci e verbali con cui vi appiccicate con ‘o signore 2ooobattute.
Eh, ci voleva proprio questo ritorno di Don Cornelio, che oltre a furoreggiare nelle curve della fresca e ventosa collina di Posillipo affacciata come una sirena ( (Partenope o Penelope le due facce della stessa medaglia d’amore e tradimenti:’o lassato nun torna cchiù a qualunque età appartiene) dimora e coinquilina della borghesia di professionista che badano solo al tenore di vita alto(una collina romane sempre una collina) a mmare sempre giovane e sempre scapricciata ‘e n’ommo cchiù giovane o d’età(o di tutti e due insieme a distanza di un paio d’ore con cui coricarsi), di questa recensione non recensione ha scritto l’inizio che può essere benissimo un incipit ‘e nu libbro.
Detto questo, trattandosi di mostri, don Nepote ha sciugliuto bbuono ‘o libbro di cui scrivere e parlare. Chesta nazione di oggi è chiena di mostri i quali come è risaputo erano nascosti o tenuti dint’o scuro e li si doveva solo immaginare per vederli, metaforicamente parlando. Mò, invece, loro, in tutte le salse, non solo si mostrano ma non hanno il pudore di starsene sottoterra in qualche girone, si “mostrano” e danno anche spettacolo e dicono ci che sono.
Certo a Capodimonte, dint’o bosco, ce stava sta combriccola di poeti e scrittore che a contato con la lava d’o Vesevo, ‘a Ginestra di Giacumino ‘o Scartellato annummenato pure ‘o Ranavuottolo, con la lava e l’onne ‘e mare giù al Chiatamone addò ce steva e ce stà na surgente di acqua suffregna ca tene ‘a puza ‘e ll’ova fracete e con i viandanti che scendevano dint’e viche e dei bassi d’o centro storico ‘e Napule, doppo se mettevano in circolo e scrivevano e declamavano tutte quelle cose che tenevano tra ‘a oanza, ‘o stommaco, ‘o cannarono e ‘a pepitola.
Wilcock ca sapeva d’a vita stanno, gli piaceva stare ‘nzieme a Borges ‘o cecato e a Pasolini, Flaiano, Manganelli e altri poeti e scrittori di strada, e se ne andavano sopra i Quartieri Spagnoli a parlare e discutere a voci alte con le prostitute proletarie e sottoproletarie e i femminielli che stavano fuori i bassi a vendere lascivamente la carne e le bocche piene di rossette e con le gambe aperte senza mutandine.
Pe’ dint’e viche, vicino ‘o mare, se sentono ll’addore e ‘o rummore ‘e ll’onne ‘e mare mmiscate alle voci di tutta chell’umanità e i pensieri e le loro poesie si sono radicate nei basoli grigi e neri.
E’ sempre strano dint’e viche a leggere ‘e libbre e a leggere e vivere ‘a vita.
maestro, sono sempre ammirato da voi