«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
DECADENZA – Vita e morte della civiltà giudaico-cristiana
Michel Onfray
Traduzione di Michele Zaffarano
Ponte alle Grazie 2017
– Salve.
– Ah, salve, è lei. Cosa ci fa qui?
– Passavo.
– Passava? Come passava? È un marciapiede questo? Cosa intende con ‘passavo’?
– No… cioè intendo, intendevo che ero qui, ‘passavo’ in senso metaforico.
– Metaforico o allegorico? Sia chiaro, cosa vuole?
– Io… no, allegorico, certo, volevo dire allegorico non metaforico… è la parlata comune… dire sempre metaforico mai allegorico… certo, è una cattiva abitudine, lei ha ragione, signore.
– Va bene, senta, cosa vuole? Perché è venuto?
– Mah…io… pensavo… un tempo scrivevo delle cose qui, l’ho fatto per diverso tempo a dire il vero e quindi… pensavo… che.
– Pensava che… cosa?
– no ecco, volevo dire che pensavo che… ma questo è ancora quel posto dove si scrive o è cambiato?… mi dispiace mi sono assentato per un periodo… ho avuto dei… contrattempi, chiamiamoli così… quindi ecco…
– Qui non si scrive più, le cose sono cambiate, qui si contempla. Con spirito calvinista. sa cosa vuol dire calvinista?
– Sì… cioè pressappoco lo so… con rigore e misura?
– Con assoluto rigore e implacabile senso della misura.
– Certo, di questi tempi… è chiaro… rigore e misura, implacabili, certamente… mi sembra una decisione saggia che condivido totalmente, io non avrei saputo fare di meglio.
– Che lei non sia in grado è evidente. Ancora non ha detto che cosa vuole. Perché è tornato? Nessuno gliel’ha chiesto, nessuno sentiva la sua mancanza.
– Sono tornato… cioè avevo pensato di passare, non intendevo disturbare… la contemplazione intendo… il nuovo regime calvinista che io condivido assolutamente… avevo pensato che…
– Cosa aveva pensato? Mi sta facendo perdere tempo, dovrei stare contemplando in questo momento, non essere ad ascoltare lei che farfuglia. Cosa diavolo vuole? Una volta per tutte, lo dica!
– Le chiedo scusa, signore, sono davvero costernato, non intendevo assolutamente farle perdere tempo preziosissimo… certo, quindi vengo subito al punto che è che… io avevo pensato… che… cioè io avrei una cosa da dire… per cui mi chiedevo se potevo accedere… cioè avere accesso intendo al…
– A che?
– Alla scrittu…
– Eh? A che cosa?
– Alla scrittura
– Alla scrittura?
– Sì, intendo… cioè… se potevo… dire una cosa.
– Una cosa di che genere?
– Un libro.
– Un libro?
– Sì.
– Perché lei legge ancora?
– Sì… io leggerei sì, anche se… dicevo… le circostanze… sì io in effetti leggo ancora.
– Ah bella questa! Tutti erano sicuri che fosse diventato incapace, anzi impedito alla lettura. Una specie di tara psichica, una testa bacata, ha capito cosa intendo, no?
– Sì, credo… una tara … credo di aver capito… in effetti, mi rendo conto di avere, come posso dire… aver dato questa impressione… sì certo io mi scuso se ecco…
– E che cosa leggerebbe quindi?
– Io?
– No, e chi?
– Ah ah, certo… ecco… io in questi mesi ho letto… soprattutto intendo, non solo quello… ho…
– Cosa ha letto? Cosa?
– Io… ecco… saggi.
– Ha detto ‘saggi’? Ho capito bene? Perché bisbiglia, ma che ha?
– Si sì, mi scusi, certo, saggi, … ecco volevo dire saggi, ho letto soprattutto saggi, non solo quelli intendo, però soprattutto saggi, sì, anzi quasi soltanto saggi, ecco, a essere sincero, quasi soltanto saggi ho letto.
– Saggi di che?
– Di che? Cioè di quale argomento trattavano, vuole sapere?
– Certo sì di quale argomento, mica voglio sapere il colore delle copertine, di cosa trattavano questi saggi che dice di aver letto?
– Ah certo, di cosa trattavano questi saggi… ecco… di diversi argomenti…
– Per esempio?
– Per esempio… la Cina…
– Cosa? Ma la smetta di bisbigliare, santiddio!
– Cina.
– Ha letto un saggio sulla Cina?
– Sì.
– Cosa c’entra lei con la Cina?
– Niente.
– Appunto! Perché legge saggi sulla Cina se non c’entra niente?
– Mi interessava…
– Le interessava leggere un saggio sulla Cina?
– Sì… io volevo… ecco… volevo capire… un poco almeno
– Ah questa è buona! Voleva capire? Lei ha letto un saggio sulla Cina perché voleva capire, è cosi? È così? Non risponde, eh? Perché lo sa cosa le sto per dire, vero che lo sa? Fa sì con la testa, certo che lo sa… lei vuole capire… come tutti, vero? Qui tutti vogliono capire, tutti pensano di saper capire, tutti unti del Signore, vero? Capire è diventato lo sport nazionale, tutti capiscono tutto, anzi tutti hanno già capito tutto perché hanno letto, leggono e capiscono, che gente fenomenale, vero? Leggono e zac! hanno capito! È un gran miracolo, no? Non è un evento strabiliante come un miracolo? Che ne dice lei? Ho ragione oppure no? Annuisce? Certo che annuisce, perchê ha capito che ho ragione! Ecco che lo fa di nuovo, ha capito e annuisce… sentiamo, forza, cosa avrebbe capito, mi dica una cosa che ha capito dal suo saggio sulla Cina.
– … oppio…
– Ha detto ‘oppio’? Oppio? Vuole dire il traffico di oppio o il consumo di oppio? Oppio cosa?
– Il traffico di oppio…
– Ah ecco! Il traffico di oppio! Ha capito che c’era un traffico di oppio, bene, bravo, lo sapevano già tutti, però benvenuto anche lei nel club, e chi faceva profitti con il traffico di oppio? Sentiamo, vediamo se ha capito.
– … roo…
– Eh? Ru? Cosa vuol dire ‘ru’?
– … Roosevelt…
– Ah! Roosevelt! Quindi è un saggio storico questo che ha letto. Ha capito che un Roosevelt faceva affari trafficando oppio, bene, e chi sarebbe questo Roosevelt?
– … non ricordo il nome… il capostipite dei Roosevelt
– Bene, anche questo lo sapevano tutti, ma di nuovo benvenuto nel club. E poi chi altri facevano affari con l’oppio cinese?
– … tutti…
– Tutti? Tutti chi?
– Gli americani…
– Tutti gli americani trafficavano oppio con la Cina, è questo che c’è scritto nel suo saggio?
– Non tutti gli americani, ma molte di quelle poi diventate famiglie ricche e potenti… come i Roosevelt.
– Un saggio da non consigliare, tendenzioso, mi pare di capire. Era di questo che voleva scrivere? Dei Roosevelt che sono diventati ricchi trafficando oppio?
– … no
– E allora di cosa?
– …on…fray
– Cosa? Ripeta quello che ha detto!
– Onfray.
– Onfray?! Lei vuole scrivere di Michel Onfray? Un’altra volta? Ho capito bene?
– Sì.
– È impazzito? Non le è bastato aver fatto arrabbiare tutti la prima volta che ne ha scritto? Si è già dimenticato di quelli infuriati per quello che aveva scritto, se lo è dimenticato?
– … no, io …
– Ah se lo ricorda, vero? E si ricorda perché erano infuriati? Si ricorda cosa ha scritto di Onfray? Uno degli intellettuali più apprezzati del nostro tempo, se lo ricorda?
– … che è un cia…
– Come? Non sento!
– Che è un cialtrone.
– Ah! Si vergogni! Ha ancora la faccia tosta di ripetere questa insolenza? Dice di voler capire, ma vedo che non ha capito niente da tutto quello che le hanno detto, vero?
– …
– È incredibile, tornare per dire le stesse cose, insolenze, verso un grande filosofo apprezzato in tutto il mondo. Quindi deduco che non si è pentito nemmeno di quello che ha detto sul libro che diceva di commentare e invece solo volgari insolenze!
– …
– Si è pentito oppure no? Cosa diceva del libro, sentiamo se ha il coraggio di dirlo ancora, sentiamo!
– … è un libro di…
– Un libro di?
– … schifo
– Un libro di schifo?
– … sì.
– Insiste! Lei è uno stupido! Lo sa di essere un stupido?
– …
– E dopo tutto questo vuole ancora dire qualcosa su Onfray? Si vergogni!
– …ho letto…
– Ha letto?
– un altro libro…
– Ha letto un altro libro di Michel Onfray? Ho capito bene? E quale libro ha letto?
– …Decadenza.
– Decadenza ha letto? Ma è un tomo! Quel librone ha letto?
– Sì.
– Ah! Una lettura impegnativa, senza dubbio. E ha capito?
– Sì.
– E quindi ora avrà capito che Michel Onfray è una grande persona, un saggio, un maestro che combatte per il popolo, per noi, per liberarci, giusto? Che dice?
– … che è…
– ?
– che è un cialtrone.
– La smetta! Lei è un cialtrone! Si vergogni!
– … io ho scritto…
– Ha scritto? Cosa ha scritto? Cos’è quel foglietto che tira fuori dalla tasca dei pantaloni? A proposito, senta glielo devo proprio dire, lei è sciatto e trasandato, si vada a comprare un paio di pantaloni nuovi e un giacchetto, sembra un barbone per come si presenta. Almeno si lava? O è pure sporco? E la smetta di sudare! Ma cos’ha, è malato? Perché suda? La smetta!
– Sono… alcuni pensieri sul libro… di Onfray intendo… alcune impressioni, ma niente di che, cose così perché… perché mi era venuto un desiderio di dirle… io non è che voglio provocare nessuno, per carità, è che io solo… vorrei…
– Cosa vorrebbe? Cosa?
– Vorrei che me le facesse scrivere, se non è una richiesta che… ecco… non troppo…
– Mi faccia vedere! Mi dia quel foglietto!
Raccolta di pensieri che mi sono venuti leggendo Decadenza, di Michel Onfray e che vorrei poter dire a qualcuno, non è necessaria una risposta, non desidero dibattere.
Sono pacatamente convinto che Michel Onfray sia un cialtrone. Erudito, furbo, acuto, intelligente, brillante, abile, convincente, trascinante, coinvolgente, accattivante, seducente, ma comunque un grandissimo cialtrone. Questa la conclusione a cui sono giunto al termine della lunga lettura di Decadenza. Quando ho iniziato, pensavo che Michel Onfray fosse un cialtrone semplice, perfino un cialtrone grossolano. Ammetto che c’è stata un’evoluzione significativa nella gradazione di cialtroneria che associo a Michel Onfray. Grossolano e semplice non lo è, almeno non sempre lo è, talvolta non lo è affatto.
Eppure, anche con questa precisazione, che non so quanto efficace possa essere nel trasmettere l’imponderabile gamma di sfumature, mi rendo conto che l’immagine che ne esce del mio processo mentale e sensoriale sulle tracce di Michel Onfray non rende onore al vero, anzi sembra dire l’opposto del vero. Sembra dire che ho seguito una traiettoria per lo più lineare, al massimo un bell’arco plastico. Questo non è vero. Ed è questo di cui voglio parlare in questi pensieri in merito a Decadenza di Michel Onfray. In effetti, è anche l’intento dell’autore quello di provocare sbandamenti sulla strada di casa verso l’accogliente Razionalità scagliando frecce avvelenate con Rancore e con Sarcasmo, intinte nella tossina della Logica e pure spalmate di una bella dose di Cultura. Un veleno micidiale, i ragni australiani a confronto sono dei dilettanti. Certo, va detto, stabilita anzi, immediatamente, una premessa: io non frequento la religione cattolica, pur non potendomi trattenere dall’ammirare certe liturgie cariche di oscurità, pertanto non sono uso trafficare con indulgenze, penitenze e perdoni, concetti a me incomprensibili e stranieri. Di conseguenza posso senza fatica alcuna assumere un atteggiamento di totale non indulgenza, accettare l’assenza di perdono e, in definitiva, astenermi dall’umiliare qualcuno pretendendo una penitenza. Questo lo dico per spiegare il mio punto di partenza, ovvero che Michel Onfray è un cialtrone. Certo, perché chiunque dia alle stampe un libro come il precedentemente letto, Teoria della dittatura, è un cialtrone fatto e finito per l’eternità, e niente, tanto meno fumisterie cattoliche che mercanteggiano indulgenza con penitenza, può mutare quel giudizio scolpito nella pietra della chiaroveggenza.
Però niente è semplice sotto il cielo dei senza-libro-rivelato, nudi bipedi che vagano nelle riarse distese della vacuità di esistenze costrette ad auto-produrre continuamente teorie del senso di vivere per non ritrovarsi come bandiere ammosciate su un palo in una giornata di aria immobile come melassa.
Nulla e semplice, nemmeno iniziare e finire un libro di Michel Onfray semplicemente mantenendo intatta la coerenza di pensiero che lo ritiene un cialtrone. Anche mantenere una parvenza di coerenza, in realtà, è tutta una complicazione, un inciampare, un contraddirsi, un ritornare indietro cento volte, cambiare idea mille volte, pentirsene mille e una, rimuginare sempre, diventare onfrayani convinti e anti-onfrayani ancora più convinti, farsi sedurre con il sorriso di beatitudine che hanno quelli che si lasciano avvelenare assaporandone il gusto dolce e poi respingere le stesse sirene con astio, odio viola, cattiveria da rapace.
Ah, come non gettarsi nelle braccia di uno che con gusto del grottesco, sfacciata spocchia e una sequenza martellante di fatti e notizie prese a manate di qua e di là si pone l’obiettivo di sbriciolare duemila anni di storia della nostra civiltà giudaico-cristiana? Come non abbracciarsi fraternamente e darsi gran pacche cameratesche sulle spalle mentre Onfray versa liquami sulla spietatezza morale dei Padri della Chiesa, sui Papi degenerati, e martiri e Santi che a dir bene andrebbero classificati tra i pazzi con istinti criminali? Una gran banda di rancorosi e amorali, egocentrici senza senso della misura che hanno fagocitato il mondo per desiderio bulimico di potere, questo Onfray riassume con tonanti pernacchie. Io dico, ma come si fa a non adorare Michel Onfray quando scrive, pure bene, queste cose di innegabile fascino? Infatti si finisce per adorarlo, pur opponendo resistenza, questa si piega sotto la gragnuola di colpi che arrivano pagina dopo pagina dopo pagina dopo pagina e dopo pagina per centinaia di pagine e pagine e pagine. È stato tra le quattro e le cinquecento pagine che mi sono ritrovato fervente discepolo della religione onfreyana. È successo, diciamo, percorrendo la Rivoluzione Francese, dopo avere già attraversato tutte le nefandezze di apostoli e imperatori, della patristica e della scolastica, il lungo delirio psicotico della Chiesa durante tutto il Medioevo. La tappa francese, libertéfraternitéegalité rivista da Onfray, ha abbattuto le ultime difese, facendo di me un simpatizzante della Restaurazione, un reazionario militante, un antiprogressista che come una spugna gronda acqua quando immersa in una vasca, io grondavo nichilismo marpione di stampo onfreyano. È durato il tempo di una rivoluzione quel afflato, poi le truppe indigene radunatesi sotto la bandiera recante la scritta: “Dio non esiste e Onfray è un cialtrone” hanno caricato e hanno fatto strame dei nichilisti onfreyani. Rimane però il dato che una conversione, seppur temporanea, era avvenuta, e di questo il merito era di Michel Onfray. Mi trovo nella spiacevole condizione di dargliene atto. Poi nel finale, con orrore massimo e stupore pure quello massimo, è comparso lo stesso Onfray di Teoria della dittatura, quello dell’ammasso di cretinaggini su quanto faccia schifo il presente e come fantasticamente orribile sarà il futuro, una specie di pseudo-narrazione farneticante che vorrebbe sembrare il lucido grido di una tragica Cassandra, ma che invece è solo una scadentissima commedia imbottita delle più trite teorie catastrofiste in circolazione sulla rete, una quintessenza di complottismo socialmediatico decorato di fanfaronate da blog di pseudo-scientisti. E di nuovo, tirando in ballo il povero Orwell e pure il povero Huxley.
Per sgombrare il campo da malintesi, il futuro è nero, anzi nerissimo, catastrofi e tragedie si sono già annunciate e le abbiamo in casa in questo momento. Pochissime le possibilità di farla franca senza devastazioni inimmaginabili. E tra i tanti segni del futuro infausto che si sta avverando, appunto, anche l’emergere di figure millenariste onfreyane che predicano la fine del mondo, la revisione della storia, il ritorno a un punto di svolta quando si è imboccato la strada sbagliata, la rivolta popolare guidata da aristocratici capipopolo, banalizzatori che vendono certezze, narratori di favole, spacciatori di conforto morale in cambio di fedeltà al capobanda. Quanta mortale banalità, il mondo è spacciato per l’incapacità di riconoscere le banalità.
A questo punto le superstiti velleità onfreyane che ancora mi rimanevano sono state ridotte in poltiglia sotto gli stivali chiodati della ragione degli anti-onfreyani, infine l’originale disprezzo è stato restaurato. Un percorso quindi tutt’altro che lineare per partire e giungere grossomodo allo stesso punto.
Nel mezzo, aveva avuto luogo una conversione, una epifania, l’incantesimo del cattivo maestro, il magnetismo del discorso populista, l’attrazione per la scorciatoia che libera rabbia e rancore avevano avuto successo.
L’efficacia del bravo imbonitore sta nel convincere il suo pubblico diffidente che l’opinione che si faranno dell’imbonitore e della bontà della sua mercanzia sarà loro e soltanto loro e nessun altro sarà intervenuto nella costruzione, solo frutto dell’evidenza che credono di raccogliere, dell’osservazione oggettiva dei fatti, opera della ragione e della logica inalterate. Al termine dello spettacolo dell’imbonitore, ognuno di quei sempliciotti venuti fuori dalla campagna profonda sarà pronto a giurare, e tra sé e sé lo farà davvero, magari sulla testa dei figlioli, che nessuno li ha indotti, né tanto meno convinti, ancor meno plagiati a considerare l’imbonitore una brava persona, perfino saggia, anzi un maestro, il loro maestro. Michel Onfray è quell’imbonitore. Un bravissimo imbonitore, per questo un gran cialtrone.
– …
– Allora,… ecco… signore, me lo farà scrivere?
– No e non si faccia più rivedere, siamo brave persona qui, se ne vada! Vada via!
– …