«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
IL GIORNO DELLA MADRE
José Pablo Feinmann
Traduzione di Claudio Fiorentino
Baldini Castoldi Dalai 2005
Nota: Avevo già commentato questo libro anni fa. Non me lo ricordavo e se non me lo avessero detto sarei rimasto convinto di non averlo letto prima. Sto rincojionito, ma ok così.
Una premessa: io amo José Pablo Feinmann in modo totale, incondizionato, un amore solitario e custodito nell’intimità di un divano perché Feinmann è semisconosciuto in Italia, anche chi apprezza la letteratura sudamericana non lo cita quasi mai, mentre io lo amo come pochi altri, come solo i grandi amori, forse due o tre, lo citerei di continuo, senza appenderlo a un muro a fare da icona, i muri vanno lasciati sgombri, dice la mia voce, no io vorrei tenerlo in tasca, in borsa, nella sacca sulla spalla, vorrei avere un corvo aggrappato alla spalla che mi parla con la voce di Feinmann per ogni tanto scambiarci sguardi ironici, come si fa con un vecchio amico, che tutto sa, anche quello che non sa e non chiede.
Mi mancava da leggere solo questo libro, per quanto ne so, e me lo ero dimenticato. Si ama e si dimentica, si è umani anche per questo, o forse io sono un po’ meno umano, chi lo sa, ma no che sciocchezza. In amore ci sono solo due regole: l’amore è una cosa seria e l’amore non è una cosa seria. Uno ama e dimentica allo stesso tempo. L’inverso di chi non ama e si aggrappa. Come si fa a non capire? Certo, si può, vale per tutto. Io non ho capito. Ho capito. Non so cosa voglia dire. Lo so, lo so.
Che libro è Il giorno della madre? Come prima cosa si sappia che il titolo originale era La critica de las armas (La critica delle armi), e che quindi Il giorno della madre non c’entra niente, una pecionata all’italiana che anche nel 2005 si sperava fosse un brutto ricordo del passato. E invece no, ancora un gesto per sminuire Feinmann, smussarlo, spingerlo in una scatola da scarpe editoriale. Qualcuno ha perfino provato a farlo passare da autore di polizieschi. Stolti. Ancora una forzatura inconcepibile, fango. La critica de las armas aveva tutt’altro sapore, intenso, parzialmente incomprensibile ma evocativo, è una citazione da Marx: “El arma de la critica no puede reemplazar la critica de las armas” e allora sì che si inizia la lettura con dignità.
Poi bisognerebbe sapere che autore è José Pablo Feinmann. Intanto è uno che non si fa mettere in nessuna categoria perché è saltato dentro e fuori da molte. Apposta, sono convinto. Leggi un suo libro e pensi di avere capito, ne leggi un altro e ti accorgi di non avere capito niente. Ma se continui a leggere, alla fine Feinmann lo incontri. In questo è molto argentino, pur essendo lui il meno argentino tra i grandi scrittori argentini. Ma anche in questo, si potrebbe dire che svela il suo essere profondamente argentino. Ma che dici? Certo, rileggi, quel che è scritto rimane scritto, ma allo stesso tempo si dirada e si annebbia. Io non cancello mai, aspetto che scolori.
Chi è Feinmann? La domanda va posta e necessariamente è una domanda malposta. Come se chiedessi Chi sei tu? Io sono io. Domanda inevitabile, nel pantano bisogna immergersi. Chi è José Pablo Feinmann? Come si è diluito o nascosto o mascherato nei suoi libri e in questo La critica de las armas?
Feinmann per me è uno che ha un incredibile talento nel guardare lontano. Lui si siede, osserva, lascia correre lo sguardo lungo le linee prospettiche, fin dove si può spingere, e solo quando arriva laggiù inizia a parlare. Ed è un monologo il suo, anche quando dialoga. Questo è, ad esempio, il grande talento degli scrittori che hanno scritto grandi libri sul deserto, su carovane o eserciti che attraversano deserti o carovane ed eserciti fermi in attesa di un respiro del deserto, i quali deserti, da distese di pietre e sterpaglie diventano deserti dell’anima, deserti dello sguardo, deserti della mente, deserti del tempo. Ci sono libri straordinari di straordinari scrittori con questo soggetto, da Buzzati e la Fortezza Bastiani a Coetzee, Saer, e Feinmann non meno degli altri. Sono gli scrittori dei deserti, straordinari quanto gli scrittori di fiume.
Feinmann è uno scrittore dei deserti.
Ha scritto libri meravigliosi, ignorati, dispersi, finiti al macero, snobbati, ed anche tanto della sua opera è ancora senza una traduzione italiana. C’è stato un editore italiano che abbia pubblicato due libri di Feinmann? Uno, Giunti, due titoli, entrambi fuori catalogo, uno ripescato da SUR, l’altro disperso. Ne sono certo, tutti dei fallimenti editoriali, senza dubbio, figuriamoci, chi vorrebbe leggere José Pablo Feinmann? Vengo annichilito dallo sconcerto quando ci penso. Vi meritate il vostro destino.
Ne La critica de las armas si sovrappongono due storie, ma niente è semplice, “sovrapporre” è un verbo che descrive un’azione semplice, per gente di vedute ristrette, sostanzialmente miope, anche se spesso non lo sa. Niente si sovrappone realmente nel mondo che lo sguardo di Feinmann osserva. Le correnti si scontrano, si mescolano rimanendo su piani diversi, come l’acqua limacciosa alla foce di un grande fiume quando entra nel mare. Le storie che sembrano sovrapporsi si compenetrano, si penetrano, si storpiano una con l’altra, i fluidi si mescolano, le vene dei due organismi si saldano e il rancore, la follia, la violenza, il dolore delle due storie si confondono, l’odore dolciastro della mediocrità del personale e del politico cancellano i confini una volta netti, ingenuamente netti.
L’omicidio della madre diventa l’atto simbolico, rituale, farneticante per cercare di placare la rabbia per la strage che la madrepatria ha commesso contro i suoi figli, ma anche la sentenza finale di condanna di un uomo solo, rimasto solo con la sua ossessione e davanti alla storia di un paese. Le due voci narranti si inseguono, si alternano fino a confondersi, chi parla? Chi parla? È Feinmann o il suo alter-ego Pablo Epstein? Oppure sono altre voci, sono voci che salgono dal terreno come miasmi di una città? Voci di una follia che ha mescolato pubblico e privato, stato e famiglia, politico e personale, amore con odio, violenza con salvezza, ideali con nevrosi, sesso con amore materno. Pablo Epstein è un personaggio formidabile a cui Feinmann dà voce in modo veemente, a sferzate lo trasferisce su carta, infierisce sul suo personaggio con un ritmo incalzante che afferra e stringe, sempre di più, giù nel suo gorgo, nella storia dell’Argentina e degli argentini, nel loro dramma e nel dramma non passato alla storia di scrittori formidabili come José Pablo Feinmann.
Ti trascina laddove la memoria ha dimenticato, gli uomini hanno ignorato, la violenza inimmaginabile è stata accettata, il popolo si è autoassolto, l’Europa e il mondo si sono voltati dall’altra parte perché tutto scorre e il tempo lenisce ogni ferita. Così dicono quelli che di ferite non ne hanno o quelli che ormai non sperano più in nulla.
Un libro niente meno che meraviglioso, La critica de las armas.
Marx, Critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione
In politica, i tedeschi hanno pensato ciò che gli altri popoli hanno realizzato. La Germania è stata la loro coscienza teorica. L’astrattezza e la presunzione del suo pensiero è sempre andata di pari passo con l’unilateralità e l’approssimazione della loro realtà. Se dunque lo status quo del sistema politico tedesco esprime il compimento dell’ancien régime, questa spina nel corpo dello Stato moderno, lo status quo della scienza politica tedesca esprime l’incompletezza dello Stato moderno, la piaga del suo stesso corpo.
Essendo nemica dichiarata del mondo precedente della coscienza politica tedesca, la critica della filosofia speculativa del diritto non si esaurisce in se stessa, ma in compiti, la cui soluzione non è data che da un unico mezzo: la prassi.
Si tratta di questo: può la Germania pervenire a una prassi à la hauteur des principes, ossia a una rivoluzione che la sollevi non solo al livello ufficiale die popoli moderni, ma all’altezza umana che sarà il prossimo futuro di questi popoli.
Evidentemente l’arma della critica non può sostituire la critica delle armi, la forza materiale non può essere abbattuta che dalla forza materiale, ma anche la teoria si trasforma in forza materiale non appena penetra fra le masse. La teoria è in grado di impadronirsi delle masse non appena si palesa ad hominem, ed essa si palesa ad hominem non appena diviene radicale. Essere radicale significa cogliere le cose dalla radice. Ma la radice dell’uomo è l’uomo stesso. La prova evidente del radicalismo della teoria tedesca, e quindi della sua energia pratica, è il suo partire dalla categorica eliminazione positiva della religione. La critica della religione porta alla dottrina secondo la quale l’uomo è, per l’uomo, l’essere supremo; dunque essa perviene all’imperativo categorico di rovesciare tutti i rapporti nei quali l’uomo è un essere degradato, asservito, abbandonato e spregevole.Annali franco-tedeschi, Ed. del Gallo, Milano, 1965, pagg. 134-135
Non capisco se la doppia recensione del libro a distanza di anni è una dimenticanza voluta o meno. Comunque sia, mi è venuta voglia di leggere qualcosa di Feinmann, grazie.
AaaaaaH! Non era voluta. Credo sia la prima volta, ma non ci giurerei.
Grazie per avermelo detto altrimenti avrei vissuto convinto di non essermi mai sbagliato.