«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
CARO AMICO – Dalla mia vita scrivo a te nella tua
Yiyun Li
Traduzione di Laura Noulian
Enne Enne Editore 2018
Questo libro mi ha lasciato un sapore che fatico a definire, vagamente agro, che riappare se mi soffermo a pensarci, un effetto di memoria sensoriale, evidentemente, un leggero senso di nausea, più dovuto a un certo nervosismo però che mi induce o che mi sono creato io senza ragione. Sulle prime ero rimasto con l’impressione che la sua lettura non avesse prodotto alcuna memoria, un libro sostanzialmente trasparente, come ce ne sono tanti, che arrivano, si soffermano per il breve tempo di una conoscenza superficiale, poi se ne vanno. Si fa presto a paragonarli a parecchie persone, detto così, forse non sbagliando troppo, ma non lo so, sono associazioni queste che preferisco non fare, sono confortanti, falsamente. Quindi pensavo fosse un libro trasparente, poi invece è iniziato quel sapore in bocca che tornava quando mi capitava di pensarci, finché non ho preso a ritornare a pensarci apposta, per scoprire se la reazione sensoriale era veramente automatica, come in effetti è. Anche ora, che per forza devo tornare su quel libro, anzi che me lo trovo davanti, che ho sfogliato nuovamente, la sensazione di sapore agro è di nuovo apparsa. Memoria sensoriale. Come la memoria per immagini, o la memoria sonora o la classica memoria di parole e frasi, che talvolta, sbagliando, si scambia per l’unica forma di memoria.
Più volte persone, amici, mi hanno raccontato della loro memoria sensoriale per i sapori di cibi o bevande e da quella forma di ricordo dei sapori la loro passione per la cucina e il cibo. A me non capita mai che la memoria di sapori sia associata a cibi o bevande, da qui forse il mio assoluto disinteresse per la cucina, ma invece spesso si associa ad altro, per qualche ragione chimica o meccanismo percettivo, immagino.
Quindi mi chiedo cosa abbia questo Caro amico per essersi impresso nella mia memoria sensoriale.
Una ragione penso sia la voce. È insolita, un falsetto, questa Yiyun Li scrive in falsetto. Il falsetto è la tecnica di canto usata dai cantanti d’opera che in sé incorpora una vena ironica, a volte anche sardonica. Il falsetto è usato dalle maschere, è usato dai circensi, è usato nelle rappresentazioni patafisiche e nelle commedie. Ma soprattutto, il falsetto è una voce dichiaratamente innaturale, è la voce più distorta, quella più lavorata, se così si può dire.
La voce che usa Yiyun Li per esporre la sua riflessione sull’esistenza, sulla sua storia di scrittrice di successo e di donna forte ma fragile, più volte ospedalizzata per problemi psichiatrici, come ripete nel testo con insistenza, è dichiaratamente innaturale, molto lavorata e senz’altro ironica, lontana, eppure con un’eco che sembra avvicinarla. Credo sia questo a provocarmi quella memoria sensoriale agra, elementi percepiti che confliggono in un quadro problematico. Perché non c’è dubbio che quanto racconta nel libro sia problematico, tenere insieme la parti della riflessione con le ripetute finestre autobiografiche non è cosa semplice, le parti tendono a scivolare, l’insieme è frantumato, ci sono numerosi squarci di sferzante lucidità, aforismi di un acuto contemplatore, mescolati al diario personale e il tutto, di nuovo, accompagnato, introdotto, anzi recitato dal falsetto della cantante d’opera. Forse il punto del libro sta proprio in questa apparente incongruenza tra elementi costitutivi, risultato di una scelta esplicita, niente è per caso, l’incongruenza è studiata e voluta.
Certo, la percezione di incongruenza è uno stato mentale, laddove uno vede incongruenza, un altro vede perfetta sintonia, dove uno sente un falsetto, un altro sente una voce sottile, ma questo, pur essendo ciò che definisce l’esistenza, in realtà non ha niente di sorprendente o di inspiegabile.
Schierarmi a favore o contro il melodramma, come nel caso del suicidio, sarebbe schierarmi contro me stessa. In quanto spettatrice, sono stata sospettosa. Ma ho anche preso parte al melodramma. E proprio questa esperienza è ciò che me lo fa rifiutare. Per capire come stiano le cose, avanzo questa ipotesi: il ricordo è il melodramma; il melodramma preserva il ricordo.
Ma il ricordo è una raccolta di attimi riordinati – ri-raccontati – per creare un racconto. I singoli attimi, definiti da uno spazio tangibile, sono come le sculture e i dipinti. Ma sono anche come note musicali, nessuna delle quali può restare lì immobile per sempre. Nell’istante in cui gli attimi vengono assorbiti dal tempo, in quello spostamento dallo spazio al tempo, il ricordo diventa melodramma.