«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
ESPERANTO
Rodrigo Fresán
Traduzione di Paola Tomasinelli
Einaudi 2000
La letteratura argentina è nel mio cuore e per questo leggo con curiosità anche i nuovi, o semi-nuovi, autori, cosa che mi risulta invece più indigesta in altri casi che non sto a elencare per evidente irrilevanza. Rodrigo Fresán è semi-nuovo relativamente all’Italia. Qualcuno lo spinge con entusiasmo, se non ho visto male sono in arrivo nuovi titoli, quindi, mi sono detto, è il momento di conoscerlo. Esperanto è uno dei suoi libri più noti.
Prima però di scrivere qualche semplice pensierino riguardante Fresán ed Esperanto, voglio dire ancora una volta cosa trovo di unico e inimitabile nella letteratura argentina: la carnalità dell’immaginazione. Gli argentini sono una contraddizione vivente, un ossimoro, sono degli sbandati, degli emarginati, per geografia, storia e cultura. Sono in un perenne stato di crisi morale, sociale e psicologica. La grande letteratura argentina quindi, lungi dal realismo magico dei silvani tropicali, è letteratura di turbamento senza soluzione di continuità, slanci e precipizi, benissimo e malissimo, nobiltà e degrado. Soprattutto di carne. L’immaginazione e lo stile sono così iperbolici e sfrenati perché la carne è sempre presente.
Qui a fianco trovate un meraviglioso esempio di grande letteratura argentina. il Mascarò di Haroldo Conti, una storia circense iperbolica e sfrenata con il mostro sullo sfondo. Un capolavoro, indimenticabile e immaginifico.
Ritorniamo a Fresán ed Esperanto. Anche in questo caso c’è una storia che voleva essere iperbolica e sfrenata, ma che c’è riuscita solo a tratti, solo quando si è liberata dalla gabbia stilistica dell’umorismo e del grottesco di maniera. Già perché esiste una vena letteraria che attraversa i continenti, almeno a partire dalla fine del secolo scorso, che ha definito un suo canone. Appunto, il canone della storia ironica e grottesca, nella quale i personaggi sono tipi strampalati, fumettistici, che combinano cose in vario modo assurde. Il tutto risulta simpatico, grottesco perché dietro alle strampalerie appare una morale severa rispetto alla società contemporanea, e in molti casi offre anche spazio all’autore per esibirsi in certi virtuosismi stilistici grazie alla libertà di esagerare e caricare i toni che il tipo di storia consente. Esempi di questo tipo ne troviamo moltissimi, provenienti da luoghi tra loro anche molto remoti, come Israele e la Norvegia, ma, mi pare, è soprattutto tra gli autori di lingua spagnola che questo genere si è particolarmente diffuso. Per dire, anche un gigante della letteratura come Juan Pablo Feinmann ci si è dedicato in un paio di suoi librettini minori, negli intervalli tra le sue opere grandiose.
Esperanto di Rodrigo Fresán rientra in questo genere, non particolarmente apprezzato da me, ma qui è questione di gusti. Di virtuosismi stilistici la storia è piena, i personaggi sono caricaturali e si avvicendano in una trama bizzarra e sfrenatamente immaginifica, ma sempre, pare a me, nel solco di un canone che restituisce un sentore di conformismo.
Voglio ripeterlo: Fresán è bravissimo, ma rispetto al mio amore per gli argentini, gli manca qualcosa, forse è troppo educato, forse troppo pulito, forse troppo moderno, troppo come me, come te, troppo comune, potresti pensare di andare a una sua presentazione e parlarci, guardare come è vestito, se ha vezzi, i suoi gusti. Potrebbe pure raccontarti cosa gli piace mangiare o addirittura mettersi a discutere di vini. Il mostro che temo di scorgere dietro Fresán è la banalità. Questo mi lascia il cuore freddo. Lo leggerò ancora una o due volte, ma per ora questo è quanto mi ha lasciato.