«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
FIGURE NEL SALOTTO
Norah Lange
Traduzione di Ilide Carmignani
Adelphi 2020
Strano titolo, strano libro, strana scrittura e autrice.
A Norah Lange e a Oliverio Girondo
—dedica de La vita breve, Juan Carlos Onetti
Norah Lange era argentina, poetessa e scrittrice, moglie dello scrittore Oliverio Girondo, coetanea di Onetti con il quale condivideva lo stesso milieu culturale. Chi è sapiente di cose argentine, sottolinea che quel milieu culturale nel quale nacquero geni letterari strepitosi era anche di stretta osservanza maschilista, come da buona tradizione latina. Questo non ha impedito però che alcune figure femminili eccezionali emergessero, le sorelle Ocampo, naturalmente, Norah Lange, ora con gran merito recuperata da Adelphi.
Figure nel salotto, titolo un poco cacofonico rispetto all’originale Personas en la sala, è una storia che vuole essere misteriosa e riesce a esserlo. Norah Lange ha una scrittura assai particolare anche per i canoni argentini, notoriamente molto favorevoli a sperimentazioni stilistiche sfrenate e ad autori trasportati da stati di delirio creativo. Al contrario, lei è invece composta, di una compostezza innaturale che velocemente vira nella rarefazione di uno stato psicotico. Questa compostezza insalubre è anche il tratto che contraddistingue le personas en la sala protagoniste del libro. Tre sorelle delle quali non si conoscerà quasi nulla se non vaghi accenni incerti e rapidi lampi di passato che scompigliano l’immutabile compostezza. In un’atmosfera di circolarità autoreferenziale, tra scrittura e personaggi, per cui non si trova quale sia la causa e quale l’effetto, se la scrittura abbia determinato i personaggi, oppure siano stati i personaggi a imporre all’autrice quella scrittura particolare, Figure nel salotto brilla di luce cupa e riflessi opachi di superfici ferrose, odora di chiuso, di lana umida infeltrita, si odono voci ovattate da stati di coscienza alterati, si deforma come una mano un attimo prima di una crisi nervosa.
Norah Lange ha una scrittura contratta, tesa, frammentata, fatta di respiri brevi e strozzati, i pensieri si dipanano nella storia e incespicano, talvolta saltano lasciando buchi di senso. Anche la voce narrante della giovane protagonista, colei che prima osserva, poi diventa parte della scena, poi giudica, e infine si scopre colpevole, è stridula, mai empatica, non offre il conforto della figura femminile tragica, ma al contrario spesso si ha il sospetto che quelle figure immobili e aliene siano un parto dell’immaginazione isterica e repressa della narratrice che egoisticamente confonde realtà con farneticazioni. Non è così banale, peró. L’immaginario che riscrive la traccia del reale e infligge sofferenza. Questa è banalità di storie semplici, di scrittori improvvisati per lettori svogliati e presuntuosi. Norah Lange non avrebbe mai potuto scrivere una storia del genere. Onetti e gli altri l’avrebbero probabilmente processata, disarticolata e data in pasto ai pesci gatto del Rio de la Plata, se avesse ceduto alla banalità della scrittura spruzzata di psicologismi.
Quindi che fare? Come uscirne? Procedendo in direzione contraria alla traccia segnata da quei geni della letteratura e confondendo i riferimenti. I personaggi di Norah Lange sono profondamente argentini per quel senso di dissoluzione crepuscolare priva di ogni sfumatura tragica, cosa impensabile per un francese o un tedesco, per dire. Gli uomini e le donne si sgretolano come argilla disseccata, mantenendo però fino alla fine un contegno grottesco, anche quando impersonano la più irreale compostezza, quella diventa grottesca, come le svolte tragiche, grottesche tutte quante pure quelle. D’altra parte, Figure nel salotto è un libro che si ripiega su se stesso, si accartoccia essiccato, fino alla fine quando non rimangono che parole e immagini disidratate, aride. In questo modo lei scompiglia le carte e sopravvive, facendo perdere le tracce ai cani letterari che la fiutano e la inseguono. Sembra volere svanire Norah Lange, insieme ai frammenti della sua scrittura, con i suoi personaggi che semplicemente si dissolvono, senza spiegazione, senza moralismi, senza lasciare nulla e nessuno dietro di loro.
Non sopportavo i nomi scritti sul finestrino dei treni, i cuori con due frecce piantati a coltellate nel tronco di un albero. Poi tutto cambiò, ma all’epoca mi irritavano tante di quelle cose che le poche da cui ero attratta divenivano un’ossessione, come le persone che mi raccontavano lunghe malattie, la piallatura del legno, il velluto nero. Perciò fu necessario rimanere ore e ore a sorvegliare la casa di fronte.