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«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

La vita involontaria – Brianna Carafa

LA VITA INVOLONTARIA
Brianna Carafa
Cliquot 2020

Non l’avrei probabilmente notato questo La vita involontaria se non fosse stato per il buon Luca della libreria Il Tempo Ritrovato che l’ultima volta che sono passato a prendere dei libri mi fa: Guarda, è uscito anche questo, una piccolo editore romano, un recupero di un libro dimenticato, una scrittura dal sapore mitteleuropeo, ti potrebbe piacere. Guardo e noto due cose: un’edizione curata, piacevole, come a dire che chi lo pubblica ci teneva a fare bella figura e poi il nome, Brianna Carafa, uno strano mix celtico-borbonico. Il titolo, Ilaria Gaspari che firma la prefazione dice essere bellissimo, per me è invece un titolo piatto, anonimo, vorrebbe dire qualcosa ma non sa cosa dire, preferisco quelli che quando non c’è niente da dire danno forma al vuoto, invece di spargere profumo. Suona terribilmente di titolo editoriale pigro, sono quasi certo che fu imposto dall’editore del tempo, Einaudi nel 1975, all’autrice che senz’altro ne aveva in mente uno del tutto diverso. Ovviamente sono disposto anche a negare l’evidenza per sostenere questa mia teoria, nemmeno di fronte a una dichiarazione manoscritta e firmata dall’autrice potrei attribuire il titolo alla sua libera volontà, piuttosto sosterrei che la dichiarazione le venne estorta con le minacce.

Lasciamo però la trincea del titolo e procediamo. Si dice che è romanzo di formazione e che ha uno stile mitteleuropeo non comune tra gli autori italiani, tanto nel 1975 quanto oggi. Sul romanzo di formazione c’è poco da dire, La vita involontaria ricalca il più classico dei classici canovacci del romanzo di formazione senza nessuna fuga laterale in terreni inesplorati. Il romanzo di formazione è una scelta prudente, spesso in buona parte autobiografica, contiene in sè riferimenti stilistici e narrativi consolidati, e quindi si presta bene per un esordio nella scrittura di romanzi. Naturalmente, come ben noto a tutti, il mondo letterario straborda di pessimi romanzi di formazione, tanto che il pessimo romanzo di formazione è una delle categorie letterarie principali nello sterminato catalogo dei pessimi libri che contribuiscono a inquinare l’ambiente. Quindi scelta prudente ma anche arrischiata al contempo, con buona pace di quelli, i contabili dell’interpretazione, che vorrebbero distinzioni semantiche chiare e pochi intrugli di senso. Ma non è la natura di romanzo di formazione la cosa rilevante del libro di Brianna Carafa e non è il caso di rovistare tra le tombe per disseppellire dei Törless o dei Werther ammuffiti.

La cosa rilevante è il richiamo alla letteratura mitteleuropea, la quale ha un certo stile inconfondibile fatto di atmosfere tra il tardo Ottocento e il primo Novecento, di decadenza elegante e piacere sensuale per le raffinatezze culturali e l’erotismo incostante. La mitteleuropa produsse letteratura di passaggio tra epoche, il tramonto certo e la vigilia incerta, i personaggi mancano del dinamismo fascistoide dei positivisti e sembrano essere continuamenti immersi in una nube di passato e di ricordi che va dissolvendosi via via che la fine, indefinita ma certa, si approssima, talvolta in forma di futuro inconoscibile, quasi sempre costellata di abbandoni e fratture esistenziali.

La letteratura mitteleuropea ha perfezionato l’arte del controllo sulla scrittura, sempre in perfetto equilibrio tra la tendenza a strappare dei personaggi che si formano e la cupezza opprimente della natura e degli uomini. Questo diventa anche controllo sulle emozioni che la scrittura suscita. Mai troverete piagnucolerie melodrammatiche da provincia italiana o frivolezze nevrotiche parigine e nemmeno il senso di immensa tragedia dei russi sempre alle prese con l’ombra incombente e immensa della Grande Madre Russia. Nella letteratura mitteleuropea i sentimenti sono dosati e pilotati con mano ferma, erotismo quanto basta, tragedia quanto basta, compartecipazione sì ma con moderazione, il tutto assemblato per raggiungere un punto d’equilibrio che una volta assaporato non si scorda facilmente.

La vita involontaria ha tutto questo, mescolato con mano delicata e sicura. Brianna Carafa ha respirato a lungo e profondamente le atmosfere mitteleuropee e ne ha appreso l’arte del controllo delle parole. Il suo personaggio cresce e con lui lo fa l’atmosfera brumosa degli anni del racconto, presumo tra le due guerre, insieme al senso di un passato che non solo si allontana ma che si rivela anche fasullo, in un processo continuo di delusione e reinterpretazione per gli eventi che si sono succeduti. Questo è forse il tratto fondamentale della decadenza, non solo il presente si sfalda e il futuro è un muro di nebbia, anche i ricordi e le immagini del passato si guastano, perdono di vigore, diventano ridicoli, sono mascherate senza dignità. Forse solo nel finale del libro, un certo sentimentalismo manicheo italiano fa la sua comparsa e introduce una stonatura. Ma di nuovo, come per il titolo, sono sicuro sia stato il famelico editore sabaudo a imporre il finale consolatorio secondo il canone borghese a lui caro. Il libro di Brianna Carafa finiva qualche pagina prima.

Bellissima lettura. Bravi quelli di Cliquot.

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Questa voce è stata pubblicata il 31 agosto 2020 da in Autori, Carafa, Brianna, Cliquot, Editori con tag , , , .

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