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«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Crisis in the red zone – Richard Preston

CRISIS IN THE RED ZONE
Richard Preston
Random House 2019

Negli ultimi giorni i quotidiani nazionali hanno preso a pubblicare articoli di agenzia sulla gravissima epidemia di Ebola attualmente in corso in Congo. È una notizia che passa un po’ casualmente tra le varie isterie nazionali e proclami di invasati con rosario, immagino con l’effetto di rendere la narrazione del presente, già abbondantemente ciarlatanesca, ancora più grottesca e distorta.

In realtà il pubblico italiano, occidentale direi, tolte poche eccezioni, di epidemie tropicali e di Ebola non sa niente, l’ignoranza è assoluta, come lo è di praticamente tutto quello che riguarda l’Africa e i tropici. Faccio finta di ignorare quelli che ai tropici sono andati in vacanza e per questo, forse, millantano una qualche competenza con amici, parenti e pulviscolo da social network.

Dalla lettura dei quotidiani nazionali è impossibile anche al lettore meglio disposto farsi un’idea minimamente realistica di quanto accade e della storia delle epidemie di Ebola, che parte dalla metà degli anni ’70. Il Post, quotidiano online, è l’unico ad avere seguito con continuità la recente evoluzione. Qui una raccolta dei suoi articoli.

Tuttavia, anche leggendo gli articoli de Il Post alcuni fatti rimangono incomprensibili. Ad esempio per quale motivo un centro di Medici Senza Frontiere per la cura di malati di ebola in Congo è stato distrutto da una folla inferocita? Oppure perché aver trovato il virus Ebola in un pipistrello costituisce una notizia?

Per informarsi meglio, ma senza pretendere di cercare tra le pubblicazioni scientifiche, ovviamente di difficile accesso, esistono alcuni libri di cosiddetta non fiction, quasi nessuno in italiano.

Un ottimo testo è Spillover di David Quammen, pubblicato da Adelphi e già commentato qui sopra. Congo è un testo corposo sulla storia della Repubblica Democratica del Congo, molto bello e altrettanto impegnativo per chi voglia avere una prospettiva storica e sociale più approfondita.

Un altro autore di non fiction che scrive libri di facile lettura, accattivanti nello stile, ma ottimamente documentati e segue da decenni le epidemie di Ebola è Richard Preston. È stato pubblicato da Rizzoli il suo libro più celebre, Hot Zone, prima con il titolo di Area di Contagio poi con quello originale di Hot Zone. Attualmente sono fuori catalogo.

Richard Preston scrive per il pubblico americano, questo deve essere chiaro. Pertanto i suoi libri hanno la tipica retorica da film hollywoodiano che vuole sempre e comunque far risaltare la dedizione stoica e il coraggio dei militari americani, la genialità degli scienziati americani, la generosità degli americani pronti a lanciarsi nell’occhio del ciclone, a dichiarare guerra al mostro sotto forma di virus mortale, i valori che muovono uomini e donne americane pronti a rischiare la vita per una nobile causa etc. etc.

Questo sottofondo di marcetta militare con Richard Preston è inevitabile. Molto meno con David Quammen.

Però, se si sopporta la retorica allora si riesce ad apprezzare i meriti di Richard Preston, il quale comunque segue la migliore tradizione della non fiction americana (tanto apprezzabile quanto detestabile è la moderna fiction americana), documentata in modo impeccabile, ricca di informazioni di prima mano e racconti dei protagonisti, oltreché presentata con stile brioso che invoglia la lettura.

Comunque sia, leggere libri come questi fornisce informazioni introvabili sui quotidiani e permette di aggiungere molti tasselli alla comprensione, pur non essendo degli specialisti.

Hot Zone/Area di Contagio racconta gli avvenimenti degli anni ’70 risalenti quindi alla scoperta del virus Ebola, ai primi studi e a un curioso quanto poco noto episodio che avvenne vicino a Washington. È un bel libro.

Ancora meglio però è il nuovo Crisis in the Red Zone, da poco pubblicato e di cui non c’è ancora traduzione italiana. Questo riprende alcuni fatti dalle prime epidemie di Ebola, ma si concentra sulla recente del 2014 che, per la prima volta, investì paesi dell’Africa Occidentale (Sierra Leone, Guinea e Liberia) e, ancora per la prima volta, provocò decine di migliaia di contagiati e più di diecimila morti, invece delle poche centinaia di tutte le epidemie precedenti. È con questo libro che si capiscono molto meglio alcuni dei fatti apparentemente senza spiegazione di cui leggiamo sui quotidiani. I reali meccanismi di diffusione del virus. L’ostilità delle zone rurali verso i medici e il personale paramedico. Il ruolo delle tradizioni antiche sia nella diffusione sia nel contenimento delle epidemie. Il ruolo discutibile e molto criticato che ebbe Medici Senza Frontiere nella gestione del proprio campo di assistenza ai malati in Guinea. Nonostante la marcetta patriottica di cui si diceva prima, si riesce comunque a vedere un quadro molto più completo della situazione sanitaria e anche politica, sociale e culturale.

In più si comprendono un po’ meglio anche altre due cose fondamentali che, dalla distanza siderale dei nostri schermi luminosi rispetto alla realtà sul terreno, a noi sfuggono quasi del tutto.

La prima è che si riesce a dare un contesto a un’immagine come questa che a noi appare tutto sommato la sintesi di un ospedale da campo pulito, ben organizzato, ordinato, privo delle comodità di un ospedale cittadino, per non dire di una nostra clinica privata, ma confortante nella sua apparente tranquillità.

In this photograph taken Saturday 13 July 2019, a health workers wearing protective suit walks out an isolation cube where he visited a patient at an Ebola treatment center in Beni, Congo DRC. Deep distrust and pernicious rumors – along with political instability and violence – are severely undermining efforts by public health authorities to trace and vaccinate those who may have come into contact with infected people. (AP Photo/Jerome Delay)

Preston lascia da parte la retorica quando descrive le condizioni degli ospedali, soprattutto quelli in zone remote investiti dall’afflusso di malati. La scena che descrive è oltre l’immaginabile, virus come Ebola sono terrificanti per gli effetti che provocano su un corpo umano e gli ospedali che si sono trovati nell’epicentro di un’epidemia non hanno potuto contenere la devastazione neppure al loro interno. Noi vediamo un’immagine confortante. La realtà è tutto tranne che confortante. Gli odori, le urla, il terrore, la folla, i morti che si ammassano, di questo noi non sappiamo niente, non percepiamo niente.

La seconda cosa importante che si impara è quella di dare, almeno un po’, un volto a quelle persone che vediamo fotografate nascoste dalle protezioni per evitare il contagio. Anche in questo Preston è bravo, scrive in modo accessibile a tutti, ma restituisce l’umanità dei soccorritori che, in larghissima parte, sono locali e composti da infermiere sottopagate e terrorizzate che rischiano la vita (e in molte la perdono) in condizioni infernali, medici che si trovano ad operare in situazioni estreme di carenza o assenza di tutto il necessario e con rischi personali estremi. Il caso dell’infermiera o del medico occidentale che, contagiato, viene immediatamente evacuato e trasportato in una clinica europea o americana per ricevere le migliori cure è l’eccezione che i giornali riportano e sulla quale si soffermano. La regola è l’infermiera congolese contagiata che muore su una brandina lurida insieme ai malati che assisteva fino al giorno prima.

Poi si impara che non c’è giustizia e che è troppo facile giudicare leggendo notizie male riportate trascrivendo delle agenzie di stampa. Ma questo lo si impara anche in molte altre circostanze, se lo si vuole imparare.

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Questa voce è stata pubblicata il 13 agosto 2019 da in Autori, Editori, Preston, Richard, Random House con tag , , , , .

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