«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
I VAGABONDI
Olga Tokarczuk
Traduzione di Barbara Delfino
Bompiani 2019
Io ho in noia i premi letterari. Prima di tutto mi annoiano perché trovo noiosa la garrula eccitazione di coloro che sembrano interessarsi ai premi letterari, la rozza competizione da torneo sportivo, l’attesa sudata dei risultati della gara, le giurie da festival di musichetta popolare, i deprimenti articoli dei deprimenti giornali, le ancora più deprimenti polemiche su chi ha vinto e su chi avrebbe dovuto vincere, l’ottusità che cancella ogni speranza di dialettica di frasi come “questo libro non è da premio Premiuzzo”, “questo autore non è da premio Nobiluzzo”. Detesto i premi letterari e tutto il teatrino che ci sta intorno, i caratteri, i personaggi, il linguaggio; preferisco mille volte la solitudine alla compagnia di una di queste fascette parlanti.
La seconda ragione della noia che mi danno i premi letterari è che, anche se li si vuole ignorare e ci se ne tiene lontano, questi non ti lasciano in pace, inevitabilmente inquinano l’ambiente con i loro liquami e il loro fetore. Non puoi leggere un libro che ha vinto un premio letterario senza che di continuo non ci sia una voce che te lo ricorda… Ha vinto il premio letterario… ha vinto il premio letterario… cosicché volente o nolente sei costretto a confrontarti con quel maledetto premio letterario: o gli fai la guerra e allora la lettura sarà deturpata dalla voglia di dimostrare che quello è proprio un libruzzo, oppure ti sembra di aggiungerti come un fesso agli applausi della claque. In entrambi i casi c’è solo da maledire il premo letterario. Per questo io non leggo mai libri che partecipano a premi letterari. Tranne eccezioni, rare ed estemporanee.
Per Olga Tokarczuk ho fatto un’eccezione, perché ricordavo di avere rigirato in mano I vagabondi almeno un paio di volte, incuriosito, quando ancora non avevo mai sentito nominare l’autrice, e poi perché ha una faccia simpatica, di una intelligente. E anche, forse soprattutto, perché ero contento per Peter Handke, premiarlo è stato un buon modo per congedarsi ancora una volta dal Novecento, il secolo breve, ma anche il secolo tragico, il secolo stupido, il secolo di grandi bellezze e grandi miserie, un secolo che è stato molte cose, e Peter Handke ha saputo leggerlo meglio di molti altri. Ero contento, pur disprezzando i premi (tira giù quel ditino se vuoi dire che mi contraddico, il contraddittorio qui non è previsto), come per altro lo stesso Handke ha più volte dichiarato e come chiunque provvisto di sensatezza e un po’ di amor proprio, secondo me, non può fare altro che dichiarare. Sulle polemiche che ne sono seguite non ho niente da dire, ho già detto abbastanza riguardo i commentatori di premi. In ogni caso, Handke mi ha messo di buono spirito e questo si è trasferito a Olga Tokarczuk.
Parte spigliata con I vagabondi, brevi brani per lo più autobiografici di lei che viaggia, musei, aeroporti, molti aeroporti, un po’ di storia dell’infanzia. Uno strano libro, la copertina dice che è il romanzo vincitore di un premio letterario, ma a dire il vero non sembra proprio un romanzo. Vabbè che ormai tutto è romanzo e niente è romanzo (sempre tu con quel dito alzato, se volevi dire che non ci sono solo fiction e non-fiction , ma anche la non-fiction letteraria, puoi andare a fare i tuoi interventi inutili a un premio letterario qualsiasi dove sono certo che verranno apprezzati). Quindi, per me se si vuole chiamare romanzo una collezione di brani un po’ fiction un po’ non-fiction, va bene, chiamatelo come vi pare. E infatti mescola un po’ di fiction a un po’ di non-fiction, continua con questo racconto di lei in viaggio e dell’esperienza di viaggiare da soli, e ogni tanto inserisce racconti letterari veri e propri, con personaggi e storie.
È tutto molto frammentato, ma è proprio quando si hanno per le mani molti frammenti che con più attenzione si cerca di trovare una unitarietà, un filo che li colleghi, ci si immagina che siano pezzi di un puzzle. A volte ci si inventa che sia un puzzle quando invece sono soltanto cocci sparsi, calcinacci, schegge sciolte.
Quindi, cosa lega i frammenti del vagabondare di Olga Tokarczuk?
Per conto mio, è la vecchiaia. I danni del tempo e la cupezza per l’irreversibilità della senescenza.
I vagabondi di Olga Tokarczuk, fiction o non-fiction che siano, sembrano viaggiare per consumare le ultime riserve di libertà che sono loro rimaste prima della ritirata. Non c’è gioia o avventura o la spensieratezza tipica dello stereotipo del viaggiatore. Non c’è apertura, profondità di orizzonti e di destino, non c’è niente dell’epica del viaggio e del vagabondare moderno, attraversando paesi, scendendo in hotel confortevoli, prendendo taxi e sentendosi di casa negli aeroporti. C’è solo un vagare senza scopo e senza meta, spesso fatto solo per ritornare da capo, altre volte è un vagare infinitesimale, di spostamenti solo immaginati, o ancora un vagare come rifiuti galleggianti spinti dalla corrente. In ogni caso, i vagabonti di Olga Tokarczuk, lei inclusa, anzi forse lei ancora più di quelli immaginati, sembrano tentare di spiegare, ma finiscono solo per autoconsolarsi, senza neppure riuscirci troppo bene.
I vagabondi è un libro desolante, sottotono, senile, sconfortato. Soprattutto senile. Lo sono anche i personaggi delle storie, tutti già con la decrepitezza addosso, all’atto di tirare le somme, a riflettere sul viaggio della propria vita e insoddisfatti, per un verso o per l’altro. Nessuno ha un futuro, una meta da raggiungere, nemmeno un itinerario da percorrere. Strani viaggiatori o vagabondi questi che si stanno tutti fermando, anche la stessa Olga Tokarczuk pur raccontando di passaggi da un aereo all’altro, incontri e spostamenti incessanti, sembra una disillusa e intristita viaggiatrice per lavoro, viaggiatrice per dovere, raramente si percepisce uno spirito di scoperta o di avventura. O soltanto un po’ di felicità. Per questo sul libro cala presto una cupezza insolita, priva di tinte drammatiche, apatica, incapace di trovare sollievo dal viaggiare, nemmeno ottimismo o speranza, pur non facendo altro che parlare della necessità del viaggio. Tanto che a uno viene voglia di dirsi: In fondo, se questo è viaggiare, allora posso anche starmene fermo.
Non un grande libro, ma un libro discreto, non un’opera memorabile, ma un’opera che con dignità appartiene al nostro tempo. Lasciamo perdere premi e onorificenze, Olga Tokarczuk è una brava scrittrice, di gran lunga migliore di molte altre pessime e celebrate, ma che sia una grande scrittrice non posso dirlo con solo questo libro letto, perché non c’è guizzo, non c’è scintilla, non c’è grandezza ne I vagabondi, nemmeno la sua cupezza si alza sopra al rimpianto e al senso di impotenza, ne I vagabondi c’è il senso della ritirata che pervade questo tempo.
Stavolta dissento totalmente, non ci ho visto affatto la cupezza che rilevi, anzi, solo un richiamare all’unica possibilità di sfuggire alle catalogazioni, scartare di lato per riuscire mosso nelle foto che in questa era di big data ormai ci inquadrano in ogni scelta, definendoci in continuazione. Vagabondi per necessità; sarà che sono sempre stata un po’ vagabonda ma a me personalmente è sembrato un inno alla libertà di essere “altro”.
Non ho letto “I vagabondi”, ma “Guida il tuo carro sulle ossa dei morti”, che ho trovato un bel libro, Parere di modesta lettrice. Ossequi.
ho scritto di getto e mi sono riletto (come sempre) dopo l’invio (sennò, non invierei mai nulla), scusate: “I libri e le scritture “magnifiche”, nel loro essere “poetico” sono ciò che ancora può riservarci sorprese, stupore, poesia per l’appunto.”: possono riservarci…
HO letto anni fa CASA DI GIORNO CASA DI NOTTE, della stessa autrice.
Un grande libro, a mio avviso, non dovrebbe esistere.
I libri e le scritture “magnifiche”, nel loro essere “poetico” sono ciò che ancora può riservarci sorprese, stupore, poesia per l’appunto.
I premi, chissà, sono sempre ed esclusivamente e – normalmente – umanoidi, e cercare gli autori di capolavori, inevitabilmente, pure lo è! Del resto, mica le altre specie hanno inventato premi, o per lo meno non con lo stesso “concetto”. Ma è molto banale, ciò che ho appena scritto. Tutto per dire che quest’autrice mi sembra davvero molto brava, interessante – allora, ora più che mai, semplicemente, direi: straordinaria.
Un saluto,
Giampaolo
Non è disponibile Casa di giorno casa di notte, non so se fuori catalogo o esaurito.
Immagino che ora usciranno diversi titoli e vorrei leggerne altri, sospetto che questo I vagabondi non sia la sua opera migliore.
Grazie per il suggerimento.
Lo ho da parecchio, quel libro, non ne conoscevo l’autrice. Io invece sono molto attratto da I vagabondi. Credo che la sua narrazione (mi è parso di capire) sia per frammenti, paragrafi, scorci. Questo mi pare notevole. Ma parlo dei miei “interessi”, del mio modo personalissimo di essere lettore.
Un saluto ancora, Giampaolo